L’uscita in Francia di Des profondeurs de nos cœurs, saggio sul celibato sacerdotale al quale hanno collaborato il papa emerito Benedetto XVI e il cardinale Robert Sarah, ha provocato affermazioni contrastanti che hanno scatenato un caso editoriale e un caos massmediatico.
Mons. Georg Gänswein, segretario di Benedetto XVI, sarebbe il latore della versione (falsa) secondo la quale “si sarebbe trattato di semplici appunti trasmessi dall’ex papa a Sarah”. Aggiungendo: “Su sua indicazione ho chiesto a Sarah di contattare gli editori pregandoli di togliere la firma di Benedetto XVI”.
Il cardinale Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, “sfiorato” dal sospetto, ha documentato lo scambio epistolare con Benedetto XVI, mettendo fine alle voci che lo avrebbero fatto passare come un manipolatore.
L’editore Nicolas Diat della casa editrice Fayard ha così affermato: “L’introduzione al testo e la conclusione sono state scritte dal cardinal Sarah e sono state lette e condivise dal papa emerito”. Ora sappiamo che quest’ultimo ha corretto le bozze del saggio (le sue) e visionato anche quelle del cardinal Sarah, oltre all’introduzione e alla conclusione.
Parole liberatorie e veritiere di fronte alle incredibili polemiche, alle cui istanze la menzogna si è dovuta piegare, sono venute proprio da Sarah, il quale il 17 gennaio ha twittato: “Ho incontrato Benedetto XVI, nessun malinteso”. I due hanno deciso di rompere il silenzio togliendo ogni ulteriore replica ai gesuiti Antonio Spadaro e Bartolomeo Sorge e all’“Avvenire”, che avevano timbrato l’operazione come “falso pasticcio”.
Il libro in questione è solo la punta dell’iceberg dell’anomalia di un papato “bicefalo”, che dal marzo 2013 è la spina nel fianco della Chiesa. Alla luce di questo bello spettacolo di “carità cristiana”, assistiamo a un rapporto fuori dal canone della Chiesa tra due figure del cattolicesimo che, sotto le mentite spoglie di una cortesia di maniera, si contrastano palesemente anche attraverso le fazioni bergogliane e ratzingeriane. L’inverosimile dicotomia offre l’opportunità alle fazioni di dare il peggio di sé in termini comportamentali e ai nemici dell’Istituzione Divina di operare contro la gerarchia, gettando discredito su di essa.
Da un lato abbiamo una lunga teoria di soggetti che per brevità citiamo solo in parte: “La Civiltà Cattolica”, “Famiglia Cristiana”, “Avvenire”; gli atei devoti Augias, Scalfari, Bonino; la Conferenza Episcopale Italiana, i Papa Boys e TV2000. Queste “guardie svizzere” ecclesiasticamente corrette si gettano come zuavi a difesa di ogni “ideona” di Bergoglio: dalle liturgie sciamane della Pachamama, alle sue esternazioni aeree tipo “chi sono io per giudicare?”.
Dall’altro lato abbiamo i “ratzingeriani” i quali sul tema specifico del celibato ecclesiastico affermano che, sebbene non si tratti di dogma di Fede, sotto il profilo biblico la totale dedizione a Dio è incompatibile con l’altra dedizione assoluta richiesta dal matrimonio. Pietro testimonia così la scelta: “Abbiamo lasciato tutto per seguirti, anche mogli e figli” (Mt 19:27).
Da qui il giustificato timore che l’Esortazione Apostolica di Bergoglio di prossima uscita apra al celibato sacerdotale attraverso il passepartout del Sinodo dell’Amazzonia, creando un precedente che sarà certamente gradito all’episcopato tedesco del cardinal Reinhard Marx e compagni.
Fin troppo doloroso è il triste ricordo del Sinodo della Famiglia del 2016 che, con l’Esortazione Apostolica finale di Bergoglio Amoris laetitia, causò (e tale rimane) un gravissimo disorientamento
tra molti cattolici. Quattro autorevoli cardinali, Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner (gli ultimi due ora defunti), presentarono al papa una richiesta di chiarimento attraverso i dubia, ma Bergoglio come tutti sanno non diede mai una risposta in merito.
Egli chiese (parresia) per quel consesso – ma non la impose a sé stesso o forse, fino a oggi, non ha saputo motivarla teologicamente – l’Esortazione che invitava al “discernimento” per la comunione ai divorziati risposati.
L’errore
A proposito: non dobbiamo dimenticare che l’abdicazione di Benedetto XVI consegnò la Chiesa a un prelato sprovvisto di dottorato in Teologia! Al tempo i cattolici non potevano conoscere (idem oggi) i retroscena sul perché il papa tedesco abbia rinunciato hic et nunc al soglio pontificio. Essi hanno ancora nelle orecchie le parole “lascio per ingravescente aetate ma rimango nel recinto di Pietro come papa emerito” e hanno negli occhi l’immagine di Benedetto XVI di fronte al neoeletto: in mezzo i documenti per il passaggio delle consegne tra i quali, si disse, ci sarebbe stato il famoso dossier sulla pedofilia, aperto molto tempo dopo da Bergoglio grazie alla fame di verità di mons. Carlo Maria Viganò.
Poi il papa emerito fece qualche comparsata in San Pietro durante i concistori o per la canonizzazione di Paolo VI. Tra i due, abbracci e sorrisi fors’anche sinceri. Tuttavia i “siparietti” lasciavano immaginare un Ratzinger pensieroso (esegesi del tutto personale), consapevole che il Signore lo tenesse a lungo in vita per fargli constatare la ferita sul costato della Chiesa inferta dalla gravità del suo gesto. L’errore fu di tale nocumento alla Chiesa che egli, come grande teologo, di fronte alla deriva bergogliana, in submissa voce scavalcò – nonostante il controllo del “padre guardiano” George nonché Prefetto della Casa Pontificia – il recinto di Pietro nel quale aveva detto di “volersi chiudere in meditazione”.
Benedetto cominciò a far trasparire diplomaticissime correzioni, riproponendo per esempio l’Enciclica di San Giovanni Paolo II Veritatis Splendor come argine al “collasso” della morale cattolica, entrando in contrasto con le affermazioni di Bergoglio contenute nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia.
Nella Chiesa, quando avviene una deviazione morale o il Supremo Pastore prende sciagurate decisioni, si generano due peccati. Omissione e colpa. Se il Pastore che guida i fedeli arretra di fronte al lupo, omette di difendere il gregge (vengono i brividi nel rileggere l’Omelia di Benedetto XVI del 24 aprile 2005: Pregate per me, perché io non fugga davanti ai Lupi!). Oppure il Pastore potrebbe essere così legato al potere (più del munus-esercizio) da cedere alla tentazione di esercitare quel soggettivismo pastorale che lo disperde.
Affermava san Gregorio Magno, come ricorda san Tommaso: “Dalla vanagloria nascono le stravaganze dei novatori” (S.Th, II-II, 10, 1, ad 3).