C’entrano il traffico e la viabilità con l’osservazione antropologica? Hai voglia! Parte della popolazione passa metà giornata al volante, e ti pare che la cosa non abbia un rilievo per le scienze umane?
Per esempio, ci si potrebbe chiedere che tipo di economia permetta a una massa enorme di cittadini di trascorrere ore a guidare nel traffico. Come avevo già avuto modo di osservare, in un lontano passato – e tuttora in certe zone – esistevano le ore di punta. La gente usciva di casa, si recava sul posto di lavoro (ovvero all’interno di una realtà), lavorava, faceva una pausa pranzo, rilavorava, usciva e rifaceva il tragitto verso casa. Ciò comportava che il traffico avesse due principali flussi concentrati, di prima mattina e nel tardo pomeriggio.
Oggi una città come Milano è un’ininterrotta ora di punta dalle 7 del mattino all’1 di notte o giù di lì. Ma a parte la corsa agli aperitivi e a tutte le varie attività extraprofessionali, l’aspetto sconcertante è che durante le ore lavorative canoniche centinaia di migliaia di individui (quelli che dovrebbero statisticamente essere i “lavoratori”) sono seduti al volante. A un poveraccio tristemente digiuno di economia – probabilmente l’unico in questo Paese – sorge spontanea la domanda stupida: ma che cavolo di mestiere fanno costoro? E si tratta di lavori veri, che rendono qualcosa alle aziende o alla collettività? Non c’entrerà il fatto che non esiste più una fabbrica, un opificio, una manifattura, un’officina, in questa città? E che un sacco di professioni hanno un’identità talmente fumosa da doverle chiamare con nomi americani? E se circola tanto denaro senza produrre un accidente, non finirà con quella che gli esperti chiamano una “bolla”?
Un altro aspetto, forse il principale, dovrebbe riguardare il comportamento di chi guida, ma non ne parleremo qui. Parliamo invece di un argomento tanto caro alle cronache di questi giorni: il codice stradale.
Il problema non è Salvini: è anche lui
Come ormai succede con ogni argomento, le opinioni sono sempre, per semplificare, in stile “destra contro sinistra”. E non sai mai se prendere i primi per picchiare i secondi o viceversa.
Per esempio, sono sempre rimasto sconcertato dall’atteggiamento stesso della legge nei confronti degli eccessi di velocità, che fino a prova contraria provocano morti e feriti. Il diritto sposato al buon senso dovrebbe affermare che non è mai tollerato un superamento dei limiti, e che il sano concetto di repressione – quello che in tandem con la nostra coscienza ci trattiene dal commettere illeciti – si manifesta tenendo sotto controllo le strade con appositi strumenti. Ora, che senso ha l’obbligo puntiglioso di preavvertire gli automobilisti della loro presenza? È esattamente come dire: puoi andare come un pazzo per decine di chilometri, tranne in qualche punto perfettamente e comodamente segnalato. Ma siamo matti?
Per affrontare diversamente la questione, probabilmente dovremmo piantarla una volta per tutte di dare la colpa agli autovelox, fino a segarli, e metterci in testa che l’intera impostazione vigente della viabilità e della conseguente cartellonistica è un insulto al buon senso. Se i comuni fanno cassa con questi aggeggi tentando di fregare l’automobilista (nessun problema ad ammettere che a costoro della sicurezza interessa meno di niente) è perché viene loro concesso di inventarsi limiti assurdi in posti assurdi. Noi non abbiamo una politica delle velocità adattate alle strade, ma una folle anarchia cartellonistica.
In sostanza, qualche “mente” semina a capocchia cartelli circolari biancorossi con i numeri del lotto all’interno, e tutto il sistema repressivo gira intorno a queste trovate casuali. Si pretende di applicare regole precise a una viabilità alla viva il parroco. Per esempio, avete presenti quei bei segnali con treppiede e l’indicazione “30”? Sono piazzati all’improvviso su una statale da 90 all’ora, in prossimità di un badile appoggiato a un cespuglio. Cosa rappresentano per il codice, un invito a rallentare perché qualcuno ha fatto un lavoro stradale la settimana prima? Allora anche quelli precedenti l’autovelox sono semplici avvertimenti? E se ho una macchina dei carabinieri dietro e pianto una frenata e questi mi vengono nel sedere, ho ragione io o mi portano in caserma? La velocità in quel punto è una scelta ufficiale, o la decide uno stradino?
I cartelli fissi non sfuggono alla medesima logica malata, mentre dovrebbero essere studiati da specialisti e seguire regole uguali per tutti. Gli esperti possono individuare i vari tratti applicando sempre un concetto di base: scegliere la massima velocità possibile all’interno di un limite di sicurezza. Quindi niente 50 su una statale in piena campagna solo perché è territorio comunale. Niente 40 su un’autostrada perché si viaggia su un’unica corsia, magari per una decina di chilometri, quando non ci sono problemi a 90 o 100 (e soprattutto niente 30 perché un sindaco è comunista).
La logica, insomma, imporrebbe di rifare tutta la segnaletica, permettere alla gente di viaggiare tranquilla, e allora sì essere inflessibili con chi oltrepassa i limiti a costo di disseminare il territorio di autovelox nascosti. Se ci si pensa, è lo stesso concetto della tassazione: se mi spolpi io evado le tasse e ho perfettamente ragione; se sei equo, non le evado e se lo faccio sono un farabutto.
Cartelli trasparenti
Non ho registrato tutte le trovate di Salvini riguardo al codice stradale, ma di certo non si vede un cambiamento radicale di mentalità. Sarebbe da decidere finalmente che la segnaletica in generale, non solo quella delle velocità, è una cosa seria almeno quanto le contravvenzioni, e non la si può usare in questa maniera idiota. Chiunque capirebbe che se lungo una provinciale da quattro soldi metto grappoli di 6 o 7 cartelli stradali ogni 50 metri, nessuno si accorge neppure più della loro presenza… e se lo fa finisce nel fosso. Ciò comporta che un avvertimento veramente importante passerà inosservato.
Da qualche tempo, oltre al cartello che indica ogni 2,5 km una serie di curve quando bastava dire all’inizio che era tutta così per 40; oltre a quello che indica una banchina sdrucciolevole in ogni strada di campagna, e a quello che promette una caduta massi di fronte alla quale puoi solo decidere di tornare indietro, si sono inventati dei geroglifici incomprensibili che credo siano dedicati ai ciclisti, tanto per distogliere meglio l’attenzione. Centinaia di migliaia di euro che potrebbero essere utilizzati per riempire le buche onnipresenti, ben più pericolose della banchina sdrucciolevole.
Nel codice stradale, oltre a massacrarti giustamente se mantrugi il telefonino, potrebbero anche proibire tutte quelle fesserie a sfioro (infotainment perché “stronzate” suonava male) che sei costretto a guardare se vuoi dare un semplice comando alla macchina. Molto più pericolose di una mano che tiene uno smartphone attaccato a un orecchio.