Mentre si auto-investe del ruolo di mediatore e paciere tra Russia e Ucraina, Erdogan non smette di bombardare la Siria e l’Iraq per colpire, annientare la resistenza e le popolazioni curde. Non solo. Mentre quotidianamente si evoca il pericolo dell’utilizzo di armi chimiche da parte di Mosca, la Turchia – membro della NATO – le starebbe impiegando nuovamente, come era già avvenuto l’anno scorso e all’inizio del 2022, senza che a nessuno venga in mente di protestare.
Al solito: due pesi e due misure.
Stando a quanto dichiarano le HPG, le forze di difesa del popolo, braccio armato del PKK, l’utilizzo di sostanze chimiche (tipo gas asfissianti proibiti dalla Convenzione di Ginevra) avviene regolarmente nelle aree del Nord dell’Iraq (Sud Kurdistan) dove l’esercito e l’aviazione turca agiscono contro la guerriglia dal 17 aprile: data d’inizio dell’ultima, l’ennesima, offensiva anti-curda.
In questi giorni sono state investite da tali operazioni soprattutto alcune zone sui monti Werxelê e Kuro Jahro. Aree definite di “importanza strategica” in un comunicato delle HPG.
Sempre nel comunicato si sostiene che “le nostre forze continuano a resistere, sia con le unità mobili, sia come posizioni di combattimento” (trincee e cunicoli, si presume).
Tanto che la Turchia, non conseguendo risultati apprezzabili, “sta utilizzando nuovamente e in maniera massiccia le armi chimiche”. A questi attacchi le HPG avrebbero risposto infliggendo perdite (si parla di quattro soldati) agli attaccanti turchi.
Per bombardare le posizioni curde, Ankara ha utilizzato elicotteri da combattimento, scaricando sia bombe esplosive che sostanze chimiche. Altri attacchi si sono registrati il 3 e il 4 maggio anche nella zona di Kuro Jahro e Şehîd Şahîn (nella regione di Zap). Nella sola giornata di mercoledì 4 maggio qui si sono contati oltre una dozzina di attacchi aerei e decine e decine di bombardamenti da mortaio. Non senza incontrare resistenza. Stando sempre al comunicato, i franchi tiratori curdi avrebbero colpito almeno altri tre soldati turchi.