Con questo rapporto vogliamo richiamare l’attenzione sui metodi criminali che la Turchia sta usando nella sua guerra in Kurdistan. Nel Kurdistan meridionale e nelle altre parti del territorio, la Turchia viola sistematicamente le convenzioni internazionali, come quella sulla proibizione dello sviluppo, della produzione, dello stoccaggio e dell’uso di armi chimiche e sulla loro distruzione.
Soprattutto con l’aumento della resistenza curda e della consapevolezza internazionale sulla questione curda negli anni ‘90, l’esercito turco ha iniziato a usare armi chimiche oltre ai metodi di guerra sporca che aveva utilizzato per decenni, come uccisioni extragiudiziali, torture, incendi di villaggi e spopolamento forzato. A quel tempo diverse istituzioni internazionali e l’opinione pubblica curda fecero grandi sforzi e finalmente riuscirono ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale su questo problema. Ma, sfortunatamente, il modo in cui la comunità internazionale ha reagito all’uso di armi chimiche da parte della Turchia l’ha incoraggiata a continuare la violazione sistematica degli accordi internazionali che vietano l’uso di armi chimiche.
Negli ultimi 30 anni, decine di combattenti per la libertà curdi e civili, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi dalle armi chimiche usate dall’esercito.
Nel 2007 lo Stato turco si è spinto fino a tentare di avvelenare il leader curdo imprigionato Abdullah Ocalan. A causa dell’immediata e forte reazione internazionale, Ocalan ha ricevuto cure mediche poco dopo che le accuse sono diventate pubbliche.
Nonostante tutti questi incidenti, la Turchia non ha smesso di usare armi chimiche in Kurdistan. Sarebbe impossibile elencare tutti gli attacchi simili compiuti dall’esercito turco nel corso degli ultimi decenni. Secondo resoconti dei media internazionali, diversi combattenti curdi sono stati uccisi quando contro di loro sono state usate armi chimiche nel 2009, 2013 e 2017. La Turchia ha aumentato l’impiego di queste armi vietate a livello internazionale, soprattutto quando ha occupato parti del nord-est della Siria (Rojava) che si erano precedentemente liberate dell’ISIS grazie ai combattenti siro-curdi e alla coalizione internazionale. Le armi chimiche sono state dislocate dalla Turchia durante l’invasione di Afrin nel 2018 e l’occupazione di Gire Spi e Serekaniye nell’ottobre 2019 (tutto il mondo ha appreso la storia del piccolo curdo Mohammed Hamid Mohammed, residente a Serekaniye, gravemente ferito da un raid aereo turco con bombe al fosforo bianco sulla città).
Nonostante tutti questi fatti verificati e le ampie prove, il governo turco guidato da Erdogan e le forze armate del Paese non sono mai stati condannati per i loro crimini da istituzioni internazionali e Stati. Tutti hanno ignorato le proprie leggi e i propri doveri morali. Questo silenzioso via libera al governo Erdogan ha spianato la strada all’uso massiccio di armi chimiche da parte della Turchia nelle regioni di Metina, Zap e Avaşîn, nel Kurdistan meridionale (iracheno) dal 23 aprile 20217. Il Christian Peacemaker Teams-Iraq, una ONG con sede nel Kurdistan meridionale, ha confermato almeno uno di questi casi sulla base di una ricerca indipendente nelle regioni direttamente colpite dagli attacchi.
In questo rapporto si trovano informazioni, immagini e video forniti da fonti locali che dimostrano chiaramente l’uso di armi chimiche da parte della Turchia. Il permesso di usare tali armi dato a un leader autocratico come Erdogan comporta il pericolo che crimini ancor più disumani e brutali vengano commessi in altri luoghi in futuro. Proteggere l’umanità, i valori e gli accordi internazionalmente riconosciuti è un dovere di tutti noi, in particolare delle istituzioni internazionali e dell’opinione pubblica. Anche i più piccoli passi di queste istituzioni nel criticare e condannare apertamente Erdogan per il suo uso di armi chimiche e per ricordargli i suoi obblighi internazionali, serviranno direttamente a salvare vite umane e a proteggere gli accordi internazionali.
Kurdistan National Congress (KNK)