Abbiamo già parlato dell’ottimo saggio di Ettore Beggiato 1866: la grande truffa. Il plebiscito di annessione del Veneto all’Italia. La reazione dell’establishment italico alle tesi di Beggiato non si è fatta attendere, ed ecco uscire sul quotidiano veronese “L’Arena” questo imperdibile articolo firmato da Maria Vittoria Adami:
Un libro sulla “truffa” dell’annessione del Veneto all’Italia. Lo regala la Regione alle biblioteche nell’anno del 150esimo del Veneto italiano e gli storici a Verona insorgono. “È un atto grave per le modalità e la tempistica compiuto dalla massima istituzione regionale”, attacca Carlo Saletti, esperto dell’Ottocento risorgimentale. “È un uso politico della storia che fa danno quando tange la traiettoria della didattica, visto che è diffuso nelle biblioteche. Questa è la maniera di ricordare un importante anniversario?”.
Per Federico Melotto, direttore dell’istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, “si vuole dare un messaggio politico partendo dal plebiscito per lanciare una critica all’Italia di oggi. E la diffusione del testo in questo modo dà carattere ufficiale a una interpretazione dei fatti opinabile”.
Il pomo della discordia è il libro 1866: la grande truffa. Il plebiscito di annessione del Veneto all’Italia (Editrice Veneta, 2016) di Ettore Beggiato, già assessore regionale e attivo per la difesa dell’identità veneta. Il volume è dedicato al popolo che lotta per San Marco e ha la prefazione di Alberto Montagner di Veneto Nostro – Raixe venete.
Il volume descrive i passaggi che al termine della Terza guerra d’indipendenza del 1866, dopo le due sconfitte italiane di Custoza e Lissa, portarono all’annessione del Veneto all’Italia. Beggiato si sofferma sui plebisciti del 21 e 22 ottobre 1866 che definisce una “clamorosa truffa” (“la prima di una serie perpetrata dall’Italia ai danni dei veneti”, scrive nel suo blog). Perché furono fatti a decisione già presa e in un clima di intimidazione, mantenendo nell’ignoranza i votanti. Beggiato guarda i numeri: circa il 99,99 per cento di sì, “neanche nei peggiori regimi”. A Verona, per esempio, degli 85.589 voti, due soli furono i no e sei le schede nulle.
Mentre per Beggiato “le potenze europee intendevano riconoscere, attraverso il plebiscito, al popolo veneto il diritto di scegliere il proprio futuro e l’autodeterminazione”. L’autore sostiene che i veneti sono oggi tenuti all’oscuro di questa storia e auspica che si tenti un recupero della memoria “prima che il regime nazional tricolore cancelli tutto e ci facciano diventare tutti italiani”, ipotesi definita nell’introduzione al libro “un’aberrante soluzione finale”.
Accompagna il volume una lettera del presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti. Quest’ultimo plaude all’opera di Beggiato che affronta vicende “descritte dagli storici prezzolati dai Savoia come un evento addirittura voluto dalla Provvidenza”. Accusa anche la scuola pubblica del Regno d’Italia il cui “principale compito fu cancellare anche il ricordo degli antichi Stati italiani” attraverso l’insegnamento. “Il libro”, conclude, “è un contributo per stimolare una ricerca storica seria e onesta, che vede nelle regioni di tutti i paesi d’Europa una ricchezza e non una minaccia a uno sterile centralismo”.
Per Saletti è inaccettabile: “La terza guerra d’indipendenza fu la prima grande azione del neonato Regno d’Italia e portò a un ingrandimento del Paese. E nel 150esimo anniversario del Veneto italiano si diffonde un libro, a spese pubbliche, che rivela un uso ideologico della storia. Il grave è che tocca la sfera delle biblioteche: fa un danno elevato al cubo perché c’è un’ampia diffusione. Non è un semplice intervento di una persona a una conferenza. Mi auguro che la politica reagisca”.
Secondo Melotto, il volume fa un’analisi del plebiscito anacronistica trasferendolo sul piano di principi democratici e di autodeterminazione che nel 1866 non c’erano.
“Si parte dal presupposto che valessero valori democratici che oggi sono imprescindibili ma che allora non lo erano: nessuno si sognava di far votare i contadini. Eppure per la prima volta nel 1866 tutti i cittadini dai 21 anni in su votarono. Non è poco”.
Quanto al fatto che l’annessione al Veneto fosse già decisa prima dei plebisciti è cosa nota, anche ai libri scolastici. Ne scrisse anche L’Arena nel suo primo numero il 12 ottobre 1866 salutando “l’Italia redenta” e il Veneto “libero e unito”. E ancora il 16 mentre i bersaglieri entravano a “Verona italiana”.
Il passaggio del Veneto avvenne dall’Austria alla Francia come ricompensa per la mediazione diplomatica di Napoleone III durante la guerra austro-prussiana. Quest’ultimo lo consegnò all’Italia. Certo il modo in cui fu conseguito il traguardo lasciò profonda amarezza nel Paese.
“L’annessione”, conclude Melotto, “fu già decisa dal punto di vista diplomatico, certo: il plebiscito serviva a sancire una situazione di fatto. Ma non può essere definito scandaloso questo modo di procedere perché nell’800 era la diplomazia a prendere le decisioni, non il popolo”.
Prima di commentare queste grida di dolore, val la pena di fare un paio di premesse per i più giovani, ché non pensino di trovarsi di fronte a litigi di nuovo conio o a tesi dell’ultimo minuto. Primo, le denunce storiche come quella di Beggiato, soprattutto riguardanti le regioni nord-orientali, non mancano nelle biblioteche (che, fino a prova contraria, non sono proprietà di Saletti e compagni di fede). Non soltanto per il Veneto, ma anche e soprattutto per il Friuli, sono stati scritti fiumi di invettive contro un plebiscito indiscutibilmente truffaldino. Come scrivevamo la bellezza di 33 anni fa,
Lo stesso plebiscito (22 ottobre 1866) con il quale si decise l’annessione all’Italia presenta non pochi lati oscuri. Vediamo qualche dato. Secondo G. Francescato e F. Salimbeni “anche in Friuli il plebiscito, che non aveva mancato di destare qualche preoccupazione presso il governo italiano, si concluse con un risultato che non consentiva dubbi: solo 36 no su un totale di 105.473 votanti e 15 voti nulli.” P.S. Leicht, da parte sua, scrive: “Nel 21-22 ottobre con 144.988 voti favorevoli contro 36 soli contrari la provincia di Udine affermava solennemente il suo fermo volere di unirsi al Regno d’Italia.” A parte l’enorme divario delle cifre (circa 40.000 persone), è indispensabile sottolineare quanto segue: 1) in una votazione allargata a migliaia di individui è quanto mai improbabile registrare solo 36 schede contrarie (si pensi che gran parte del clero era filo-austriaco); 2) testimonianze orali e documentazioni parrocchiali in gran copia riferiscono che in interi paesi non si è votato; 3) è razionalmente da escludere che a un accertato disinteresse (talora ostilità) nei confronti del regno abbia corrisposto una così incredibile adesione.
La seconda premessa per i nuovi approdati ai lidi dell’etno-autonomismo, è che fin dalle prime scaramucce – decenni e decenni fa – tra federalisti e centralisti sull’unità d’Italia, i valori in campo erano i seguenti. I primi trovavano diecimila documenti per confutare le balle risorgimentali, i secondi si offendevano, insultavano, se possibile ricorrevano alla magistratura (e un aerostato tricolore come Giovanni Spadolini scriveva il 70esimo libro sull’argomento).
Oggi ci piace ritrovare nelle poche righe di questo articolo un simpatico zibaldone dei non argomenti degli studiosi allineati con Roma.
Per esempio, in ordine.
Un uso politico della storia che fa danno quando tange la traiettoria della didattica, visto che è diffuso nelle biblioteche.
Invece l’uso politico della storia dei “vincitori” insegnata a scuola va bene? I libri che non piacciono ai partiti tricolori dove vanno conservati, in un fienile?
Si vuole dare un messaggio politico partendo dal plebiscito per lanciare una critica all’Italia di oggi. E la diffusione del testo in questo modo dà carattere ufficiale a una interpretazione dei fatti opinabile.
La critica all’Italia d’oggi – sempre che criticare sia ancora lecito – sono quelle di un coniuge il quale a ogni anno che passa trova sempre più insopportabile il matrimonio; e ritiene che il fatto di essere stato narcotizzato il giorno delle nozze abbia una certa pertinenza con il problema. Che poi l’interpretazione di Beggiato sia “opinabile” è al solito un argomento di enorme spessore. Come peraltro l’apologia della terza guerra d’indipendenza che fu la prima grande azione del neonato Regno d’Italia e portò a un ingrandimento del Paese. Caspita, questo sì è un argomento. Peccato aver perso l’Abissinia.
Mi auguro che la politica reagisca.
Ma la politica ha reagito. Non si parla forse del plauso da parte del presidente di un Consiglio Regionale? O forse non era del partito giusto?
L’articolo, l’avete letto, continua e termina con un pastrocchio di slogan e interpretazioni per difendere un plebiscito che farebbe vergognare persino Fidel Castro; e quindi, è ovvio, non va preso alla lettera, mica c’era la democrazia, mica votavano i contadini, anche se, che bello, quella volta votarono tutti sopra i 21 anni, o forse no… ma chissenefrega, l’importante era sancire un’unione di fatto, mica voluta, no, era la diplomazia a prendere le decisioni, non il popolo…
Be’, festeggiatevi pure ‘sto obbrobio, ma lasciateci scrivere i nostri libri in pace.