La Bosnia ed Erzegovina è un Paese di circa 51.000 kmq situato in Europa orientale, nel cuore della penisola balcanica. Purtroppo – nonostante il territorio della Bosnia sia dominato da paesaggi naturali meravigliosi e da centri urbani ricchi di storia, arte e tradizione – il suo nome evoca inevitabilmente la terribile guerra civile che ha investito la regione balcanica negli anni Novanta e di cui questo Paese è stato, suo malgrado, protagonista: teatro principale degli scontri, il suo territorio ne è uscito praticamente distrutto e, soprattutto, marchiato come luogo pericoloso e inospitale. Viene quindi naturale associargli immagini di miseria e povertà, sentimenti di terrore e paura, e soprattutto atti infami quali pulizia etnica, genocidi e stragi di civili innocenti.
In effetti durante la guerra degli anni Novanta sono state commesse numerose violazioni dei diritti umani e perpetrati veri e propri crimini contro l’umanità, tra cui su tutti è tristemente noto il massacro di Srebrenica nel luglio del 1995. 1)
Uno dei fattori che durante la guerra nell’ex Jugoslavia ha alimentato lo scontro fratricida è che la Bosnia è uno Stato multietnico. Da secoli sul territorio vi è la compresenza di differenti gruppi che hanno vissuto e continuano a vivere a fianco a fianco in un contesto sociale estremamente difficoltoso e delicato: un contenitore, un “pentolone” al cui interno cercano di sopravvivere compagini nazionali diverse inclini a manifestare un odio reciproco, il tutto condito da un generale clima di tensione sociale incrementato anche dalle difficoltà economiche di un’area che non è certo tra le più ricche del continente europeo.

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Un singolo Stato, tante suddivisioni

La Bosnia ed Erzegovina ha dichiarato la sua indipendenza dalla Jugoslavia il 3 marzo 1992 e costituisce a tutti gli effetti uno Stato nazionale autonomo. Tuttavia, come suggerisce il nome, ci troviamo di fronte a un Paese costituito da due regioni differenti, la Bosnia e l’Erzegovina. Si tratta di una divisione geografica, trattandosi di due entità fisiche differenti.
A nord, la Bosnia è la regione più grande (occupa l’80% della superficie statale complessiva) e si estende a ridosso delle Alpi Dinariche in un territorio quasi esclusivamente montuoso, in gran parte coperto da boschi e ricco di corsi d’acqua quali la Drina e la Bosna (che dà il nome alla regione), entrambi tributari di destra della Sava, uno dei principali affluenti del Danubio il cui percorso delimita gran parte del confine settentrionale del Paese. L’Erzegovina, a sud, occupa il rimanente 20% della superficie, presenta un territorio principalmente collinare ed è più arida rispetto alla Bosnia.

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La regione della Bosnia e la regione dell’Erzegovina.

Nel linguaggio comune spessissimo si utilizza il termine Bosnia come abbreviazione per indicare lo Stato per intero, ma il nome completo e ufficiale è Bosnia ed Erzegovina. Attualmente la popolazione è di circa 3 milioni e 531 mila abitanti, secondo i dati ufficiali del censimento effettuato nell’ottobre 2013, il primo dopo l’indipendenza, i cui risultati sono stati pubblicati solamente nel luglio 2016. È proprio nell’ambito socio-demografico che emerge l’incredibile particolarità che ne fa un caso unico nel panorama europeo: la popolazione risulta composta da gruppi etnici differenti, tutti presenti in discrete quantità, che si caratterizzano come vere e proprie comunità “nazionali” costrette a vivere all’interno del medesimo territorio statale a causa di vicende storiche che hanno modellato il panorama sociale balcanico a partire dalle conquiste romane.
Un’ulteriore caratteristica del “caso bosniaco” è che l’identità etnico-nazionale è strettamente legata e intrecciata a quella religiosa, tanto che è possibile sovrapporre quasi perfettamente la prima alla seconda. I gruppi principali sono i bosniaco-musulmani (che costituiscono il gruppo maggioritario), ovvero cittadini bosniaci di fede islamica, indicati a partire dal 1994 con il termine bosnjak, traducibile in italiano con l’aggettivo “bosgnacco”, che allude appunto alla comune origine etnica dei musulmani di Bosnia; i serbo-bosniaci di fede cristiana ortodossa e infine i croato-bosniaci di fede cristiana cattolica.
Questa tripartizione etnica domina e influenza ogni ambito e settore della vita comunitaria del Paese, riflettendosi nella maggior parte delle sue attività, e soprattutto si traduce in un ordinamento governativo statale così come in un sistema scolastico, sanitario e delle forze armate decisamente particolare. La Bosnia ed Erzegovina ha sancito la propria integrità in una particolare forma di unità politico-territoriale: infatti, in seguito agli accordi di Dayton del 1995 è stata riconosciuta come Stato unito e indipendente, ma al suo interno è stata ulteriormente suddivisa amministrativamente in due entità: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, che occupa il 51% del territorio nazionale ed è a maggioranza musulmana e croata, e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (o Repubblica Srpska), che occupa il 49% del territorio ed è a maggioranza serba. Questa divisione è solamente di carattere politico-amministrativo e non coincide con la distinzione tra Bosnia ed Erzegovina, la quale è differenza meramente geografica di carattere regionale.
Per comprendere come si è arrivati alla sua situazione di multietnicità sarà interessante ripercorrere la storia della Bosnia a partire dai primissimi secoli del II millennio, narrazione che ci permetterà di capire come quello bosniaco sia un territorio importante per le vicende europee, attraversato e abitato da imperi e gruppi etnici differenti, sostanziale crocevia di viaggiatori e area di transito sospesa tra le realtà opposte dell’occidente europeo e del vicino oriente.

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Federazione di Bosnia ed Erzegovina, e Repubblica Srpska.

Dall’impero romano alla guerra dei Balcani

Non sono molte le informazioni sui primi insediamenti nell’area: alcune tracce testimonierebbero la presenza umana a partire dal neolitico, quando si sarebbero intrecciate le culture mediterranee e danubiane riconoscibili grazie ai ritrovamenti di particolari oggetti in ceramica; vi è maggiore certezza invece sulla presenza successiva degli illiri nella zona e su una migrazione dei celti nel IV secolo a.C. Durante i primi secoli dell’età cristiana i territori riconducibili all’attuale Bosnia ed Erzegovina risultavano quindi fare parte della regione illirica della Dalmazia, che venne definitivamente sottomessa dall’imperatore Tiberio nel 9 d.C. dopo una cruenta rivolta e annessa all’impero romano.
Il limes naturale della provincia era già segnato dal fiume Danubio che rappresentava una cesura marcando il territorio a nord. Con la disgregazione dell’impero l’area divenne dapprima parte dell’impero romano d’occidente poi, durante il periodo giustiniano, di quello bizantino e successivamente venne conquistata dagli àvari. Dopo il definitivo declino di ogni forma imperiale legata alla romanità si verificarono nuove ondate migratorie di popolazioni differenti; tuttavia anche per quanto riguarda il periodo medievale le fonti sono frammentarie e la storia balcanica presenta ancora lacune. Sicuramente a partire dal VII secolo d.C. l’intera regione fu occupata da tribù slave meridionali che successivamente si sarebbero distinte in sloveni, croati, serbi e bosniaci. Gli slavi che abitavano le valli della Bosnia erano organizzati in tribù autonome che non furono sufficientemente coese tra loro e per questo fino al XII secolo vennero sottomesse in particolare da croati e serbi (ma anche da ungheresi) che si stanziarono in modo definitivo nella regione.
Nel frattempo, in seguito allo Scisma d’Oriente del 1054, nelle valli della Bosnia e Erzegovina si incrociavano due forze di cristianizzazione: i missionari della chiesa cattolica latina da nord che avevano già convertito le popolazioni della Slovenia, della Slovacchia, dell’Ungheria e della Croazia, contrapposti ai missionari della chiesa ortodossa da sud che, dall’attuale Bulgaria, avevano convertito i serbi e i macedoni. Questa fase è l’inizio del lungo processo di incrocio di numerose diversità religiose che vedrà la Bosnia teatro di incontro e scontro tra la chiesa cattolica da un lato e la chiesa ortodossa dall’altro; tra di esse si inseriranno anche l’eresia bogomila e, successivamente, con la conquista dei turchi ottomani, la religione islamica.
Il doppio processo di cristianizzazione è strettamente connesso e importante per comprendere anche il discorso linguistico, tutt’oggi fondato su una compresenza che prevede un doppio utilizzo: la lingua ufficiale bosniaca infatti è una forma dialettale della lingua serbo-croata, appartenente al ceppo degli idiomi slavi meridionali, e prevede l’uso sia dell’alfabeto latino (in versione croata che è prevalente) sia di quello cirillico (versione serba), testimonianza di come la Bosnia sia stata fortemente influenzata da due aree culturali differenti.
Il primo regno autonomo e indipendente di Bosnia fu il principato di Kulin, che governò dal 1180 al 1204 con il titolo di bano (“signore”). Il suo regno viene ricordato come un momento di grande splendore per la regione in cui fiorirono le attività artigianali e commerciali. Proprio in questo periodo si formò quella che viene definita Chiesa di Bosnia o Chiesa Bosniaca, di confessione cattolica anche se aperta a contaminazioni inevitabili dovute alla particolare posizione geografica. Infatti nell’alto medioevo le valli balcaniche rappresentavano un punto d’incontro di due aree politico-culturali e di cristianizzazione differenti: quella latina legata a Roma con i missionari che operavano lungo la Drava e la Sava, e quella greca connessa all’imperatore d’oriente che contribuì alla diffusione dell’ortodossia in Serbia e in Macedonia.

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L’attuale bandiera della Bosnia ed Erzegovina.

Per garantirsi il controllo della Bosnia, l’Ungheria tentò di recuperare la giurisdizione sui vescovi del Paese, ma il bano Kulin riuscì a impedirlo: gli ungheresi accusarono di eresia la Chiesa Bosniaca facendo riferimento al loro rapporto con i catari che avevano in parte trovato rifugio nella regione, ma Kulin riunì un’assemblea durante la quale confermò ufficialmente la propria fedeltà a Roma e alla dottrina cattolica. Dopo la sua morte il regno si sfaldò e seguì un periodo molto confuso di lotte interne, durante il quale si diffuse anche l’eresia dei bogomili, 2) cristiani che praticavano l’ascetismo e formarono una nuova Chiesa di Bosnia, alla quale aderì un’ampia parte non soltanto del popolo ma anche della nobiltà.
Quando nel 1252 papa Innocenzo IV relegò la Bosnia sotto la giurisdizione vescovile ungherese di Kalocsa, suscitando il malcontento e la reazione della popolazione, i cristiani bosniaci rifiutarono di sottomettersi all’Ungheria e decisero di rompere definitivamente con Roma. La Chiesa Bosniaca fu quindi protagonista di un proprio piccolo scisma, pur continuando a mantenere una teologia essenzialmente cattolica. Il ruolo dell’eresia bogomila all’interno della Chiesa di Bosnia è tuttora controverso, con posizioni di importanti studiosi diametralmente opposte: alcuni sono convinti che i bogomili furono i veri protagonisti della secessione religiosa e che la Chiesa di Bosnia si possa identificare completamente con il bogomilismo; taluni ritengono che l’abbiano influenzata solo in parte, analogamente alla successiva diffusione dell’Islam in territorio bosniaco; altri hanno addirittura screditato completamente questa teoria sostenendo che non esistono prove certe del collegamento tra i bogomili e la Chiesa di Bosnia, e che essa abbia costituito uno scisma eterodosso non appartenente né a Roma né a Costantinopoli, ma nemmeno riconducibile a una dottrina incentrata su principi manichei e dualisti come quella bogomila.
Dal punto di vista politico, nessuno riuscì a creare uno Stato forte e a unire gli slavi bosniaci delle valli, gli abitanti delle montagne dell’Erzegovina, detti vlasi, 3) con i croati cattolici, i serbi ortodossi e gli eretici bogomili. Nel 1299, dopo diversi anni di dominio ungherese, l’area passò sotto il comando dei Subic, importante famiglia croata cattolica che governò su un territorio abitato da popolazioni diverse e sul quale vi erano mire espansionistiche ungheresi, serbe, veneziane e papali. L’unico sovrano che per un breve periodo fu in grado di unire le corone di Bosnia e Serbia fu Tvrtko I, il quale respinse anche la prima avanzata dei turchi ottomani nel 1388. Successivamente i baroni continuarono a combattere tra loro per diverso tempo; in questa confusione gli ottomani, aiutati (secondo la versione più diffusa) dai bogomili, riuscirono a invadere la Bosnia e a conquistarla definitivamente nel 1463. La conquista ottomana segnò l’inizio di una nuova èra nella storia bosniaca introducendo cambiamenti radicali nel panorama politico e culturale della regione. Il dominio segnò l’emergere di una comunità musulmana che divenne maggioritaria anche per i benefici sociali, economici e politici, sebbene i cristiani (cattolici e ortodossi) fossero tutelati per decreto imperiale. Gli ortodossi si diffusero prevalentemente in Erzegovina, mentre gli eretici bogomili si convertirono all’islam influenzandolo con contaminazioni provenienti dalla loro tradizione, permettendo di creare una comunità musulmana peculiare in territorio europeo, abbastanza differente dagli “esempi” mediorientali.
Nel 1492 giunsero in Bosnia, dopo essere stati espulsi dalla Spagna, numerosi ebrei sefarditi ai quali in seguito si aggiunse un altro gruppo aschenazita proveniente dall’Ungheria. Essi vennero accolti dall’autorità ottomana, che concesse loro una buona autonomia e permise di creare un’importante comunità ebraica radicata sul territorio. I rapporti tra le diverse etnie erano quindi abbastanza tranquilli, e la Bosnia durante il dominio ottomano visse un periodo di relativa pace e stabilità.
I turchi ottomani ritenevano che la condizione sociale dipendesse esclusivamente dalla religione: ai musulmani spettava quindi il potere e il comando sul resto della popolazione, e dato che inizialmente detenevano saldamente il potere su tutte le comunità presenti nel Paese, i cristiani e i seguaci di altre religioni erano lasciati liberi di organizzarsi come meglio credevano. Lo Stato continuò a essere una repubblica aristocratica, adesso ufficialmente guidata da un musulmano invece che da un cristiano. Il governatore ottomano era chiamato valì e non interferiva più di tanto con l’amministrazione locale. Sotto di lui agivano diversi nobili bogomili, bey o begovi di origine slavo-bosniaca, che erano soliti imitare nel vestire e nei titoli i costumi dei sovrani della corte di Istanbul.
I nobili bey costituivano la casta militare fondata sui kapetan, governatori locali che si occupavano del controllo e della vita politica di ognuna delle 48 sezioni di territorio in cui era stata divisa la Bosnia e avevano l’obbligo di fornire squadroni di cavalleria per le armate del sultano. Al di sotto della casta dei nobili militari si trovavano i raya, contadini cristiani che lavoravano la terra, pagavano le tasse ai signori e avevano l’obbligo di fornire un numero fisso di figli in dote al sultano come giannizzeri. 4)
Il periodo ottomano si è rivelato un passaggio fondamentale nella storia della Bosnia ed Erzegovina, avendo rappresentato un forte cambiamento con il passato i cui effetti sono vivi ancor oggi, con la diffusione della religione islamica che da allora è diventata maggioritaria nel Paese. Sono quindi mutati anche gli equilibri socio-demografici tra le diverse etnie, gli stili di vita e i costumi della popolazione, e soprattutto il paesaggio culturale della regione, con elementi tuttora presenti come le moschee e i minareti che donano ad alcuni luoghi – Sarajevo su tutti – un fascino incredibile derivante dall’incontro di occidente e oriente, tradizione cristiana e islamica.
Tra il XV e il XIX secolo gli ottomani furono coinvolti in numerose guerre con tutti gli Stati confinanti, soprattutto con l’Austria-Ungheria, e dovettero quindi difendersi dall’avanzata cristiana. L’esercito austriaco in diverse fasi invase il territorio bosniaco, senza tuttavia riuscire mai a conquistarlo completamente. La Bosnia continuò così a essere un possedimento ottomano, ma quarantamila cristiani bosniaci emigrarono in Slavonia poiché, con il passare degli anni, l’aristocrazia musulmana dei proprietari terrieri stava inasprendo la sua dominazione con pesanti obblighi e imposte nei confronti dei contadini cristiani. Fu così che all’inizio del XIX secolo scoppiarono dapprima numerose rivolte, poi vere e proprie guerre che videro inizialmente i cattolici (appoggiati dall’Austria-Ungheria) e poi gli ortodossi (appoggiati dalla Serbia, dalla Bulgaria e dalla Russia) ribellarsi al dominio turco ottomano. I conflitti si conclusero nel 1878 quando il Congresso e il conseguente Trattato di Berlino stabilì che la Bosnia fosse data in amministrazione al governo austro-ungarico, mantenendo però salvo il diritto di sovranità turca sul territorio.
L’Austria-Ungheria procedette all’annessione unilaterale nel 1908. Durante il dominio austro-ungarico cominciò a maturare un forte sentimento di indipendenza da parte di tutti i popoli slavi, che reclamavano la creazione di uno Stato slavo meridionale. Queste rivendicazioni nazionaliste da parte degli slavi del sud culminarono con l’assassinio a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno del 1914, episodio che scatenò la prima guerra mondiale.
Nel 1918, alla fine della Grande Guerra, la Bosnia ed Erzegovina entrò a far parte dello Stato degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi, poi ribattezzato Regno di Jugoslavia nel 1929.
Nel 1941 venne occupata dalle truppe nazifasciste degli ustascià e annessa alla Croazia di Ante Pavelic, diventato il capo dello Stato Indipendente di Croazia (NDH), governo fantoccio direttamente dipendente e subordinato alla Germania nazista e all’Italia fascista che comprendeva la Croazia, la Bosnia e una piccola parte della Serbia.
Al termine della seconda guerra mondiale fu riconosciuta come una delle sei repubbliche costituenti la neonata Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia, fondata dal leader comunista Tito. Durante il periodo socialista la Bosnia Erzegovina rappresentò un modello di paese multietnico e multireligioso in cui si era raggiunto un sereno equilibrio tra le diverse comunità. Abitata per la maggioranza da musulmani – riconosciuti come gruppo nazionale – da serbi e da croati, fu un vero e proprio laboratorio di convivenza tra popoli slavi fondamentale per la stabilità dello Stato jugoslavo, il quale contribuì allo sviluppo e all’industrializzazione dell’area. Negli anni Ottanta con la morte di Tito e la destabilizzazione generale all’interno della Jugoslavia ripresero forza le tensioni etniche, apparentemente sopite, che aumentarono fino a degenerare agli inizi degli anni Novanta.

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L’assedio di Sarajevo.

Gli anni del conflitto

Con lo scioglimento della Lega dei Comunisti di Jugoslavia nel gennaio del 1990 e la transizione verso un sistema pluripartitico, cominciarono ad affermarsi energicamente sulla scena politico-sociale balcanica movimenti d’ispirazione nazionalista: fu il preludio del conflitto. Inizialmente la Bosnia ed Erzegovina non venne coinvolta nella guerra, che riguardò principalmente Slovenia, Croazia ed esercito jugoslavo. Fino al marzo del 1992, a parte singoli episodi poco significativi, non si verificarono scontri tra le differenti comunità nazionali presenti sul territorio bosniaco; tuttavia proprio questa compresenza che per numeri era unica tra gli Stati balcanici rappresentò il principale problema nei mesi successivi ed è uno dei fattori che spiega come il conflitto sia stato particolarmente cruento e tragico proprio in Bosnia.
Di fatto, l’odio etnico era pronto a esplodere in tutta la sua violenza e ferocia. Il 25 gennaio 1992 il parlamento decise di indire un referendum per l’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina dalla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, nonostante la ferrea opposizione dei serbo-bosniaci: il 29 febbraio e il 1° marzo, il 64% dei cittadini votò a favore e così la Bosnia sancì la sua indipendenza. I serbo-bosniaci, che avevano boicottato le urne e preso a innalzare barricate a Sarajevo, dichiararono attraverso Radovan Karadzic, leader del Partito Democratico Serbo, che si sarebbero opposti con qualunque mezzo all’indipendenza. L’Armata Popolare Jugoslava (JNA) schierò così le sue truppe in territorio bosniaco, riuscendo a occuparne i punti strategici più importanti. Tutte le compagini etniche si organizzarono quindi in formazioni militari ufficiali dando vita allo scontro armato.
Il risultato fu una guerra fratricida, la più sanguinosa combattuta sul suolo europeo dalla fine della seconda guerra mondiale. I serbi proclamarono la nascita della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, i croati quella della Repubblica dell’Erzeg-Bosnia, comunità di croato-bosniaci. Dopo che la flebile alleanza tra croati e musulmani venne meno in seguito al fallimento del piano Vance-Owen (presentato dall’ONU, prevedeva la suddivisione del territorio in tre parti etnicamente omogenee), il conflitto assunse la forma di una vera e propria guerriglia di tutti contro tutti. I serbi controllavano la maggior parte delle aree rurali, a eccezione delle grandi città come Sarajevo e Mostar, dove regnavano il disordine e il terrore causato dai bombardamenti continui, e a farne le spese furono purtroppo quasi sempre civili innocenti. Tutti e tre i gruppi “nazionali” si resero protagonisti di crimini di guerra, di azioni di pulizia etnica e di feroci massacri. Drammatica fu proprio la situazione della capitale Sarajevo che rimase sotto assedio per quasi quattro anni, continuamente bombardata dai serbi, costringendo buona parte della popolazione (soprattutto bosniaci musulmani) all’esodo forzato. Dopo diversi errori e altrettante iniziative fallite (tentativi di imporre il cessate il fuoco, stesura di piani di pace, invio dei caschi blu, embargo alla Jugoslavia), la comunità internazionale decise di intervenire concretamente riuscendo a porre fine a uno dei conflitti più terribili di tutto il Novecento.

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Eredità ottomana: moschea e minareto.

Gli accordi di Dayton e l’ordinamento dello Stato

La guerra si concluse definitivamente con gli accordi di Dayton nel novembre nel 1995 (formalizzati a Parigi  il 14 dicembre) che decretavano l’intangibilità delle frontiere coincidenti con quelle già esistenti tra le Repubbliche della Jugoslavia, e la creazione di due entità interne allo Stato della Bosnia ed Erzegovina, dotate di poteri autonomi ma inserite in un contesto statale assolutamente unitario: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (Federazione Croato-Musulmana) e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina o Repubblica Srpska.
Ognuna delle due entità ha un parlamento locale (assemblea legislativa unicamerale nella RS, bicamerale nella Federazione), mentre alla presidenza collegiale del Paese si alternano ogni otto mesi un serbo, un croato e un musulmano nella carica di presidente dello Stato: i tre membri che rappresentano le tre etnie principali vengono eletti a suffragio universale.
Con gli accordi di Dayton, al termine del conflitto la Bosnia ed Erzegovina è stata posta sotto tutela internazionale, e per questo la stessa comunità internazionale ha lavorato e sta ancora lavorando per ristabilire un sistema giudiziario, politico, amministrativo e, ultimamente, soprattutto economico. È stata anche creata la figura dell’“Alto Rappresentante” che si caratterizza come la più importante autorità civile dello Stato, la cui nomina viene garantita dallo Steering Board del Peace Implementation Council e approvata in via ufficiale dal Consiglio di sicurezza dell’ONU.
L’Alto Rappresentante svolge compiti di controllo e supervisione del rispetto degli accordi, con anche poteri legislativi e di rimozione di pubblici funzionari. Esiste un parlamento a livello statale formato dalla Camera dei Popoli (15 membri, 5 croati, 5 bosgnacchi e 5 serbi) e dalla Camera dei Rappresentanti (42 membri di cui 28 eletti dalla Federazione e 14 dalla RS). Anche per quanto riguarda il governo, le tre etnie dominanti devono essere rappresentate in numero uguale tra i ministri: la guida è affidata al presidente del Consiglio dei ministri, nominato dal presidente con l’approvazione della Camera dei rappresentanti e deve essere di etnia differente rispetto al presidente di turno della triade presidenziale.

Il mosaico etnico attuale

La ricostruzione storica delle vicende che hanno profondamente forgiato la realtà bosniaca ci aiuta a comprendere che ci troviamo di fronte a un territorio particolarissimo, segnato dalla compresenza di tre differenti etnie, tutte numericamente significative rispetto ad altri contesti. Ma chiarire il quadro socio-demografico della Bosnia ed Erzegovina non è semplice, in quanto per diversi anni sono mancati i dati ufficiali: prima del censimento 2013 (i cui risultati sono stati però pubblicati solamente nel luglio 2016), l’ultima registrazione ufficiale della popolazione risale al 1991, prima della guerra. Per anni, quindi, le uniche cifre ufficiali a disposizione sono state quelle relative al 1991 e per analizzare l’andamento demografico ci si è potuti basare esclusivamente su stime più o meno attendibili.
Il conflitto ha riscritto completamente le sorti dello Stato e della sua popolazione, che ha subìto una drastica diminuzione per le numerose vittime e per gli altrettanti bosniaci rifugiatisi come esuli di guerra in altri Stati balcanici e nell’Europa “continentale”. Al momento del censimento del 1991, la popolazione residente in Bosnia ed Erzegovina era pari a circa 4 milioni e 377 mila abitanti, di cui il 43% vivente in aree urbane. La composizione etnica vedeva prevalere i bosgnacchi (musulmani) che costituivano il 44% della popolazione complessiva, seguiti dai serbo-bosniaci (ortodossi, 31%), dai croato-bosniaci (cattolici, 17%) e infine da un 8% composto da altre etnie, soprattutto rom, ebrei (in particolare a Sarajevo), ungheresi, romeni (concentrati nell’area di confine con la Vojvodina) e ruteni. 5) In questo censimento il 5,5% si era invece dichiarato “jugoslavo”, non riconoscendosi in alcuna delle tre identità nazionali maggioritarie: si trattava prevalentemente di persone nate da matrimoni misti e da fieri patrioti jugoslavi.

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Composizione etnica della popolazione, censimento 1991 (Stefano Bossi).

Oggi come allora è possibile stabilire una connessione diretta tra identità etno-nazionale e fede religiosa: la storia, infatti, ha costretto popoli differenti a vivere in un’unica entità statale, incoraggiandoli a usare la religione come elemento forte per distinguersi socialmente e culturalmente. Infatti oltre il 90% dei bosgnacchi è di fede islamica sunnita, il 99% dei serbo-bosniaci è ortodosso e l’88% dei croato-bosniaci cattolico. Anche da queste percentuali si può osservare la stupefacente sovrapposizione tra gruppi etno-nazionali e comunità religiose: islam sunnita 45%, cristianesimo ortodosso 36%, cristianesimo cattolico 15%, cristianesimo protestante 1%, altre religioni professate 3%.
Prima della guerra, quindi, i bosgnacchi erano già il gruppo più numeroso costituendo quasi la metà della popolazione complessiva del Paese. Erano stanziati prevalentemente in quella che diverrà con gli accordi di Dayton la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, in particolare a sud di Sarajevo, nella fascia di territorio tra Mostar e il fiume Lim e a ovest di Banja Luka; a ovest di Sarajevo convivevano con i serbo-bosniaci, mentre l’area a est della capitale veniva considerata una vera e propria isola multireligiosa, abitata prevalentemente da musulmani e croato-bosniaci.
I croato-bosniaci vivevano nella zona occidentale della Bosnia a ridosso delle Alpi Dinariche, nella bassa valle della Neretva (in Erzegovina), nella zona settentrionale al confine con la Croazia. In Erzegovina la popolazione, secondo i dati del 1991, era composta per la maggioranza da croato-bosniaci (47,2%), seguiti dai bosgnacchi (25,8%), e dai serbo-bosniaci (21,3%), mentre solamente il 4,2% si era dichiarato jugoslavo e l’1,4% appartenente ad altre etnie.
I serbo-bosniaci erano maggioritari nelle parti rimanenti della Bosnia ed Erzegovina, area che può essere ricondotta pressappoco all’attuale Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, coincidente con la metà del territorio dell’intero Stato.

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Composizione etnica della popolazione, censimento 2013 (Stefano Bossi).

La guerra degli anni Novanta ha cambiato le carte in tavola: migliaia di famiglie sono state costrette all’esodo forzato all’estero, incrementando un flusso migratorio elevatissimo caratterizzato, in una prima fase da richiedenti asilo politico in fuga dalla violenza nei Balcani, e in una seconda, a guerra finita, da migranti economici obbligati a lasciare la propria patria a causa delle inevitabili conseguenze socio-economiche del conflitto. Questi avvenimenti, insieme all’elevato numero di vittime, hanno ridotto drasticamente la popolazione. Si è verificata anche una migrazione interna, dalle campagne verso i grandi centri urbani come Sarajevo e Banja Luka, che ospitano quasi la metà della popolazione totale.
Le aree geografiche in cui le differenti etnie erano stanziate si sono modificate leggermente in seguito agli sconvolgimenti e agli scontri bellici, durante i quali si sono registrati numerosi spostamenti per evitare repressioni e pulizie etniche. La Bosnia ed Erzegovina è stata dunque suddivisa tracciando i confini interni sulla base della situazione etno-militare esistente al momento della firma degli accordi di Dayton, comunque in linea generale abbastanza simile a quella di inizio anni Novanta prima descritta. Analizzando i dati pubblicati lo scorso luglio relativi al censimento effettuato nell’ottobre 2013, è emerso che la componente musulmano-bosniaca è ulteriormente aumentata e costituisce la metà della popolazione: il 50,1% si è dichiarato bosgnacco, i serbo-bosniaci sono il 30,8%, i croato-bosniaci il 15,4%, mentre il restante 3,7% è costituito prevalentemente da montenegrini, seguiti da rom, gorani 6) ed ebrei.
Il 62,85% della popolazione totale vive nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina, il 34,79% nella Repubblica Srpska e il 2,37% nel distretto autonomo di Brcko. 7) Ancora oggi i dati riguardanti la religione ricalcano quasi perfettamente quelli dell’etnia: infatti il 50,7% della popolazione risulta di religione islamica sunnita, il 30,75% ortodossa e il 15,19% cattolica.
La riflessione più importante riguarda sicuramente il calo sostanziale della popolazione, che oggi si attesta sui 3 milioni e 531mila abitanti, con una diminuzione del 19,3% in un quarto di secolo. Dai dati del censimento si è potuto tristemente constatare come tra i bosniaci vi siano elevati tassi di analfabetismo e disoccupazione, elementi che insieme alle sempre presenti problematiche politiche ed economiche dipingono un quadro per nulla idilliaco della realtà sociale del Paese. D’altro canto i rifugiati all’estero si sono ridotti a circa 22.000 unità, anche se il vuoto da loro lasciato insieme alla continua emigrazione, soprattutto giovanile, contribuisce ad alimentare altre criticità come lo spopolamento di intere aree e l’invecchiamento cronico della popolazione.
In Bosnia ed Erzegovina continuano quindi a coesistere fianco a fianco tre grandi gruppi “nazionali” non senza difficoltà di integrazione e di convivenza. Le differenziazioni etniche sono evidenti anche all’interno di apparati sociali come il sistema scolastico, dove bosgnacchi, serbi e croati, anche quando frequentano la stessa scuola, seguono programmi diversi. Il nazionalismo su base etnica, seppur meno intransigente nelle sue forme e manifestazioni rispetto al secolo scorso, è ancora una componente forte nella vita bosniaca e costituisce un ostacolo per la completa integrazione di tutti gli attori protagonisti. Spesso si verificano ancora episodi di discriminazione in numerosi àmbiti come il lavoro, la ricerca della casa, l’accesso ai servizi sociali e la libertà di professare liberamente la propria fede religiosa, che colpiscono cittadini che vivono in zone dove il loro gruppo etnico di appartenenza non risulta maggioritario.

I musulmani di Bosnia

La comunità islamica della Bosnia ed Erzegovina costituisce il gruppo religioso più numeroso e influente dell’intero Stato e si identifica quasi totalmente con l’etnia dei bosgnacchi, oggi oltre 2 milioni in tutti i Balcani. L’islam bosniaco, secondo la teoria più ricorrente, risulta fortemente influenzato dall’eresia bogomila e per questo, nonostante aderisca al sunnismo, presenta particolarità che lo rendono un caso unico nell’àmbito della tradizione coranica. Due sono le principali caratteristiche della realtà bosgnacca: una visione etica della comunità di impronta decisamente più europea a differenza di altri contesti islamici tradizionali, incentrata sulla democrazia e sul rispetto dei diritti umani, quindi relativamente aperta; l’influenza della cultura bogomila che si è tradotta non solo nell’aspetto essenzialmente teologico, ma anche in alcuni momenti della quotidianità. I bogomili infatti erano soliti riunirsi all’aperto per onorare Dio, in luoghi chiamati dova o dovista, e oggigiorno, nei mesi di giugno e luglio, un gran numero di musulmani vi si reca frequentemente per pregare, senza alcuna vergogna per il loro retaggio cristiano-bogomilo. La loro eredità si è infatti mescolata con la tradizione religiosa ottomana portata al momento della conquista, dando così origine a una sorta di ibrido, espressione di un islam locale, bosniaco.

Venti secessionisti dalla Repubblica Srpska

La storia recente della Bosnia ed Erzegovina ha segnato un punto di svolta nel corso del 2014, anno fondamentale per l’evoluzione socio-politica dello Stato. L’anno si era aperto con ingenti proteste di piazza, sintomo di un cambiamento sostanziale della realtà politica che si realizzò poi con le elezioni di ottobre. La sinistra riformista subì una pesantissima sconfitta in entrambe le entità amministrative a opera dei partiti nazionalisti, che da allora stanno emergendo con prepotenza, condizionando l’intero contesto politico bosniaco: nella Federazione l’elettorato islamico si è schierato con l’Alleanza per l’azione democratica (SDA) di Bakir Izetbegovic, i croati hanno invece sostenuto l’Unione democratica croata (HDZ) di Dragan Covic, mentre nella Repubblica Srpska l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD) di Milorad Dodik ha formato una nuova maggioranza confermandosi come forza politica trainante della Repubblica. Questi partiti nazionalisti, sostanzialmente monoetnici, tuttavia a oggi non sono ancora riusciti a risolvere le annose problematiche del territorio, anzi sembra addirittura che la tensione interetnica sia aumentata e stia rasentando pericolose soglie di allerta, il tutto incrementato da una situazione economica perennemente drammatica.
La tensione è salita alle stelle quando, nel novembre 2015, la Giornata della Repubblica Srpska (principale festività ricca di celebrazioni inneggianti all’orgoglio serbo e autoproclamata festa nazionale dell’entità) è stata dichiarata incostituzionale e illegittima dalla Corte Costituzionale di Sarajevo, che l’ha anche definita discriminatoria nei confronti dei cittadini non serbi. Il presidente della Repubblica Srpska, Dodik, ha reagito indicendo un referendum popolare, dichiarato anch’esso incostituzionale, per il mantenimento della festività. Tuttavia il referendum si è tenuto ugualmente il 25 settembre 2016 con esiti inequivocabili: il 99,8% dei votanti si è espresso a favore del sì, risultato che ha confermato la linea incredibilmente “nazionalista” che sta adottando la Repubblica Srpska. Secondo eminenti esperti politici balcanici, l’esito del referendum sarebbe da leggere come una netta presa di posizione in favore della non troppo velata volontà di secessione della repubblica a maggioranza serba la quale, nell’ultimo periodo, starebbe tendendo sempre più verso Belgrado che verso Sarajevo. Se Dodik si è dichiarato entusiasta del risultato ottenuto, i rappresentati degli altri gruppi etnici hanno accusato Banja Luka, capoluogo della repubblica, di minare la solidità dello Stato bosniaco. Anche Unione Europea, Stati Uniti e Turchia si erano dimostrati in disaccordo con l’iniziativa, appoggiata unicamente dalla Russia.
In ogni caso, l’onda lunga del successo referendario ha contribuito a spingere Dodik verso un’ulteriore vittoria conseguita nelle elezioni amministrative di domenica 2 ottobre, quando è riuscito a far eleggere 33 sindaci in città della Repubblica Srpska. In generale le elezioni hanno confermato il dominio incontrastato dei tre più importanti partiti nazionalisti: nelle zone della federazione a maggioranza bosgnacca ha vinto l’SDA, in quelle a maggioranza croata l’HDZ e nella Repubblica Srpska i socialdemocratici indipendentisti dell’SNSD di Dodik.
Le celebrazioni tenutesi regolarmente il 9 gennaio scorso per la Giornata della Repubblica Srpska hanno registrato l’estrema ostentazione della dimensione “autonoma” a livello statale della Repubblica, l’esaltazione patriottica dell’orgoglio serbo, solenne ma a tratti anche abbastanza provocatoria, suscitando così lo sdegno non solo della comunità e delle autorità bosgnacche, ma anche di quelle croate che hanno definito le manifestazioni “artefatte”.
Analizzando la situazione attuale della Bosnia ed Erzegovina, appare chiaro come ci si stia dirigendo verso un sempre più marcato consolidamento su base etnica sia a livello politico sia sociale e culturale. Se da una parte non è ancora chiaro fino a dove l’indipendentista Dodik vorrà spingersi, dall’altra è evidente che la tensione è ritornata su indicatori elevatissimi, avviando un processo di disfacimento dell’equilibrio apparentemente creatosi dopo Dayton. La società bosniaca sembra indirizzarsi sempre più verso l’etnicizzazione in tutti i settori, come testimoniato anche e soprattutto dalla controparte di Dodik, Izetbegovic, che ha organizzato il suo partito secondo un orientamento conservatore ed etnicista che si sta rispecchiando nel contesto sociale statale, qualificandosi come l’esatta controparte del presidente della Repubblica Srpska in uno “scontro” dal quale i due protagonisti traggono vicendevole alimento.

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Parata militare durante la Giornata della Repubblica Srpska.

Un futuro da costruire non dimenticando il passato

La Bosnia ed Erzegovina è senza dubbio una realtà statale estremamente particolare, un Paese il cui assetto politico-amministrativo, organizzato dalla Comunità Internazionale con gli accordi di Dayton alla fine del conflitto che l’ha sconvolto nella prima metà degli anni Novanta, risulta non avere uguali in tutto il mondo. Questa soluzione è stata ritenuta la migliore per permettere la pacifica convivenza delle tre etnie maggioritarie (bosgnacchi, serbi e croati), da secoli stanziate in modo permanente all’interno dei confini statali. La presenza simultanea in numeri così rilevanti di tre diverse etnie è figlia dell’incredibile storia della Bosnia, territorio dove, fin dall’antichità, si sono incrociate popolazioni differenti producendo un vivace mosaico di culture, trasformatosi nel XX secolo – in particolare durante l’esperienza iugoslava – in uno Stato multietnico a tutti gli effetti.
Terra di passaggio e porta d’accesso al vicino oriente, la Bosnia ha rappresentato un ponte tra occidente europeo e oriente ottomano, tra cristianità e islam, ma anche tra cattolicesimo e ortodossia, luogo di incontro tra popoli, tradizioni, civiltà artistiche, stili di vita e culture diverse come quella europea-occidentale, balcanica, mitteleuropea e orientale… Tutti elementi che hanno concorso a plasmare un contesto etnico tanto originale quanto potenzialmente pericoloso. Infatti il grande calderone di popoli bosniaco, caratterizzato da una congruenza quasi perfetta tra carattere nazionale e religioso, è presto esploso sprigionando in tutta la sua ferocia odi secolari repressi e provocando uno dei momenti più bui della storia mondiale recente.
Con gli accordi di Dayton si è strutturato un sistema statale capace di garantire un equilibrio tra le diverse compagini etniche, che sono comunque riuscite a vivere in modo relativamente sereno in questi anni, pur non integrandosi praticamente mai, ma rimanendo forti e compatte come gruppi singoli e separati, ancorati alle regioni dove costituiscono la maggioranza. Alcuni studiosi hanno parlato del post Dayton come di un sistema politico che ha impedito il cambiamento e il miglioramento collettivo della società bosniaca, sostenendo come le differenti comunità siano ancora protagoniste di un conflitto sociale latente, mai terminato completamente. Nel corso degli ultimi due anni la tensione è aumentata ed è palpabile tra i cittadini: il futuro della Repubblica Srpska – di tutta la Bosnia ed Erzegovina – è oggi più che mai incerto; tuttavia gli orrori e le violenze degli anni Novanta sono ancora vivi nella memoria delle persone e nelle ferite del territorio, e ciò dovrebbe rappresentare un monito sufficiente affinché, qualsiasi soluzione venga scelta, non si ripetano i comportamenti e gli errori commessi in precedenza.

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Bakir Izetbegovic e Milorad Dodik.

 

N O T E

 

1) A partire dal 1993 dopo diverse offensive serbe, l’ONU decise di porre sotto propria tutela alcune aree, tra cui la città di Srebrenica, con l’obiettivo di difendere la popolazione civile bosniaca (prevalentemente musulmana) costretta a fuggire dal territorio limitrofo ormai interamente occupato dall’esercito serbo-bosniaco. Nel luglio 1995 l’area, nonostante fosse zona protetta, fu attaccata dai serbi che il giorno 11 riuscirono a entrare nella città compiendo uno dei più feroci massacri del XX secolo, un vero e proprio genocidio in cui le vittime, sepolte in fosse comuni, furono più di 8000.
2) Il bogomilismo è stato un movimento eretico nato in Bulgaria nel X secolo, fondato dal prete Bogumil, che si è poi diffuso nei secoli seguenti a Costantinopoli, in Macedonia, in Bosnia ed Erzegovina, in alcune aree della Serbia, nel sud della Francia e in Italia. La fede bogomila è uno sviluppo del dualismo orientale incentrato su una visione fortemente manichea del mondo, che risultava retto e governato dai princìpi dicotomici del Bene e del Male. Satanael, primogenito di Dio, avrebbe quindi avuto quasi lo stesso potere del padre, il quale avrebbe a sua volta inviato sulla terra Michele, il suo secondogenito, incarnatosi nel corpo di Gesù per sconfiggere il diavolo grazie al suo sacrifico sulla croce. I bogomili praticavano un ascetismo intransigente, rifiutando immagini sacre, sacramenti, parte dell’Antico Testamento e ogni forma di struttura ecclesiastica. Influenzarono l’eresia dei catari, sviluppatasi nel sud della Francia tra il XII e il XIII secolo.
3) I vlasi (chiamati così da serbi e croati) o morlacchi erano un popolo dell’area balcanica che abitava sulle montagne; inizialmente pastori nomadi, furono “romanizzati” completamente tra il IV e il VI secolo.
4) I giannizzeri costituivano il corpo di guardia privato del sultano ottomano, inizialmente formato da giovani cristiani prigionieri di guerra che venivano convertiti forzatamente all’islam e addestrati all’arte militare. Nel 1380, il sultano Orhan I per incrementarne il numero ricorse all’istituto del devsirme, ovvero l’obbligo da parte delle popolazioni soggiogate, quasi sempre comunità cristiane, di cedere i loro figli più robusti al sultano. Il desvirme venne praticato soprattutto in Albania, Bosnia, Serbia, Bulgaria e Macedonia.
5) I ruteni erano un gruppo etnico slavo orientale stanziato in un territorio molto vasto, tra gli attuali Stati di Ungheria, Slovacchia, Polonia e Ucraina, di fede cristiana cattolica e ortodossa.
6) I gorani sono un gruppo etnico di ceppo slavo meridionale originario della regione montuosa di Gora, un’area situata a cavallo tra il Kosovo meridionale, la Macedonia nord-occidentale e l’Albania nord-orientale, di fede musulmana.
7) Il distretto di Brcko rappresenta un’unità amministrativa autonoma dello Stato bosniaco e formalmente appartiene a entrambe le entità: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Repubblica Srpska. Costituito ufficialmente l’8 marzo 2000, è situato nell’area nord-orientale del Paese e ha una popolazione di circa 93.000 abitanti, in maggioranza bosgnacchi.