Le parole di Mareva Leu, intellettuale Mā’ohi, scritte in un post su Fecebook hanno prefettamente rispecchiato le mie sensazioni di questo anno 2021, alla soglia del Festival Tahiti Ti’a Mai. Mareva è direttore del FIFO, il Festival Internazionale del Film Oceaniano, e interprete sin dalla prima rappresentazione dello spettacolo Pina’ina’i, risonanze.
C’era una volta, 6 anni fa, la Heiva 2015… magnifica, autentica, sensuale. Quella che ho rischiato di perdere.
E dopo essere stata soffocata nel 2020, oggi rinasce dalle sue ceneri. “Tahiti Ti’a Mai”, il canto della resilienza, presta il suo nome a un Festival eccezionale e unico, quest’anno.
Un Festival che giustamente porta il nome di questa resilienza oceaniana.
Un Festival che avrei, in ogni caso, difficoltà a non chiamare “Heiva”. La colpa è dell’età e della sua rigidità, sicuramente.
O forse anche per le 140 candeline che soffia questa istituzione.
Dopo due anni di forzato silenzio, To’atā si prepara, discretamente ma con risolutezza, a ruggire nuovamente e a urlare i suoi amori ribelli.
Come il coro fatato di un cuore che batta per la prima volta, in molti uniranno le loro voci al clamore dell’arena. Così da To’atā a Nu’uroa [terreno del Museo di Tahiti e delle isole, dove si replicano gli spettacoli] non intercorre che un passo, che un ancoraggio comune supera con rapidità.
La vita è una grande burlona, lo si sapeva. Ma, comunque, avrei probabilmente apprezzato in altro modo l’ironia della cosa, senza tutti questi sconvolgimenti personali o di gruppo.
Ho talmente voglia che cominci…
2015, l’anno in cui il gruppo Te Maeva, passato per prima in scena a To’atā, ha vinto.
2015, il primo anno in cui ho partecipato alla Heiva, insieme a India Tabellini, non come pubblico ma da giornalista, tenendo con molta dignità il mio Iphone in mano, in mezzo agli obiettivi giganti dei fotografi professionisti. Ricordo bene le esclamazioni di India ai colpi di scena di questo gruppo mitico, fondato nel 1962 da Coco Hotahota, ricordo bene la mia certezza che sarebbero stati loro i vincitori, pur non avendo visto le altre esibizioni; il loro ‘ōrero, Teiva, che sembra nato per essere attore, al quale abbiamo fischiato di ammirazione dalla macchina dopo lo spettacolo…
Ho rischiato di perderla anche io, questa Heiva 2015, per la frenesia di scoprire terre lontane, ma “la vita è una gran burlona” e mi ritrovo, qualche anno dopo, ad aver rappresentato il gruppo Te Maeva seduta al centro dell’arena a fianco del suo presidente, per la cerimonia inaugurale della kava; e India, diventata capitano della piroga tradizionale Fa’afaite, era tra gli officianti.
Da martedì ritroverò il mio posto dietro la macchina da presa, adesso ne ho una vera, ma come non dimenticherò mai quella Heiva del 2015, difficilmente il ricordo di questo Festival, che, come tutti, ho difficoltà a non chiamare Heiva, non rimarrà impresso nella mia memoria.
Abbiamo tutti talmente voglia che cominci…
Per il 2021, a due anni dall’ultima Heiva, i gruppi di danza hanno chiesto un Festival, per non essere in competizione e con maggiore libertà espressiva. C’è chi ha rispolverato e ampliato vecchie coreografie, chi ne ha ideate di nuove, quello che noto è il grande fermento e la voglia di ricominciare dopo questo periodo difficile a livello mondiale.
Non è un caso che si stia diffondendo la danza del fuoco con torce che si accendono in ogni spettacolo.
Sarà un Festival fiammeggiante!