Relazione del 148esimo convegno sulle minoranze etno-linguistiche, organizzato dal C.I.C.L.V.C. (Comitato Italiano per la Conservazione delle Lingue Vere Calpestate) in località S. Abomaso di Sotto, CZ.
PRESIDENTE
Il millenovecento ed ottantuno
nel giorno ventinove di febbraio
(posto che assente non risulta alcuno
tranne uno slavo e d’albanesi un paio)
do inizio ormai, senza ulterior ritegno,
agli attesi lavori del convegno.
È in giuoco di parlar d’un argomento
che fu intrapreso sedici anni or sono
e che mi pongo, qui, con grave intento
senza cianciar se sia invecchiato o buono:
vuolsi parlar di quei popoli oppressi
che Iddio non muta e son sempre gli stessi;
all’uopo abbiamo qui, al mio cospetto,
il Servio Sani dalla barba fiera,
e al fianco suo quel Recchia, l’amichetto
che il moccolo gli tien da mane a sera
e che proviene dall’urbe patriarcale
per difenderne il verbo originale. 1)
SANI
Ed io ringrazio il vispo presidente
per avermi sì bene presentato,
assicurando a tutta questa gente
che per tanto sarà ricompensato.
PRESIDENTE
Ed io m’inchino, augusto convenuto,
e col cappello in man la risaluto.
SANI
Or dunque, non vorrei che in questo mese
ch’è passato dall’ultimo convegno
foste disallenati alle mie imprese
e aveste rallentato un po’ l’ingegno,
laonde vi ripeto le romanze
delle dodici eterne minoranze:
si sa dunque che l’italo calcagno
pestò le terre da Trepalle a Scilla,
e non riuscì neppure Carlomagno
a raffrenarne l’inclita scintilla;
nobile prosapia, seme imperiale,
Italia! Italia! da Muggia al Quirinale…
E i Celti? Villan bruti, le pianure
verdi d’Emilia e della Lombardia
da quelli ripulimmo, e gran sciagure
s’abbatteron sull’orrida genia:
mantenemmo l’idioma originale
nato ai tempi dell’Uomo neandertale;
anche perché, tacendo i Langobardi,
nessuno venne più a romperci le pale.
RECCHIA
Io credo che sia nato un po’ più tardi,
a dirlo non c’è poi nulla di male.
SANI
Va be’… va be’… ma cerca di zittire
ché ‘l tuo compito è solo d’assentire.
Come nacquero, dunque, le favelle?
Sul prisco strato di latina forma,
dall’Alpi al mar e alle pirene selle,
si sviluppò di lingue una gran torma
che con mirabile presagio, infine,
seguiron tutte l’orma del confine.
Fu così che da Tenda a Monfalcone,
dal Lario oscuro ad Erice eminente,
da Lampedusa, a Spezia ed a Mentone
parla italiano ormai tutta la gente
(c’è chi, però, lo sverba così male
che il motto suo è detto dialettale).
Or, tralasciando il franco e l’ispagnuolo
che son lingue romanze d’altro stato,
vorrei indugiar sull’imperiale suolo
per ricercar come si è sviluppato
questo modo gentile di parlare
che studiò l’Alighier di migliorare;
oddio, quell’uomo l’era un po’ ignorante
poiché spregiava il non parlar toscano,
e peggio il Machiavelli ancor di Dante
che chiamava straniero il siciliano…
Ma già lo so: non c’era ancora il Sani
a spiegar loro ch’erano italiani!
Lo spiego a voi, mio branco di montoni,
e ricordate: qui non v’ha cultura
o corporeo fattore o tradizioni
che possa offrir risposta sì sicura
quanto la lingua e la sua vasta scienza, 2)
e niuno ardisca ad antepor sentenza:
ed infatti, con questo mio pennello,
vo’ benedirvi chi come italiano
e chi marmo d’estraneo capitello,
e qual più vago sia, quale più vano,
chi abbia diritto a certa autonomia
e chi, scornato, torni in Lombardia.
Si sappia che italian son tutti quanti
abbaiano un dialetto della lingua;
e nessun altro, non ci sono santi,
il chiostro delli Dodici rimpingua
poiché, per dirla tutta d’infilata,
questa mia terra è proprietà privata.
Ora vi enuncio tale legge detta
delle Dodici Tavole sacrali:
“Saran difesi nella loro aspetta
tutti quelli che vantano natali
nell’Occitania e nella Valdostana,
nella Slavonia e in terra catalana,
tra i masi del Tirolo ed in Sardegna,
ne lo Friuli e tra le Dolomiti,
tra i Greci d’Aspromonte e nell’Arbegna,
tra i Serbi che si sono stabiliti
nel Molise con velico cimento,
tra i Singari che fan l’accampamento”.
Che mi possa cadere il gran barbone
se tolleriam ch’altrui si faccia innante.
Ora, in attesa della colazione,
invito le persone tutte quante
ad ascoltar le dodici sparate
che ci faranno le lingue tagliate.
RECCHIA (scattando in piedi)
Circa un milione nel Friuli siamo
e parliamo una lingua ch’è ladina…
UNO SPETTATORE (lamentosamente)
O basta, per pietà, già lo sappiamo
ché lo dicesti un sabato mattina
d’un mese fa, e mi chiedo con rimpianto
cosa può essere cambiato nell’intanto.
PRESIDENTE
Stia zitto, lei, sinistro autonomista!
SANI
Taccia, cretino, ed abbia del rispetto,
lei che mi puzza assai di venetista.
SPETTATORE (incazzatissimo)
Sarei furlan da almeno qualche annetto,
e ciò dimostra che da quel suo forno
escon cose di cui capisce un corno.
PRESIDENTE
Riprenda, Recchia, e inver non se ne curi.
RECCHIA
L’Articol Sei della Costituzione…
UN VENETO
Un momento, un momento… Siam sicuri
d’aver udito qui certe persone
dir “venetista” con dispregio strano,
tenendosi le barbe con la mano.
Sappia colui, dai detti troppo caldi,
che più lo vedo e più mi rassomiglia
a Carlo Marx e al turpe Garibaldi,
dal che ritengo siane di famiglia
vuoi con l’Italia, vuoi con quel partito
che schiacciano i minori con un dito.
SANI
Lei è un fascista…………………
VENETO
……………………….e lei stia pure zitto
ché questo suo forzar la divisione
prima di lei fu fatto a mal diritto
dagli sgherri d’un certo mascellone:
se ben rammento, con voraci morsi
vorrebbe pure lei inghiottire i Corsi.
Ma già si sa, la lingua è proprio tutto,
specie per chi non ne capisce un’acca…
E dica un po’, secondo il suo costrutto
ch’attorno al verbo tutto il mondo insacca,
che cosa ci ha da parte per domani:
un’unione tra Inglesi e Americani?
O i peruviani dall’incaico tratto
che parlan castigliano un po’ all’antica,
con la Spagna dovran fare contratto?
Oppur sentiamo: che fanno in Martinica?
Dovranno esser contenti, a vuota pancia,
di rimaner per lingua con la Francia?
Mi sembra lei un tantino sul fascista.
E mi scusi, sa cosa la frega?
Questa mania di fare l’ebanista
senza distinguer tra martello e sega!
Lei si è svegliato un giorno e si è riletto
sul Palazzi la voce del “Dialetto”.
Ma non sapeva, ingenuo fan di Roma,
che i calepin son fatti dai regimi,
e che lingua, dialetto, argotto, idioma,
son voci che sentono dei climi?
Provi a leggere un testo piemontese
e se lo studi per quell’altro mese.
UN PIEMONTESE
A dire piemontese torna in mente
che da Cuneo io sto poco distante,
e non mi sento punto differente
dal vicino che parla provenzante;
anzi, mio zio biastìma in usitano
e il fatto non ci pare affatto strano.
Strano sarebbe invece, e cosa vieta,
se costui riuscisse nell’impresa
(dato che crede d’essere un profeta)
di dar l’autonomia come la fesa:
continueremmo questa stramba unione
ma con in più trovate da coglione.
V’immaginate voi d’esser stranieri
(e forse giustamente) coi cugini
che vivono con noi fino da ieri
sulli medesimi alpeggiari alpini
e che son nati dall’istesso seme
(le stirpi celtiche che Roma teme)
eppoi fare i parenti coi moreschi
di Puglia e di Sicilia, che tra l’altro
non sono sempre lì coi culi freschi
ad aspettar che qualche tipo scaltro
li rapini di lingua e di cultura
per far l’Italia più compatta e dura…
Mi sa che lei, Caronte da dozzina,
abbia ufficio di limitare i danni
e cavalcar, per Pincio e Farnesina,
l’autonomismo coi più turpi inganni,
in guisa da elargire un contentino
ai popoli che fanno più casino
e trattener nel cesto tricolore
i corbellati dal risorgimento.
SANI
Non si permetta, gran provocatore,
od io mi strappo qui l’onor del mento.
VENETO
Si tagli pure quello che le sorge,
ché nell’uomo non sol la lingua sporge.
Ma quand’anco esistesse solo glossa
e non fosse colì a testimoniare
che dietro ci sta un uomo in carne ed ossa,
dovrei con tatto farle rimarcare
che lei, malgrado la presupponenza,
apprese il tutto per corrispondenza:
non le hanno detto mai che certe lingue
che osa chiamar dialetti erano vive
prima ancora che il bel parlare pingue
si snocciolasse d’Arno sulle rive?
Ma chi? chi mai le diede l’imbeccata
di far la filològia romanzata?
Eppoi, che cribbio parla la Toscana?
Vernacolo? dialetto? dialettaccio?
A me la cosa sembra un poco strana
dacché studiai che questo italianaccio
discende dal toscano assai diretto
(e storpiandolo bene è un suo dialetto!).
Siamo seri. Vogliamo ritrovarci
tutti i mesi a isfogliettar manuali?
Di modi ve ne son per rannoiarci
senza far la figura dei boccali.
Questi convegni sono sacrestie
dove la gente sfoga le sue ubbie,
dove si resta le giornate intere
a ragionare se la sacra sfinge
si nutra con la bocca o col sedere,
se l’alma umana con il sole stinge,
se gli angeli sublimi e altisonanti
svolazzino all’indietro o sul davanti.
E intanto questo stato coloniale
si scompiscia ridendo a crepapelle
ché noi siam qua, con fare bimestrale,
ad ascoltare ‘ste relazioncelle
e a pietire, con tono un po’ dimesso,
che ci diano la carta per il cesso.
SANI
Sono offeso e richiedo al presidente
che faccia porre fine a tanto sconcio.
PRESIDENTE
Credo anch’io… Mi par che vi sia gente
ch’ai sottoscritti sta tenendo il broncio.
Rimando ad altra data l’intenzione
d’ascoltare una vera relazione.
Tot anni dopo… 3)
PRESIDENTE (decrepito)
Amici cari e illustri convenuti,
al gran piacere levo la stampella
di rivedervi, ancor che un po’ canuti.
Veggo anche gente nuova e giovincella:
ci speravo d’avere altre adesioni
malgrado ciò che han detto le elezioni.
Lo sapete, son quasi dodici anni
dacché l’illustre nostro sodalizio
non posa più le chiappe sugli scanni:
l’altra volta ci mandò a picco un tizio,
un venetista se non vado errato,
e qualche meccanismo s’è inceppato.
Sarà l’età, sarà cambiato il vento…
Fatto si è che con ingrati piedi
ci han dato certi sindaci nel mento
quattro calci negandoci le sedi
nei paesi del nostro Meridione
dove noialtri, con circospezione,
ci si dava il mensile appuntamento
(lo facevam da sedici anni almeno,
noi, trentasette gatti) nell’intento
di ritirarci in posti senza treno…
A qual fine? Tenere ben lontani
quei diavoli di Veneti e Padani.
Ma i diavoli ci han messo lo zampone.
Con quello ch’è successo il cinque giugno, 4)
i sindaci mi han fatto un cazziatone:
“Lingue tagliate…” han detto. “Ma nel grugno!
Autonomista sei. Con voi, si sa,
addio pensioni d’invalidità!”
Pensate: il vostro prode presidente,
ch’alla Patria ha donato mente e braccio,
scambiato per un emulo fetente
dell’Umberto e di quei che tiene al laccio!
Scambiato per un fan mezzacalzetta
di Miglio, di Speroni e di Rocchetta!
Ed è per questo che, col cuore rotto,
i nervi tesi ed una man sull’ano,
vi ho convocati qui nel Varesotto
sotto l’ombra di Alberto da Giussano:
profittiamo di queste quattro stanze
per parlar delle eterne minoranze.
FRIULANO (scattando come una molla)
Cioè, se ben ricordo siam ladini…
o almen così diceva il padre mio…
PRESIDENTE
Ehi, calma, mica è roba da bambini.
Ma dov’è il delegato, sant’Iddio?
FRIULANO
Cioè, che cacchio… io non ne so una sega,
ha piantato la mamma e vota Lega.
PRESIDENTE
Vabbé, vabbé, pensiamoci piu avanti.
Non terminai di dirvi le legnate
che prendemmo da questi sacripanti.
Alcune etnie si sono dileguate…
ciò vale per il popolo occitano:
cercare chi lo parli riesce vano.
Altri per anni li abbiamo ricercati,
Provenzali del sud, poi Catalani,
e i nobili Albanesi, ed i Croati,
siam finiti persino tra i Grecani,
ma ci han risposto: “Quanto siete illusi…
a Roghudi ce stan solo mafiusi”.
Capite, sono tentativi vani:
siam privi della testa, del cervello;
da quando è morto il grande Servio Sani
ci mancan cuore, muscoli e l’uccello.
Neppure il Recchia oggi è qui presente,
da tre anni non se ne sa più niente.
Del Sani devo farvi relazione
(mi scrive cartoline dall’inferno).
Chiederete: perché la decisione
di render questa visita all’Eterno?
Saprete bene ch’egli era minato
dal fatto che nessun l’ha più cacato.
Con tutto quel che ha speso per la gente
spiegandole chi fosse e chi non fosse,
malgrado la sua tesi intelligente
che le etnie stanno bene se son rosse
(e l’Unione Sovietica, notava,
le diverse nazioni rispettava),
malgrado questa sua lungimiranza,
il volgo non gli ha dato alcun ascolto
e seguendo i richiami della panza
al turpe Umberto Bossi s’è rivolto.
Ma non per questo il grande Servio Sani
s’è strangolato con le proprie mani:
a infliggergli l’estrema bastonata
fu infatti, una mattina al suo risveglio,
scoprire che durante la nottata
Firenze aveva fatto ancora meglio:
anche la sua Toscana socialista
aveva un movimento autonomista!
E fu così che lui scelse la morte.
Orbene, se qualcuno vuol sapere
quale destino gli è toccato in sorte,
dirò che il Sani ha guai con lo sfintere…
Ma si vada per ordine. All’averno
l’hanno assegnato ad un girone interno.
Per l’esattezza il cerchio è quello ottavo,
sesta bolgia a sinistra, quarta porta;
dal bigino di Dante ne ricavo
che quello è un posto pien di gente morta:
son gli Ipocriti, e tutti abbiam studiato
qual fosse di costoro il gran peccato.
Come ci narra appunto la Divina,
si tratta in buona parte di marxisti
ch’han tramato da sera alla mattina
per fare gli infiltrati tra i trappisti,
i verdi, i francescan, gli animalisti,
i tossicomani e gli autonomisti.
DELEGATO
Presidente, va be’… ma il contrappasso?
PRESIDENTE
Ci sto per arrivare, e vi assicuro
ch’è proprio roba da restar di sasso:
il supplizio del Sani è ancor piu duro
poiché, malgrado la sua assegnazione,
d’ufficio l’han cambiato di girone.
Nel terzo ora si trova, cerchio sette,
e tutti voi che siete assai periti
e le strofe di Dante avete lette,
saprete ch’è il giron dei Sodomiti.
SPETTATORE
Ma che c’entra con loro il satanasso?
PRESIDENTE
Proprio nulla. È questo il contrappasso!
Dovendone subir d’ogni colore,
il misero che fa? Va nella stanza
del capobolgia e chiede per favore
se lo status gli dan di minoranza:
lui è Ipocrita, mica un depravato,
e come tal vuol esser tutelato.
Al che, cosa risponde il dirigente?
“Caro amico, ti piaccia o non ti piaccia,
delle tue istanze non ci frega niente:
quaggiù le etnie si scelgon dalla faccia
e a quello che vediamo, vecchio mulo,
tu ti ritrovi una gran faccia a culo”.
V’è da dire però, e poi concludo,
che al Maestro han lasciato carta e penna;
lui si siede (a fatica) e tutto nudo
scrive per noi un’altra bella strenna:
un saggio ponderoso ed indefesso
sui popoli ex sovietici di adesso.
ETNISTA
Non è che il buon Lucifero, là sotto,
gli lascia tutta questa indipendenza
per calcolo diabolico e corrotto?
Forse – spera – con l’ultima scemenza,
dopo aver rotto tra la nostra gente,
riuscirà a fare danno anche in oriente.
PRESIDENTE
Ecco, ci siamo. C’è il provocatore.
Cos’è lei, della Lega o della Liga?
ETNISTA
Le giuro, presidente, sul mio onore
che nessuno m’ha ancora messo in riga.
PRESIDENTE
Allora proseguiamo. Relazione su
“Tutela di Lingue in Estinzione”.
RELATORE
Com’è noto, illustri professori
da Napoli e da Roma convenuti,
maestrine dalle classi bicolori
e sociologi giovani e barbuti,
suore, docenti di argomenti vari
ed assessori e demoproletari,
incettator di tradizioni e canti,
cultori di culture popolari,
psicologi infantili, preti, amanti
degli zingari Sinti o Calderari,
e poetesse e saggisti del Mulino,
studiosi del linguaggio del bambino,
e giornalisti ironici o dormienti,
linguisti, animatori e dialettologi,
ed esperti di popoli e di genti,
e ghirondisti ed etnomusicologi,
rappresentanti della cigielle,
cantautrici, mondine e menestrelle,
comitati di base e antifascisti,
venditor di riviste col banchetto,
verdi atesini e anarco-esperantisti,
grecani provenienti dallo Stretto,
ragazze dai confini dell’impero
con le magliette di Non Solo Nero, 5)
com’è noto il bambino ch’è alloglotto
soffre assai se la lingua gli si piglia,
onde si tace e più non esce motto
se non usa l’idioma di famiglia…
Ho detto lingua per essere corretto:
non soffre se si tratta di dialetto.
Così lo Stato, con provvida apertura,
pensa di spalancar la bocca a certi
mentre, ovviamente, ad altri gliela tura.
Chi e come, lo decidono gli esperti…
quali esperti? Io non l’ho mai capito,
ma ormai s’usa così da tempo avito.
PRESIDENTE
Mi meraviglio, professore egregio.
Ben fu il Sani a scolpir nel travertino
le lettere immortali, l’almo fregio
onde sappiam chi conta e chi è un cretino.
RELATORE
Ha ragione, ha ragione, chiedo venia.
PRESIDENTE
Grazie a lui cacammo via la tenia
di chi faceva d’ogni erba un fascio;
e capimmo, di colpo illuminati,
che tutto andrebbe tosto a catafascio
se questi non avessimo isolati.
Però oramai la regola è solenne,
anche se il Sani non ne è uscito indenne:
legittima è l’attesa di coloro
che vogliono per sé l’autonomia
purché parlino lingua tra di loro,
e non un dialettaccio checchessia:
in tal caso, ci insegna il giornalismo,
siamo di fronte al particolarismo.
RELATORE
La ringraziamo per il chiarimento.
Dunque, dicevo, abbiamo ormai la legge
votata ratta ratta in parlamento
secondo cui lo Stato che ci regge
or consente benigno al minorato
di favellare in turco a perdifiato.
GIORNALISTA
Ratta ratta… eh, sì, lo può ben dire.
Come notano alcuni intellettuali,
nella realtà ben altre son le mire:
lo Stato calabrache a questi tali
ha regalato la caramelluccia
per tenere il leghista zitto e a cuccia.
Ah, l’ha capito bene il buon Vertone… 6)
Per timore del Bossi la reggenza
ha barattato l’unità e il blasone
concedendo una trista indipendenza.
Lottiamo per abbatter le frontiere,
ed eccone di nuove……….
PRESIDENTE
………………………Stia a sedere.
La Lega qui non c’entra. È un improperio!
RELATORE
Gentile amico, io mi maraviglio.
O davvero, le sembra d’esser serio?
Venire qui con tanto di cipiglio
a accusarci di fare comunella
con gli uomini del Bossi, quel Brighella…
Tenga in tasca la politologia
e pensi che ricchezza pel Paese
questo cantico in dodecafonia,
questo tener le tradizioni illese,
e come dice il professor De Mauro…
ETNISTA (balzando in piedi)
Ma lasci perdere quel dinosauro!
Signori miei di questo Comitato,
qui lo dico, lo affermo e lo rincaro:
il gruppo vostro va ribattezzato
“Club Italiano Amici del Giaguaro”.
Altro che slavo, mocheno o francesco,
sotto sotto parlate romanesco.
O guardatevi un poco, invertebrati:
per difendervi da ‘sto fanfarone,
da questo leccator di potentati
che pende dalle labbra di Vertone,
invece di risponder per le rime
allo schiccheracarte di regime,
non sapete far meglio che spiegare
quanto è bella la lingua della Valle
o come il sardo a scuola è da insegnare.
Sfoderatele infine queste palle!
Parlate un po’ quel cacchio che vi pare,
e non statevi lì a giustificare.
D’altro canto, se voi appena appena
masticaste qualcosa dell’etnismo
e in politica non faceste pena,
mai più indulgereste al solecismo
di dire a questo mezzo deficiente
che la Lega non c’entra proprio niente.
C’entra bensì! O meglio, la Padania
(non diamo peso al verde movimento),
però nel senso opposto a ciò che smania
il firmatario d’esto documento
secondo cui la legge va abrogata
ché l’Italia non resti frantumata.
Non capite, perdio, che tale legge
non è pro Lega, è totalmente avversa!?
Qui si dà il contentino a poche schegge
e Padania per Roma non è persa:
non comparendo nella prosapia,
non potrà più sognar l’autonomia.
PRESIDENTE
Lei è un cialtrone ed un villano quadro,
tuttavia fingiam che abbia ragione:
come farebbe il governante ladro
a perfezionar la detta operazione?
ETNISTA
Se vostra signoria mi dà un momento,
andrò a spiegarle mo’ il procedimento.
Cosa succede quando un gruppo umano
leva gli scudi contro il suo governo?
Lei, laggiù, che mi sventola la mano…
SPETTATRICE
Ne sorte fuori un bel conflitto eterno.
ETNISTA
Oddio, tra tutti quelli della lista
vo’ a beccarmi diritto il pacifista…
Va bene, glielo leggo negli occhiali,
lei mi parla di balcanizzazioni;
è curioso però che sui giornali,
nello scriver di tali situazioni,
la colpa cada sempre su chi scappa
e mai sul centralista che lo acchiappa.
Comunque voglio dir che la platea
viene educata a dare un po’ più assenso
alla piccola etnia; talor si crea,
direi, un afflato un ciccinin più intenso
se il tal popolo è lacero e affamato
e dal centro in ricchezze è soverchiato.
Or la Padania è ricca, assai potente,
il che già non ispira simpatia
rendendola anzi invisa a certa gente;
immaginate allor che sorte ria
se la scienza sancisse per decreto
che il suo “vento del nord” è solo un peto.
“Cosa voglion costoro”, si direbbe.
“Da difender non han lingua e costumi”.
E in un amen v’è chi penserebbe
che chiudiamo la madia dei salumi,
che siam stufi di dare panettoni
agli italian più poveri, i terroni.
GIORNALISTA
Guardi, non vorrei darle del fascista,
ma questa è ben la tesi del suo duce.
Ora mi pare proprio ch’egli insista
nel minacciar di togliere la luce
alle region che storica disdetta
trattiene dal pagare la bolletta.
PRESIDENTE
Signori, ginocchioni io v’imploro
di non montare risse da taverna…
ETNISTA
Non vorrei mai guastarvi il concistoro,
ma questo scrivitore mi costerna!
L’ho già detto: che fulminato fossi
se mai son stato succubo del Bossi.
Ma con il giornalaio non ci parlo.
Non son qui per vedere centralisti,
ce n’è già troppi in giro con quel tarlo.
Mi premono assai più ‘sti etnolinguisti
che in fondo in fondo sono miei colleghi,
anco se non han tempra di strateghi.
Già: foste voi, che il diavolo vi porti
come ora porta il vostro caposcuola,
a inventar per le etnie i più gravi torti
grazie ai vostri lambicchi da pistola,
pei quali una fetente fricativa
del suo futuro un popolo depriva.
Ah, certo, in primis li sceglieste bene
i papabili dalla glottologia,
periferici come si conviene,
laggiù sminuzzicati in Arberia,
lassù solinghi ad arrancar sul tetto,
o dove ci si arriva col traghetto,
tutti poveri, laceri e affamati, 7)
senza ubbie per la testa tranne il pane,
con la provvida assenza d’immigrati
che come ben sappiamo, porco cane,
han sempre più diritti del locale
e se usi la tua lingua restan male.
Da Roma foste dunque tollerati,
non vi squartò con la sua draghinassa:
per quattro gatti un poco tutelati,
poteva continuare a far man bassa
portandosi il bottino nella fogna
da Milano, Torin, Zena e Bologna.
Ecco perché parlavo di giaguari,
né è un caso che andiate ormai d’accordo
con quei ladroni di parlamentari.
RELATORE
Ma lei vaneggia, a udirla mi rimordo.
Non penserà che abbiamo fatto questo
per guadagnar qualcosa, o la contesto.
ETNISTA
No, non tutti, non siete così furbi.
Non penserei sì bene di qualcuno
che con i congiuntivi si masturbi.
Bisogna giudicar per ciascheduno.
Per esempio, son gli universitari
quelli che hanno prestato i tafanari.
Costoro, per non perder la cadrega,
ci fanno in tutta Europa la figura
di star nella linguistica congrega
che non distingue il ci dall’esse impura;
e d’altra parte il rimaner baroni
val bene una figura da piccioni.
Lo sapete, da secoli ai linguisti
da parte dei governi si dà incarco
di completar lo strazio dei conquisti,
di dire che dai tempi di Plutarco
parlavano un dialetto non distinto
dalla lingua del popolo che ha vinto.
Così se in Francia, terra dei formaggi,
dissertan sulla lingua piemontese
pubblicandone succulenti saggi,
qua, nella patria del politichese,
volgarissimi allievi del Devoto
ti scrivon ch’è un dialetto un po’ ostrogoto.
Ecco, costoro sì son falsi e lerci.
Ma di certi altri non potrei affermare
se non che son culturalmente guerci.
Tra di loro mi vien da nomentare
quelli che quivi incarnano le istanze
delle dodici sacre minoranze.
Linguistica, ne san quanto ne sa
lo culo mio di termoconvettori,
ma studiandosi il Sani qua e là
adesso già si credono dottori.
La bislacca teoria duodecimale
te l’hanno digerita tale e quale.
Scusate, ma è un bel fare da straccioni!
Dite: se noi ci distinguiam dagli altri,
ci pappiamo da soli quei bocconi
che lo Stato riserva per gli scaltri.
Macché scaltri, voi siete di gran fessi
ché i vostri Movimenti sono lessi.
Pei popoli del Nord, se tu li guardi,
non v’ha un’Italia e dodici brandelli;
non fanno comunella con i Sardi
che bene o mal ritengon terroncelli,
e (vo’ veder qua dentro chi lo nega)
votan tutti compatti per la Lega.
PRESIDENTE
Già lo sappiam: l’Italia a campanile.
Torniamo tutti al secolo Ottocento!
ETNISTA
Oh, presidente, inghiotta la sua bile
e lasci stare un po’ il Risorgimento.
Non dico affatto che d’ogni regione
faremo stato, etnia oppur nazione.
Alcune lo sono ad ottimo diritto,
altre sono soltanto fanfaluche;
certe son Stati affranti da un conflitto,
altre non son che italiche festuche…
ma un criterio tra li più importanti
è chieder cosa pensan gli abitanti.
Fatto si è che in questo calderone
ordito da un ex Stato coloniale
(che mo’ per contrappasso è una Regione)
ci hanno messo ogni sorta d’animale;
meglio… le specie in gabbia sono due:
l’asino in una e dentro l’altra il bue.
In una v’ha il mediterraneo seme,
nell’altra il Centroeuropa cosiddetto;
in una il tempio greco e la trireme,
dentro l’altra il bicorno sull’elmetto;
da una parte Tirren, Greci e Romani,
dall’altra Celti, Veneti e Germani.
Or son tremila anni che i due mondi
si scontran con le mani e le parole,
e adesso voi vorreste avere i fondi
per spingerli a ballare le carole,
non però, nel complesso, da sodali,
ma creando alleanze trasversali.
PRESIDENTE
Adesso la finisca, per favore.
Non possiamo qui stare ad ascoltarla
cianciare senza sosta per tre ore…
Ehilà, cos’è questo baccan? Chi ciarla?
RELATORE
A guardar dai vessilli biancorossi
direi che c’è la Lega, e in testa il Bossi!
BOSSI (irrompendo con i suoi scherani)
Olà, signori, parmi si disserti
di questioni ch’attengono la Lega.
Non avete chiamato i nostri esperti
e questa cosa proprio non si spiega.
Prima fila, spostarsi verso il muro
e lasciare le sedie a chi l’ha duro.
Tu, o Speroni, assidi alla mia destra;
alla mancina stia Rocchetta il Calvo;
Farassino vicino alla finestra;
e, a conseguire ch’io sia fatto salvo
dall’atroce sospetto di finocchio,
mi acculo la terrona sul ginocchio.
Vedete, la deputatessa nera
(prugnona, vero? come ce n’è rare)
mi serve sia di giorno che di sera:
l’accusa di razzismo per sfatare,
eppoi perché m’attizzan queste donne
con il sole del sud sotto le gonne.
PRESIDENTE
Condivido il suo gusto femminile
ma, di grazia, chi mai le ha aperto l’anta?
Perché trasforma il loco in un canile?
Perché arrivate qui in centocinquanta
nelle sale che vengonci affittate
dal lombardo comune di Gazzate?
FORMENTINI
L’improntitudine di questo allocco
fa pari e patta con la sua ignoranza…
Siam noi il comune di Gazzate, cocco,
proprietari di questa ed altra stanza.
E come dice il Capo ogni mattina,
lo decretò l’elettoral gabina.
PRESIDENTE
Per l’ennesima volta col martello
dichiaro qui conclusa la seduta.
Però vi giuro, o mangerò il cappello,
che la dottrina non andrà perduta,
e prima di riporre il nostro emblema
lancerò sul nemico un anatema.
Da quinci innanzi, pei decenni e i lustri,
scantonando i saper, le scienze e il fato,
gli autonomismi ed i divorzi illustri,
le opinioni dell’Onu e del Papato,
libri rossi diffusi dall’Unesco,
plebisciti del popolo marchesco,
il nostro spirto per metempsicosi
rivivrà incarnato in qualche schiappa;
anzi, saranno sempre più copiosi
a cancellar la Gallia dalla mappa:
la genetica stessa ce l’insegna,
la mamma dozzinale è sempre pregna!
NOTE
Questo poemetto serve a fare un po’ di storia dell’etnismo in modo scherzoso… E ci mancherebbe: la storia delle etnie è fondamentale, quella dell’etnismo è solo autoreferenziale e anche barbosa. Barbosa come i convegni che organizzazioni quali l’AIDLCM (l’associazione internazionale per la difesa delle lingue e culture minacciate) e altre tenevano nelle località più disparate e spesso irraggiungibili, nel periodo a cavallo degli anni Settanta e Ottanta. Piccoli raduni esoterici in cui i rappresentanti di comunità etniche talora microscopiche – seppur preziosissime, per carità – ripetevano ogni volta, a mo’ di lamentazione, un elenco di 1) numero dei parlanti, 2) problemi della lingua locale, 3) richieste di riconoscimento e difesa allo Stato italiano in base all’Articolo 6 della Costituzione, che “tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”; salvo che le suddette minoranze, per essere tutelate, devono esistere e l’esistenza è decisa dallo Stato italiano che non le riconosce (a parte quelle imposte da trattati internazionali).
Questa antica mentalità servile, che elemosinava un cenno di benevolenza dallo Stato centrale senza alcun rischio per la Saldezza della Nazione (cos’era un esiguo milioncino di alloglotti di fronte alle decine di milioni di genuini italofoni?), traeva linfa da etnisti della prima ora come François Fontan o Gui Héraud, gente benemerita oltralpe ma che non sapeva un accidente della “nostra” situazione antropologica; e soprattutto da un libro (non lo nominiamo neppure, considerati i danni che ha fatto) in cui si elencavano le Famose Dodici Minoranze, tema del nostro poemetto, individuate non si sa in base a quale criterio.
Malgrado allora l’etnista forse più autorevole a livello europeo fosse il piemontesista Gustavo Buratti, colonna portante di riviste come “Etnie” e “Musicalbrandé”, che aveva bene in mente il vero superconfine linguistico neolatino, cioè la Linea LaSpezia-Senigallia, la fesseria delle Dodici Minoranze continuò a prosperare e fu persino al centro di varie proposte di legge. Considerato che si trattava di buffonate partorite da partiti italiani e mai approdate a nulla, si comprende perché questa filosofia abbia avuto successo presso la stampa ufficiale e le università italiane (non straniere, però): un modo per far finta di difendere le minoranze senza mettere in forse la sostanziale monoliticità degli italiani. Un trucco, inoltre, per dare un contentino a comunità marginali, tenendo al guinzaglio colossi come le regioni padane e il Veneto (e di autonomismo, manco a parlarne).
Nel nostro poemetto, l’estensore del famigerato saggio sulle Dodici Minoranze ha lo pseudonimo di Servio Sani, e non c’è dubbio che venga trattato malissimo. Corre però l’obbligo di specificare che questa narrazione è scherzosa, quindi esasperata, e che è stata scritta prima che lo stesso Sani, nella realtà, ammettesse di aver commesso un errore, riconoscendo lo status di lingue alle parlate della Padania e del Veneto. In questo senso ci scusiamo con lui per l’irrispettosità, lodandone (seriamente) il coraggio e l’onestà intellettuale.
1) Recchia è lo pseudonimo di un attivo friulanista, nonché dodicista sfegatato.
2) Una delle caratteristiche dell’etnismo primigenio alla François Fontan è l’individuazione della lingua come pressoché unico indicatore di un gruppo etnico. La teoria è:
a) Illogica: per esempio, un colonialismo ormai plurisecolare ha fatto sì che interi continenti parlino lingue europee, talché gli americani dovrebbero essere di etnia inglese, i brasiliani o i mozambicani di etnia portoghese e gli incas o i maya di etnia castigliana, il che fa ridere. E il popolo scozzese – il cui gaelico originale viene usato da 100.000 persone al massimo – smetterebbe di esistere. E non basta: il cornico (altro tipo di gaelico) si è estinto nel ‘700, quindi gli abitanti della Cornovaglia non sono un’etnia; ma siccome da qualche anno hanno ricominciato a parlarlo e si sta ridiffondendo, tra poco la ridiventeranno…
b) Iniqua: con la fatica che si fa a mantenere le lingue non statali, andiamo anche ad aggiungere la beffa al danno.
c) Pericolosa: se sono gli stessi oppressi a ragionare così (Fontan era provenzale o, come usava lui, “occitano”), agli oppressori basta eliminare un solo tratto etnico, cioè quello linguistico, per spazzare via qualsiasi rivendicazione.
3) C’è un salto di parecchi anni nella narrazione (ma anche nel periodo in cui viene scritta). Storicamente, dal negare l’esistenza delle etnie padane, si è passati all’esplosione dell’autonomismo marcato Lega. I due mondi si scindono sempre più: gli etnisti da AIDLCM si tuffano in un esasperato culturalismo, patetico e inascoltato, mentre dall’altra parte il vento padanista li sovrasta, ma non è capace di darsi una base scientifica. Un notissimo politologo che scrive sul Corriere osservava (siamo intorno a metà degli anni ’90) che se i leghisti fossero stati capaci di comunicare culturalmente, di trasmettere la celticità e l’orgoglio di una tradizione non latina alla borghesia delle grandi città del nord, l’unità d’Italia sarebbe andata a catafascio. Il tizio l’aveva capito, Bossi no…
4) Riferito alla presa di Milano da parte di Marco Formentini. L’occasione più sprecata nella storia dell’autonomismo mondiale, con l’insediamento di un sindaco che proclamava: quello padano non è un problema etnico ma economico.
5) Occupandosi di comunità non ricche e possibilmente indirizzabili contro la cattiva Padania, queste riunioni cominciano ad attirare un nuovo tipo di fauna.
6) Saverio Vertone, uno degli innumerevoli giornalisti che al tempo si dannavano per inneggiare all’Unità d’Italia. E più la Lega prendeva voti, più loro scrivevano articoli. Quanto al personaggio del “giornalista”, qui, utilizza il Sommo Slogan dei centralisti, che recita così: “Ma come, lottiamo per abbattere le frontiere, e voi ne volete tirare su di nuove!?”
Il concetto è, comunque, che le risibili proposte di legge per insegnare le 4 o 5 lingue minoritarie (qui si accenna alla legge 612 del 1991), concepite per tenere a bada i padanisti, vennero interpretate da alcuni uomini di genio esattamente al contrario, cioè come una “pericolosa rinascita del localismo. E in una nazione come la nostra” – scriveva La Repubblica – “dove non c’è un forte senso di coesione nazionale, i municipalismi e i particolarismi portano acqua al mulino dello sfascio e del degrado del Paese”. Paese che evidentemente non si sentiva tale, ma transeat. Nel ’91, storici come Valerio Castronovo, Massimo Salvadori e Nicola Tranfaglia, il politologo Gian Enrico Rusconi e l’immancabile Saverio Vertone accusarono i partiti di avallare ciò che costituiva “un vero e proprio attentato all’unità culturale della nazione italiana”, facendo sprofondare il Paese in un buio particolarismo localistico e “avvicinando l’Italia più alla Jugoslavia che all’Europa”.
7) Fulminante osservazione mutuata dall’augusto piemontesista Giuseppe Goria, secondo il quale la sinistra è disposta ad accettare le minoranze o a difendere popoli soltanto se sono “poveri, laceri e affamati”. Se sono ricchi, allora sono cattivi e razzisti e vanno schiacciati. Solo la sinistra italiana, però, non quella di altre lande, dove molti progressisti si battono per Catalogna, Occitania, Paesi Baschi, eccetera, anche se in alcuni casi sono queste comunità a mantenere lo stato centrale.