Non ce l’ha fatta Hüseyin Arasan, esponente dell’Associazione dei Lavoratori di Mesopotamia.
Gravemente ferito da tre colpi di arma da fuoco nell’attacco mirato di venerdì 9 giugno, veniva trasportato all’ospedale dove è spirato nella mattinata del giorno 10.
Era stato colpito a Sulaymaniyah, località del Kurdistan iracheno, e l’operazione nei suoi confronti presenta molte analogie con le esecuzioni extragiudiziali perpetrate dai servizi di Ankara.
Nato a Izmir nel 1978, Hüseyin Arasan era stato costretto ad andarsene dalla Turchia in quanto perseguitato politico. L’attentato nei suoi confronti era avvenuto proprio di fronte all’associazione, di cui era membro influente, che riunisce molti rifugiati, vittime della repressione in Bakur (Kurdistan turco) e riconosciuti come perseguitati politici. Molti di loro, a causa dell’attività politica legale, hanno conosciuto a lungo il carcere.
Niente di nuovo naturalmente. Una prassi quasi abituale quella di Ankara: eliminare fisicamente militanti dell’opposizione, intellettuali non omologati o semplici dissidenti. Soprattutto se curdi. Da qualche tempo questa “guerra sporca” si è allargata anche all’Iraq, favorita – si presume – dai buoni rapporti di vicinato che intercorrono tra il mit (servizi segreti turchi) e Parastin (i servizi del partito democratico del Kurdistan, quello di Barzani).
Dalla fine del 2021 sono almeno cinque i rifugiati assassinati (con attacchi mirati, non “effetti collaterali”) nei territori curdi del Nord (Iraq).
Andando a ritroso.
Recentemente, nello scorso aprile, veniva ucciso a Duhok da una squadra delle morte Hüseyin Türelil.
Avevo già parlato dell’assassinio di Nagihan Akarsel, nota esponente della Jineolojî (scienza delle donne), uccisa nella stessa città di Sulaymaniyah il 4 ottobre 2022.
Qualche mese prima, il 28 agosto 2022, era toccato allo scrittore e storico Suheyl Xurşîd Ezîz, esponente dell’assemblea generale di Tevgera Azadî (movimento di libertà). Ucciso sulla porta di casa a Kifri. Per i curdi non ci sarebbero dubbi: l’esecuzione sarebbe stata opera di sicari legati al mit.
Il 17 maggio 2022 era il turno per essere assassinato di Zeki Çelebi, sempre a Sulaymaniyah (morto per le ferite il giorno dopo l’aggressione).
Alla fine del 2021, in settembre, ancora a Sulaymaniyah, veniva ucciso in circostanze analoghe Yasin Bulut (Şükrü Serhed), esponente del comitato delle famiglie dei martiri.
Il giorno prima un altro curdo, Ferhad Bariş Kondu, era rimasto gravemente ferito in un altro attacco mirato.