Da decenni attendiamo inutilmente che la Spagna cambi atteggiamento nei confronti della Catalogna. Per questo, dal 2007, ha cominciato a svilupparsi un’ampia richiesta popolare per l’autodeterminazione di questo territorio, così da poterne riorganizzare la società sulla base delle proprie specificità etnoculturali. Per tutta risposta, il governo spagnolo ha ignorato per anni le manifestazioni pacifiche e di massa.
La chiusura mentale dei governanti indusse il movimento indipendentista a organizzare, nel 2017, un referendum unilaterale come misura di pressione per costringere Madrid a considerare le richieste catalane e concedere una votazione concordata da entrambe le parti. Il governo spagnolo si rifiutò di negoziare, e il referendum si tenne unilateralmente: 2,3 milioni di voti, il 90,2% dei quali a favore dell’autodeterminazione.
Come molti ricorderanno, per impedire la consultazione furono inviati 10.000 poliziotti spagnoli, i quali aggredirono gli elettori provocando 1096 feriti e un irreversibile crollo emotivo.
Anche se la celebrazione di referendum non è vietata dal codice penale spagnolo, la Corte Costituzionale lo aveva vietato nel tentativo di impedirlo. Così i politici catalani, sperando di costringere la controparte a un dialogo che non arrivava, scelsero di rischiare… anche perché la disobbedienza civile dovrebbe comportare soltanto sanzioni pecuniarie e interdizione politica, ma mai pene detentive. Al contrario, il governo spagnolo depose il governo catalano e imprigionò 7 politici e 2 attivisti sociali, condannandoli in seguito a pene tra i 9 e i 13 anni.
Il centralismo non ha colore
Per liberarsi dell’azione antidemocratica da parte del governo centrale di destra, i partiti catalani hanno provato a sostenere la formazione di un governo socialdemocratico. Ma la repressione contro il movimento indipendentista è continuata inesorabilmente, con montature da parte della polizia, accuse della procura centrale e condanne devastanti (siamo già a 3300 imputati). Malgrado i ricorsi ai tribunali spagnoli, prosegue l’uso illegittimo della giustizia per cercare di distruggere un movimento politico odiato dai difensori ultranazionalisti dell’unità spagnola.
Amnesty International e il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione illegale hanno stabilito che le condanne sono illegittime e che i prigionieri devono essere rilasciati. Ora il Consiglio d’Europa ha emesso un rapporto preliminare che anticipa una condanna molto dura alla Spagna, mettendola sullo stesso piano della Turchia! Col tempo arriveranno anche le sentenze della Corte Europea per i Diritti Umani.
Per ripulire l’immagine repressiva e autoritaria del Paese, il governo di Pedro Sánchez prevede quindi di liberare i nove prigionieri politici per non essere accusato di abusi giudiziari. Lo scorso lunedì 21 giugno, Sánchez è venuto a Barcellona per mettere in scena un evento propagandistico sulla grazia. Ma le proteste nelle strade della città gli hanno ricordato che questa futura liberazione non cancella per nulla il fatto che costoro sono stati ingiustamente imprigionati per 4 anni. Sánchez sta rilasciando i prigionieri per far fare bella figura alla Spagna, ma non si sogna di affrontare la sostanza politica del conflitto: il diritto all’autodeterminazione del popolo catalano. La Spagna non dovrebbe essere una prigione per il suo popolo. La Catalogna, come nazione oppressa, vuole decidere il suo futuro.