Cambiando nomi e spostando statue si cercò di cancellare secoli di storia. A quando qualche doverosa iniziativa riparatrice?
Maria Teresa Gaspari
Una delle prime antipatiche azioni che vennero intraprese in Südtirol dopo l’annessione fu quella di cancellare le testimonianze dei numerosi secoli di storia e cultura locali. Si trattò di un’autentica guerra contro i monumenti affinché questi non richiamassero alla memoria delle future generazioni l’autentico substrato della regione, le vere radici etnico-culturali del paese. Vennero distrutti: la fontana di Laurin a Bolzano, il monumento a Trogmann a Merano, i monumenti ai caduti di Bressanone e Brunico (al loro posto furono erette pubbliche latrine), la statua dell’arciduca Enrico a Gries, numerose iscrizioni soprattutto a Merano. La bella statua bronzea dell’eroina ladina Katarina Lanz fu trasportata come bottino di guerra nel museo di Rovereto, dove rimase dimenticata fino alla recente, doverosa sistemazione nella piazza di Pieve di Livinallongo/Buchenstein (Belluno). Le immagini del grande poeta medievale Oswald von Wolkenstein e il busto di Noe non ebbero un migliore trattamento, mentre numerosi nomi di soldati caduti in guerra, scritti sulle croci dei cimiteri di guerra, furono arbitrariamente corretti.
Uno degli atti più significativi fu però la rimozione della statua del grande poeta trovatore Walther von der Vogelweide avvenuta nel 1935 dopo quasi mezzo secolo di permanenza nel centro di Bolzano. È il caso di ricordare che la statua di Dante Alighieri, eretta a Trento nel 1896, non fu mai toccata durante l’amministrazione austriaca che di buon grado ne aveva consentita la costruzione. La vita e l’arte di Walther von der Vogelweide sono in parte collegate con la fervente attività politico-culturale dell’imperatore Federico II di Svevia il quale, qualche decennio prima che Dante nascesse, promosse e sostenne alla sua corte in Sicilia i primi passi della letteratura italiana. Walther e Dante, idealmente solidali con l’imperatore del Sacro Romano Impero, furono i cantori delle virtù dei loro rispettivi popoli, senza che ciò potesse minimamente contribuire a differenziarli nel loro genio.
Entrambi erano figli dell’occidente cristiano nel quale essi si riconoscevano. Soltanto un miope e fanatico nazionalismo volle distinguere i due grandi ingegni anziché additarli come precursori di quel progetto di rivalutazione dell’Occidente che oggi si chiama Comunità Europea.