Dalla Grande Catastrofe (Metz Yegherni) sono ormai trascorsi 104 anni, ma la ferita non si è ancora rimarginata. E come potrebbe? Di certo non finché il colpevole, lo Stato turco, non avrà ammesso le proprie responsabilità e chiederà – almeno – scusa al popolo armeno.
Il genocidio era cominciato il 24 aprile 1915, quando oltre duecento intellettuali armeni vennero sequestrati ed eliminati. Si continuò con la deportazione e l’esilio per centinaia di migliaia di persone. E per moltissimi di loro fu il massacro. Un genocidio pianificato per uniformare la popolazione dello Stato turco, per cancellare le differenze e creare una società omogenea: una sola razza, una sola religione, una sola lingua. Uno stile che la Turchia ha sostanzialmente mantenuto. Ieri per gli armeni, oggi per curdi.
Due giorni prima dell’anniversario, il 22 aprile, l’evento è stato ricordato con la costituzione del primo battaglione armeno di autodifesa, denominato “Martire Nubar Ozanyan”. Lo afferma un comunicato dalla formazione politica TPK/ML (Partito comunista di Turchia/marxista-leninista) spiegando che “questo battaglione andrà a rafforzare la rivoluzione nel territorio di Rojava per difenderlo dagli attacchi dei fascisti dello stato islamico e dello stato turco”. Consentendo contemporaneamente “l’autodifesa del popolo armeno contro ogni tipo di oppressione, persecuzione, massacro o tentativo di assimilazione”. Nel comunicato si sottolinea come, con la creazione del battaglione, si realizzi una parte dei sogni e delle speranze del comandante Nubar Ozanyan. Il militante comunista armeno nacque nel 1956 e cadde combattendo contro Daesh nel 2017 durante la battaglia di Raqqa.
Nell’agosto di due anni fa il suo sacrificio era stato commemorato a Parigi e a Zurigo da qualche centinaio di esponenti di diverse organizzazioni di sinistra, sia europee sia turche e curde (Revolutionarer Aufbau, Secours rouge de Suisse, OCML-VP, Partizan, KCK…).
L’evento offre l’occasione per ribadire e sottolineare che quella del Genocidio non va interpretata come una questione religiosa. Fu infatti opera di nazionalisti turchi. Nazionalisti che per lo storico Baykar Sivazliyan “erano tutti dunmeh (‘convertiti’) cioè ebrei formalmente islamizzati e sostanzialmente atei, in gran parte membri di una loggia massonica di Salonicco: Enver, Talat e Cemal Pascià…”.
Una conferma viene ripensando all’accoglienza ricevuta dai sopravvissuti armeni del Genocidio (quasi tutti orfani) da parte della popolazione siriano-araba. In particolare a Der El Zor nel 1915. Per questo gli armeni rimasero sempre grati alla Siria, anche nei momenti difficili come quello attuale. Non è forse un caso che da qualche giorno si trovino ad Aleppo un centinaio di soldati professionisti dell’esercito armeno. Inquadrati in un reparto russo, si stanno dedicando allo sminamento dell’intera città. Si sono stabiliti nel quartiere armeno anche per garantirne la protezione. Infatti qui hanno cominciato a rientrare centinaia di armeni che la guerra aveva costretto ad allontanarsi.