Personalmente ho riscontrato qualche analogia tra la tragedia di Chieri che ha coinvolto (anzi: travolto) cinque bambini in una “scuola nel bosco” (di cui tre feriti, una in maniera grave) e l’indigeno ecuadoregno morto l’8 ottobre (tra l’altro, 52° anniversario della cattura del Che, assassinato il giorno dopo), ugualmente travolto da un suv.
La rivolta contro il presidente dell’Ecuador Moreno (“Lenin”, ma solo di nome) e le sue politiche neoliberiste (in sostanza: drastiche misure di austerità in cambio del prestito da parte del Fondo monetario internazionale di 4,2 miliardi di dollari) è costata la vita a un indigeno investito dal mezzo che voleva forzare un posto di blocco organizzato dai manifestanti. I bambini invece sono rimasti vittime di una Toyota Land Cruiser posteggiata, pare, in leggera discesa e che si sarebbe messa in movimento per conto proprio. Una delle piccolissime vittime era, almeno fino a ieri, in serio pericolo.
Una “fatalità” si è detto. Sarà. A me pare piuttosto una tragedia prevedibile, se non proprio “annunciata”.
E mi viene in mente – ora che scrivo – di un altro fatto recente che a Berlino ha innescato una sacrosanta campagna contro i suv. Accusati di essere, oltre che inquinanti, ancora più pericolosi delle altre auto (più sicuri solo per chi li guida). Qui lo sbandamento improvviso del mezzo (un malore, una distrazione, l’uso sconsiderato del cellulare alla guida… vai a sapere) era costato la vita ad almeno due persone.
Dei suv, ovviamente, possiamo dire tutto il male possibile. Come nel caso dei pittbull chi lo acquista, in genere, esprime una personalità aggressiva, già pericolosa alla guida di suo. Gente che vedrei volentieri a piedi o al massimo in bici.
Punto e non intendo discuterne.
Ma la brutta storia di Chieri mi ha fatto ripensare a un piccolo episodio risalente a qualche mese fa.
Anche dalle mie parti, in linea con le mode recenti, è sorta una scuola nel bosco dove i bambini si arrampicano sugli alberi, fanno il cerchio attorno al fuoco e altre cose così. E ovviamente (siamo pur sempre nel vicentino, colonia statunitense) studiano l’inglese. Forse ingenuamente, ritengo che educare all’amore per la natura sia sempre e comunque “cosa buona e giusta”. Quindi con una responsabile – quasi una compaesana – si era accennato all’eventualità di un articolo. Il giorno in cui, a piedi, raggiunsi il luogo, il parco di un’antica villa tra i Colli, rimasi se non sbigottito perlomeno perplesso. Proprio in quel momento un fuoristrada usciva dal cortile e attraversava allegramente (aggressivamente stando ai miei soggettivi parametri) il vasto prato circostante tra antichi cipressi e maestosi cedri. Sgommando arrivò fino alle tende della scuola all’aperto dove, scoprivo, altri tre o quattro mezzi erano già parcheggiati. Tutti genitori arrivati per riportare i pargoli a casa – ovviamente in auto – dopo il “bagno nella natura”.
Come ero arrivato, così me ne andai. Senza nemmeno salutare.
Ma come, mi dicevo: tutto ‘sto parlare di “crescere in mezzo alla Natura” (nei depliant definita sempre “incontaminata”: perlomeno un azzardo tra il proliferare dei vigneti qui sistematicamente trattati) e poi ci si preoccupa se le creature percorrono a piedi qualche centinaio di metri? Con la “natura” ridotta a scenario, fondale per qualche foto mentre viene ulteriormente colonizzata, addomesticata, reificata. Ridotta a generico bene di consumo, Se non ancora peggio: un lusso per chi se lo può permettere.
Fra tanto inutile dolore causato dal “progresso” (cosiddetto), almeno una buona notizia. Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, la Confederacion de Nacionalidades Indigenas del Ecuador ha messo sull’avviso esercito e polizia. Non si azzardino a entrare nei loro territori o verranno sottoposti alla giustizia indigena. E tanto per far capire che non stanno parlando a vanvera, già il giorno 6 ottobre una cinquantina di soldati venivano fermati in quel di Alausi.