Sono appena rientrato dall’Etiopia, con un meraviglioso gruppo di volontari medici del CUAMM (Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari), che già alcuni mi chiedono se ho contratto l’ebola, e se ho visto le scimmie sugli alberi, e mi fanno domande su come è la povertà in Africa, come sono le condizioni igieniche, se non ho paura di ammalarmi, come se la passa insomma la gente nel continente nero. Come fossi appena tornato da Marte o da un altro pianeta dove vivono alieni e non esseri umani.
Certo è un continente difficile da decifrare, anche per me che dopo quasi trent’anni di viaggi e missioni umanitarie fatico a comprenderne a fondo gli aspetti sostanziali, ma una certezza almeno ce l’ho: il sole, il cielo la cultura e la musica dell’Africa sono indimenticabili. E non credo assolutamente che l’Africa sia povera! Semmai impoverita, quello sì, depauperata, sfruttata, spremuta, comprata, rovinata, stuprata… Da chi? Da tutti! Dagli africani prima di tutti, ma questi sono affari loro! Oggi sono di turno i cinesi, prima erano le colonie francesi, italiane, tedesche, olandesi e così via, fino a risalire alla vergognosa tratta degli schiavi che ha ridotto un popolo al rango di animali da soma, da vendere, far lavorare e frustare.
E noi che possiamo permetterci questi viaggi siamo davvero più ricchi? Di certo siamo più poveri di sorrisi, di umiltà, di semplicità, e lo vediamo girando per le nostre città italiane ed europee. Gentilezza, cortesia, affettuosità con le quali, invece, ci ha accolti Ras Hailù Tafari al Banana Art Museum di Shashamane, epicentro della cultura e del movimento rasta.
Il museo delle foglie di banana
Hailù ci mostra come si lavorano le foglie di banana, come farle diventare un manufatto talmente ricercato da costituire nel mondo una delle forme di collage più originali dell’arte africana.
Tocca poi a una serie di medaglie che ricordano o che appartennero a Hailè Selassiè, ultimo imperatore d’Etiopia; e quando gli chiedo perché sono chiuse a chiave nelle teche, lui mi risponde sorpreso: “This is a treasure”. E inizia a raccontarci la storia di questo piccolo uomo nato a Egersa Goro (significa “Potenza della Trinità”), duecentoventicinquesimo erede della dinastia salomonide, che secondo la tradizione ha origine dal re Salomone e dalla regina di Saba, di cui si trova traccia anche nel Vecchio Testamento. Selassiè, rappresentante della cultura rasta nel mondo, aveva modernizzato l’Etiopia e l’aveva fatta entrare – primo Paese africano – nella Società delle Nazioni, organizzazione internazionale istituita dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale allo scopo di mantenere la pace e sviluppare la cooperazione internazionale in campo economico e sociale.
Dopo l’invasione fascista, nel 1941 l’imperatore andò in esilio fino alla riconquista da parte della Gran Bretagna, che lo rimise sul trono. Nel 1974 fu deposto dal colpo di stato di Menghistu, che istituì in Etiopia un regime socialista.
Hailù ci racconta che l’Etiopia di oggi non è più quella di ieri…e di questo me ne sono accorto anch’io: è senza dubbio in fase di crescita economica e di grande sviluppo, sebbene caotico e confuso alla maniera africana, anche grazie al ritorno dai Caraibi e dall’Europa dei figli di tanti etiopi espatriati ai tempi delle grandi carestie e siccità degli anni ‘70 e ’80. Molti erano discendenti da famiglie di schiavi, una schiavitù terminata meno di un secolo fa e poi sostituita da quella economica. Alcuni sono rientrati seguendo il movimento rasta, che vede nel ritorno alla madrepatria africana uno dei suoi obiettivi. Hailù e tanti altri forse hanno creduto proprio in questo sogno, anche se i bei sogni tendono a essere annullati dalla realtà. Ci raccomanda di andare a visitare il villaggio rasta di Alex e Sandrine, poco distante dal suo Banana Museum: sono due autentici rappresentanti di questa cultura che attirano viaggiatori da tutto il mondo. Così, dopo aver acquistato qualche oggetto artistico, chiediamo a Henoch, il nostro autista, di portarci a visitare Zion Train Lodge, che prende il nome dalla famosissima canzone scritta e cantata da Bob Marley. 1)
Un paradiso rasta
Trascorriamo il pomeriggio con Sandrine e Alex, francese la prima, etiope il secondo, fondatori dello Zion Train Lodge, “where the visitors can return to the source, and come and share the positive vibration”, possono tornare cioè alla terra promessa, come è scritto sul loro biglietto da visita. Shashamane, 250 chilometri a sud della capitale Addis Abeba, un tempo villaggio rasta onorato dalla regale frequentazione del Negus, che nella località termale di Wondo Ghennet aveva fatto costruire la propria residenza “invernale”, è oggi una città caotica, rumorosa, dove si incrociano prostitute, spacciatori, contrabbandieri, turisti e missionari. Ero già stato qui per un periodo di volontariato sanitario nel 1990 in piena carestia, ed era poco più di un villaggio poverissimo e ridotto alla fame, mentre oggi è una cittadina dedita al commercio e all’agricoltura.
A poche centinaia di metri dal dispensario cattolico dello Zion Train Lodge, vediamo riunirsi intorno a un “calumet della pace” alcuni giovani rasta che entrano ed escono da un locale: bevono birra e fanno tremare i bicchieri al suono della musica reggae, mentre noi sorseggiamo tè e cocacola. Uno di loro ci racconta un po’ di storia di quel re del reggae che dalla Giamaica aveva indicato nel centro del Corno d’Africa, proprio qui a Shashamane, il paradiso terrestre dove con 20 euro al mese puoi vivere e comprarti un terreno e farci su una casetta e iniziare una nuova vita. Del resto, qualche giorno fa me lo ha detto anche padre Ermanno, missionario nella foresta di Getche, che una volta identificato il pezzo di terra e “presolo a proprietà”, non c’è bisogno di alcun permesso per costruirci sopra una capanna di fango e sterco di mucca o di mattoni e cemento.
Così, da Alex e Sandrine arriva un vero e proprio pellegrinaggio di gente da ogni parte del mondo alla ricerca del paradiso… anche se la favola che qui si può fare tutto con poco, in una zona tormentata un tempo dalla fame e dalla siccità, con catastrofi umane e ambientali, oggigiorno è davvero poco credibile. Certo, se vuoi farti una canna dietro l’altra l’erba non manca; ma basta sostare in uno di questi bordelli lungo la strada dove inspiri monossido di carbonio e frastuono, e l’avvelenamento è garantito: non c’è davvero bisogno di uno sballo artificiale.
Movimento o religione?
La Giamaica è a più di diecimila chilometri, e noi ce ne stiamo adoranti e stupiti in questa comunità rastafari di Shashamane nel cuore dell’Etiopia, un’isola ideale, un percorso obbligato come quello caraibico altrettanto spirituale che molti seguono. Le guide ci spiegano che Bob Marley con il suo look contribuì a divulgare e moltiplicare i seguaci della cultura e della musica rasta, proseguendo quel viaggio sul treno di Zion che non ha stazioni; tranne quella di partenza, dagli squallidi ghetti abitati dai discendenti degli schiavi trasportati come bestie nei Caraibi più di 400 anni fa. Ed è bene sapere che proprio dai quei luoghi della Giamaica nacque la ribellione contro lo schiavismo, lo sfruttamento economico ed umano e il razzismo dei bianchi. Qui avvenne il “miracolo”, grazie a rivoluzionari, intellettuali e attivisti che esaltavano la negritudine e l’emancipazione del popolo con pari dignità del bianco; qui avvenne il risveglio dell’orgoglio africano che incitava alla ribellione e al ritorno ai luoghi natii degli avi.
Alex, capelli e barba lunghissimi, un pomeriggio dello scorso novembre ci racconta come si deve tener fede al principio biblico che “nessuna lama toccherà il capo dei fedeli”, ed ecco perché i rastafari non si possono tagliare i capelli. Coperto da uno sgargiante abbigliamento rasta di colore giallo, è un uomo maturo che parla quattro lingue oltre l’amarico. Ci racconta un percorso che ai più del gruppo è totalmente estraneo. Questo sentimento religioso che lega l’Etiopia alla Giamaica si è sviluppato in primo luogo grazie ad alcune personalità caraibiche e presso popolazioni non etiopiche, in seguito all’incoronazione del re dei re di origine biblica Hailè Selassiè. Interviene Sandrine: quando si è innamorata di Alex durante un viaggio nei Caraibi, non sapeva neanche cosa fosse il rastafarianesimo, ma ben presto capì che avrebbe legato per sempre il suo destino a lui e a quel movimento così estraneo alla sua cultura francese. Lasciata la Francia, aderì a questa corrente di ispirazione cristiana che rivendica nella diaspora nera, o meglio nella tratta degli schiavi, il recupero della dignità culturale e nazionale degli africani. L’affascinante narrazione di Alex ci fa capire come ai primi del Novecento gli etiopisti caraibici, sconvolti dal passato di deportazione e schiavitù, lo sguardo spiritualmente e politicamente rivolto all’Etiopia, diedero origine al movimento guidati da Marcus Garvey, un pastore che si spinse a profetizzare l’imminente arrivo di un sovrano nero che avrebbe accompagnato i suoi figli d’Africa sparsi per il mondo nel ritorno a casa.
Il ministero di Garvey – spesso assimilato dai rastafariani al precursore di Cristo, Giovanni il Battista – inizia a proiettare una viva attesa messianica di riscatto, e nel 1930, dopo aver assistito all’incoronazione, alcuni discepoli di Garvey, capeggiati dal carismatico Leonard Howell, indicarono in Selassiè l’atteso Messia. Non un generico liberatore politico, ma Gesù stesso. “Quando un re africano sarà incoronato inizierà la nostra redenzione”, così annunciò Garvey ai seguaci di questo movimento religioso di impostazione sincretista, che mescolava Sacre Scritture, misticismo animistico e rivendicazioni razziali etiopiste. Ciò diede il via a un nuovo movimento autonomo, detto in seguito ras-tafarianesimo, in virtù del nome secolare del ras Hailé Selassié:
Tafari Makonnen Woldemikael. Dopo l’intensa predicazione dei primi seguaci in Africa e in America e una prima rapida espansione a metà del secolo scorso nelle Indie occidentali, negli Usa e in Inghilterra, il rastafarianesimo si è in seguito radicato ovunque, grazie agli insegnamenti del libro sacro Kebra Negast e soprattutto al potere mediatico della sua vivacissima cultura musicale, legata in particolare al reggae.
Ma del paradiso terrestre cantato da Bob Marley qui non c’è traccia. Il Messia, il Negus Negehsti discendente di Salomone e della regina si Saba, era piuttosto un politico abile e spregiudicato che non ha esitato a far fuori gli oppositori, a trattare armi con i francesi, ad accumulare capitali per soddisfare i suoi capricci personali… come qualsiasi altro dittatore africano.
Tuttavia, nel salutare all’imbrunire Sandrine, Alex e il loro figlio minore – che con la sua capigliatura rasta sta giocando a pallone come tutti gli altri bambini del mondo – porto con me il valore del sogno spirituale, di chi ha lottato e lotta per affermare i propri diritti, la propria cultura. Perché la perfezione della semina non sta nel seme ma nella speranza.
N O T E
1) Il treno di Zion sta arrivando da noi
Il treno di Zion sta arrivando da noi
Oh gente, salite a bordo
Farete meglio a salire a bordo
Sia lodato e ringraziato il Signore
Devo prendere questo treno
Perché non vi è altra stazione
Allora andate nella medesima direzione
Il treno di Zion sta arrivando da noi
Il treno di Zion sta arrivando da noi
Quale uomo può salvare l’anima del fratello
Oh l’uomo è soltanto autocontrollo
Non conquistare il mondo perdendo l’anima
La saggezza è meglio di argento e oro
Per arrivare al ponte
Oh, dove c‘è una volontà
C’è sempre una strada
Dove c’è una strada
Dove c’è una volontà c’è sempre una strada
Il treno dell’anima sta arrivando da noi
Il treno di Zion sta arrivando da noi
Duemila anni di storia
Non possono essere cancellati tanto facilmente
Duemila anni di storia, di storia nera
Non possono essere cancellati tanto facilmente
Oh il treno di Zion sta arrivando da noi
Ora salite a bordo
Il treno di Zion sta arrivando da noi
Hai un biglietto, così ringrazia il Signore
Il treno di Zion, il treno di Zion, il treno di Zion
Il treno di Zion
Il treno dell’anima sta arrivando da noi
Il treno dell’anima sta arrivando da noi