Hanno esplorato con incredibile coraggio una grotta della Liguria, strisciando nell’argilla, superando stretti cunicoli, discendendo ripidi scivoli di roccia e guadando laghi per arrivare nella sala più profonda, a più di quattrocento metri dall’ingresso. Non si tratta di speleologi dotati di tecnologie e moderni dispositivi di sicurezza, ma di un gruppo familiare costituito da cinque individui che 14.000 anni fa ha impresso centinaia di orme sul pavimento della Grotta della Bàsura, sulla montagna di Toirano (Savona).
A settant’anni dalla scoperta della grotta, una ricerca – pubblicata oggi sulla prestigiosa rivista internazionale eLIFE – ha permesso di comprendere il senso delle moltissime orme di animali e persone individuate durante le prime esplorazioni, ricostruendo il lungo percorso di questo gruppo del paleolitico superiore. Lo studio, condotto anche dal MUSE di Trento per l’analisi delle tracce di frequentazione della grotta, per i rilievi e la modellizzazione tridimensionale, è stato promosso dalla Soprintendenza archeologica della Liguria e ha consentito, tra le altre cose, di ricostruire per la prima volta al mondo una camminata carponi “fossile”.
Le ricerche
La Bàsura (in ligure Basua, “strega”) fu scoperta nel suo attuale sviluppo il 28 maggio 1950, dopo la demolizione, da parte di alcuni ragazzi di Toirano, di una stalagmite che ostruiva l’accesso ai cunicoli interni.
A partire dal 2014, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona, ha promosso la ripresa degli studi e delle ricerche scientifiche integrando scavi paleontologici e archeologici, datazioni radiometriche, analisi polliniche e antracologiche, analisi sedimentologiche e micromorfologiche, rilievi 3D e studio delle orme e delle tracce umane ed animali.
A partire dal 2016, sono state studiate più di 180 tracce umane e animali che ora, analizzate e contestualizzate con grande dettaglio grazie a rilievi morfometrici tridimensionali, analisi statistiche, parametri e tecniche della medicina forense, sono state pubblicate dalla prestigiosa rivista internazionale eLife con il titolo A multidisciplinary approach to a unique Palaeolithic human ichnological record from Italy (Bàsura Cave).
Nella prima fase di studio, condotta tra 2016 e 2017, l’attenzione è stata concentrata sulle orme della Sala dei Misteri, rivelando, tramite l’uso di formule biometriche, come tutte le impronte fossero riconducibili a tre soli individui: un bambino di età inferiore ai tre anni alto circa 87 cm, un bambino di sei-sette anni alto circa 110 cm e un preadolescente di circa undici anni alto circa 135 cm. Lungo il percorso, i tre si sono mossi lasciando sulle pareti segni carboniosi e impronte di mani. Il più piccolo ha scavato una buca accucciato nell’argilla, che gli altri due hanno spalmato poi sulla roccia in lunghe scie sinuose.
Una seconda fase della ricerca, condotta sulle orme presenti lungo il Corridoio delle Impronte tra 2017 e 2018, ha rivelato che i tre bambini erano affiancati da due adulti, alti tra 150 e 167 cm, i quali avevano tracciato la via lungo i tortuosi cunicoli di accesso, attraversando stretti passaggi obbligati e procedendo carponi per lunghi tratti.
È proprio questo l’aspetto più interessante dello studio: in un cunicolo alto appena 80 cm, è stata per la prima volta al mondo ricostruita una camminata umana carponi preistorica, grazie alle impronte di ginocchia e metatarsi impresse nell’argilla del pavimento.
L’impronta di un ginocchio, in particolare, è così ben impressa da mostrare dettagli anatomici sorprendenti, quali la rotula e le inserzioni dei principali muscoli della gamba. La distanza tra l’impronta del ginocchio e delle dita del piede della stessa gamba ha inoltre permesso di ricavare la lunghezza della tibia di uno degli adulti, parametro fondamentale per ricavare le dimensioni di un corpo.
Il fatto, infine, che gli esploratori fossero a gambe nude e che non avessero interferito con gli orsi che usavano la grotta come dormitorio invernale, suggerisce che l’esplorazione dell’ambiente ipogeo abbia avuto luogo in tarda primavera o in estate.
Le grotte di Toirano
Il complesso delle Grotte di Toirano, in Provincia di Savona, aperto al pubblico nel 1953 e costituito dalla Grotte della Bàsura e di Santa Lucia Inferiore, rappresenta un patrimonio culturale straordinario gestito dal Comune di Toirano e visitabile tutto l’anno.
La prima a riconoscerne l’importanza scientifica fu l’archeologa ligure Virginia Chiappella che, pochi giorni dopo l’apertura della grotta, riconobbe la presenza di resti scheletrici e tracce di Ursus spelaeus (orso delle caverne), insieme a orme di piedi umani, tracciati digitali, frammenti di carbone, segni e palline di argilla aderenti alla parete di una sala, chiamata in seguito Sala dei Misteri.
Moderne tecnologie
Le nuove ricerche sono iniziate con alcuni sondaggi in vari settori della grotta e sono proseguite nel 2016 con l’apertura, sotto la direzione della Soprintendenza archeologica, di uno scavo archeologico e paleontologico per esplorare la Sala dei Misteri, fino a oggi mai indagata nel dettaglio. Le nuove analisi polliniche condotte sui sedimenti della sala hanno evidenziato la natura del paesaggio circostante: una steppa con boschi radi di pino silvestre/mugo, mentre le analisi micromorfologiche hanno rilevato la presenza nel sedimento di lembi di pelliccia di orso fossilizzati, dimostrando così anche la loro funzione nel trasportare pollini e resti vegetali negli ambienti più profondi della grotta. Se le nuove datazioni radiometriche hanno confermato il periodo della frequentazione umana, la prima analisi integrata delle tracce fossili ha permesso di ricostruire le modalità di esplorazione della grotta.
La sequenza e i rapporti tra i vari gruppi di impronte conservate nella grotta hanno permesso di capire non solo la composizione del gruppo umano che ha esplorato la cavità, ma anche il modo in cui i singoli individui si sono approcciati a un ambiente sconosciuto, complesso e non privo di pericoli.
La maggior parte delle tracce sono localizzate in due aree all’interno della grotta: il Corridoio delle Impronte e la Sala dei Misteri, che sono state rilevate mediante laser scanner dal gruppo di lavoro del MUSE, ricavando modelli morfometrici 3D altamente dettagliati. Le orme presenti in grotta sono state georeferenziate e rilevate tridimensionalmente mediante fotogrammetria e successivamente studiate in dettaglio con le tecniche della medicina forense.
Per ricostruire le fattezze dei protagonisti di questa “esplorazione speleologica” sono state utilizzate formule biometriche desunte da popolazioni preistoriche e attuali. Sono state specificatamente ideate relazioni numeriche per ricavare altezza, età e massa corporea dei vari individui. Per studiare le orme, sono stati anche applicati metodi statistici solitamente applicati nell’analisi di reperti biologici che hanno permesso di racchiudere in pochi gruppi le molte orme studiate e ricondurle a un numero minimo di individui.
Oltre alle orme preservate all’interno della grotta, lo studio si è potuto avvalere anche dei calchi in gesso realizzati all’inizio degli anni ’50 dal Museo Preistorico Etnografico Pigorini di Roma, che ha “registrato” con i mezzi dell’epoca le impronte appena scoperte.
I 30 calchi, trasferiti temporaneamente nei laboratori del MUSE, sono stati rilevati tridimensionalmente mediante scanner a luce strutturata, e successivamente studiati e misurati, andando a integrare i dati raccolti in grotta.
Oltre all’identikit degli autori delle tracce, l’integrazione di tutti i dati ha permesso di ricostruire il tragitto e i movimenti del gruppo all’interno della grotta. I cinque esploratori, al contrario di quanto si potrebbe supporre, hanno percorso quasi un chilometro di cunicoli senza tralasciare alcuno dei possibili passaggi anche se estremamente angusti e poco invitanti. Seguendo l’orientamento principale delle orme si comprende infatti come l’ingresso e l’uscita siano avvenuti lungo tracciati diversi che comportarono il superamento di dislivelli notevoli, il guado di specchi lacustri, l’attraversamento di salti di roccia e superfici disagevoli. Tutto questo per parecchie ore e alla flebile luce di torce di pino.
Le torce
I frammenti di legno carbonizzato rinvenuti nei livelli su cui sono impresse anche le orme umane risalgono a circa 14.400 anni fa. L’analisi al microscopio della curvatura degli anelli annuali delle parecchie decine di frammenti raccolti, ha rivelato che più dell’80% di essi deriva da rametti giovani, inferiori a 2-3 cm di diametro. Riuniti in piccoli fasci, questi fusticini costituivano verosimilmente elementi di torce da accendere in sequenza per realizzare una debole ma efficace illuminazione.
Perché in una grotta?
La frequentazione non utilitaristica di profonde grotte è comportamento comune nel paleolitico superiore: basti pensare alle grandi grotte dipinte della Francia e della Spagna. Anche al di qua delle Alpi sono conosciuti esempi di utilizzo di grandi cavità da parte di gruppi umani presenti tra 20mila e 12mila anni fa. Nessuna tuttavia offre la varietà e complessità di tracce come la Basua. In tutto ciò non deve comunque meravigliare la presenza di bambini. Le orme della grotta ligure confermano che, nonostante la loro apparente elusività nei contesti archeologici preistorici, i bambini erano una componente demografica importante nel paleolitico e che essi erano onnipresenti nella vita quotidiana di queste popolazioni.
In un mondo in cui l’età media degli individui è stimata attorno ai 15 anni non deve quindi sorprendere che cinque soggetti, tra i quali tre di età inferiore ai dodici anni e forse legati da rapporti parentali, abbiano impresso le loro orme sul fondo di una cavità profonda più di 400 metri.