Inizio dell’anno convulso per l’Irlanda del Nord. Il 9 gennaio l’esponente storico del Sinn Féin, Martin McGuinness, ha rassegnato le proprie dimissioni da vice primo ministro.
Il gesto dell’ex capo di stato maggiore dell’IRA, ufficialmente un “atto di protesta” contro Arlene Foster, primo ministro e leader del DUP, il Partito Unionista Democratico, potrebbe in realtà rappresentare l’ultimo scatto di orgoglio di un ex combattente. Mc Guinnes avrebbe colto l’occasione per uscire a testa alta, con l’onore delle armi, da una situazione difficile.
Il 66enne esponente repubblicano, uno dei principali artefici del cessate il fuoco da parte dell’IRA, è attualmente molto malato, pare per una sindrome degenerativa del sistema nervoso. Insieme a Gerry Adams, era stato il principale negoziatore degli “Accordi del Venerdì Santo” sottoscritti congiuntamente dai governi britannico e irlandese nell’aprile 1998. Da allora, pur tra scissioni di gruppi armati dissidenti e ripresa saltuaria di scontri tra le due diverse comunità, unionisti (i lealisti protestanti e fedeli alla Corona) e repubblicani (indipendentisti cattolici), hanno condiviso vari governi di coalizione.
Stando alle accuse, la Foster avrebbe distribuito finanziamenti pubblici ad hoc durante un suo mandato precedente (alle Finanze) in un programma di riconversione energetica per le industrie dell’Irlanda del Nord. Si parla quindi di corruzione e conflitto di interessi. Accuse del genere, oltretutto mosse da un vicepremier, portano inevitabilmente alla crisi di governo e di conseguenza a elezioni anticipate, presumibilmente entro marzo.
Mc Guinness aveva ricoperto ininterrottamente per un decennio (dal 2007 al 2017) la carica di vice primo ministro, e le sue dimissioni, almeno secondo la stampa britannica (ma forse si sta volutamente alimentando un certo allarmismo), potrebbero provocare la rimessa in discussione dell’intero impianto (fragile e discutibile, va detto) di soluzione politica del conflitto nordirlandese.
Come è noto, l’attuale divisione dell’Isola Smeralda risale al 1921, quando una legge del parlamento britannico separò l’Irlanda del Nord (all’epoca in maggioranza protestante e unionista e intenzionata a rimanere sotto la Corona) dalla Repubblica d’Irlanda (in maggioranza cattolica e repubblicana, favorevole a un’Irlanda unita e indipendente).
A un osservatore superficiale poteva apparire anche una questione religiosa. Nelle sei contee (erroneamente chiamate “Ulster”, anche se in realtà ben tre delle nove contee della regione storica ulsterese andarono alla Repubblica) gran parte della popolazione discendeva da coloni solitamente definiti “britannici”, ma in realtà scozzesi (quindi di origine celtica) e non anglicani ma presbiteriani, mentre l’Irlanda era un Paese a larga maggioranza cattolica. Da allora la situazione è cambiata. Più prolifici, i cattolici ormai hanno raggiunto la parità numerica anche in Irlanda del Nord.
Dalla fine degli anni Sessanta, il conflitto tra le due comunità, noto come periodo dei Troubles (intenzionalmente alimentati da Londra per giustificare il proprio intervento militare) si mantenne costante. Sostanzialmente una guerra a bassa intensità che vide, da un lato, la lotta armata di organizzazioni indipendentiste di sinistra come IRA e INLA, dall’altra, oltre alla repressione operata da esercito inglese e dalla polizia (RUC), l’utilizzo di squadre della morte e milizie unioniste (UVF, UFF…), talvolta paragonate per il loro spirito settario al KKK statunitense.
La segregazione sociale, la discriminazione nei confronti dei cattolici – in passato una forma di vero apartheid – è in parte ancora operativa e costituisce comunque un grave problema sociale.
Ovviamente il contenzioso tra il repubblicano Mc Guinness e la lealista Foster non è di natura religiosa ma esclusivamente politica.
Con la Brexit abbiamo un’Irlanda del Nord “fuori” dall’Unione Europea, mentre la Repubblica è rimasta “dentro”. Analogamente a quanto sta avvenendo in Scozia, questa situazione potrebbe riaprire antiche ferite.
Inevitabile provare una certa amarezza di fronte alla deriva anche umana dei principali leader repubblicani, persone che sicuramente hanno sacrificato gran parte della loro vita per difendere i diritti del popolo irlandese.
Gerry Adams (che abbiamo visto invecchiare anno dopo anno presenziando a decine di funerali dei combattenti dell’IRA caduti sotto il piombo inglese) talvolta sembra confuso, pateticamente preoccupato di postare messaggi e immagini di torte fatte in casa, pelouche e altre amenità personali. Mc Guinnes nelle recenti immagini appariva alquanto sofferente e mostra uno sguardo da paura. Contribuisce, forse, anche il ragionevole dubbio di aver svenduto anni di lotta e sofferenze per un misero piatto di lenticchie, abbandonando a se stessi militanti sinceri a cui da un giorno all’altro venne imposto di deporre le armi senza una reale contropartita. Con le inevitabili e facilmente prevedibili derive militariste a cui abbiamo assistito.
Al momento, tra le varie posizioni, la più ragionevole appare quella di coloro che pur rifiutando gli accordi hanno definitivamente abbandonato l’ipotesi di una prosecuzione della lotta armata (vedi l’INLA) ma non quelle della riunificazione dell’Isola.