Da “fuori” si è soliti dire che la Catalogna e la Spagna dovrebbero negoziare per trovare un modo di continuare a convivere. Ma noi catalani ci abbiamo provato molte volte, da quando la Spagna ha sottomesso la Catalogna con la forza nel 1714, e siamo giunti alla convinzione che non esiste alcuna intesa possibile e che l’unica soluzione è andare ognuno per la propria strada.
Dopo i 40 anni di dittatura del generale Franco, la situazione internazionale ha imposto una transizione verso un sistema democratico, purché non si metta in discussione l’unità della Spagna. E questo si è tradotto nell’alternanza di due partiti al governo: il Partito Popolare, fondato da sette ex ministri franchisti, e il psoe, partito socialdemocratico ma nazionalista quanto il pp.
Nel 2004, la Catalogna ha fatto un ultimo tentativo con un nuovo Statuto per trovare un modo di farsi riconoscere come nazione all’interno dello Stato spagnolo, ma il pp, il psoe e la Corte Costituzionale ne hanno spolpato i contenuti fino a quando è diventato chiaro che la Spagna non intende favorire la plurinazionalità o riconoscere la Catalogna, ma seguire la strada opposta: diluire la minoranza per omogeneizzare la Spagna.
Per questo motivo, nel 2010 è sorto un potente movimento per l’indipendenza della Catalogna, che ha organizzato le più grandi manifestazioni viste in Europa, anno dopo anno, fino al referendum del 2017. La reazione, sia del governo pp, sia del successivo psoe, è stata la repressione con un’azione combinata dei giudici, della polizia, dei servizi segreti, delle fogne di Stato e dell’intera rete politica e mediatica. Sono state fatte cose molto gravi contro la Catalogna, e speriamo che ora vengano alla luce e non siano seppellite come in passato.
Un risultato oggi possibile perché c’è stato un grande cambiamento grazie al risultato elettorale dello scorso luglio. Ricordiamolo. Il pp ha vinto, ma non aveva la maggioranza per formare un governo con l’estrema destra; quindi il suo avversario, il psoe, poteva formare un governo se avesse ricevuto il sostegno degli altri partiti. In seguito, i sostenitori pro-indipendenza di Junts – il partito di Carles Puigdemont – hanno chiesto un’amnistia per i perseguitati dalla giustizia e negoziati a Ginevra, con un mediatore internazionale, per affrontare il diritto all’autodeterminazione. La grande brama di potere di Pedro Sánchez ha portato il psoe ad accettare condizioni diametralmente opposte a quelle difese finora.
Puigdemont aveva posto anche un’altra “piccola” condizione, quella di creare tre commissioni parlamentari. Una per indagare sull’”Operazione Catalogna” (un’operazione clandestina dei servizi segreti, della polizia e dei giudici per distruggere il movimento indipendentista catalano inventando prove false, accuse di corruzione e di concussione). Una seconda sugli attentati jihadisti a Barcellona nel 2017 (perché mai la polizia spagnola aveva sul proprio libro paga il capo del gruppo islamista? Perché non hanno impedito l’attacco se stavano spiando i telefoni dei terroristi? E perché non hanno avvertito la polizia catalana?). Una terza commissione sullo spionaggio illegale con il software israeliano Pegasus (il centro universitario canadese Citizen Lab ha scoperto che almeno 67 telefoni di politici, attivisti e avvocati indipendentisti erano stati spiati con questo software illegale).
Per giustificare le commissioni d’inchiesta, il psoe ha dovuto ammettere che c’è stata una lawfare (guerra sporca che utilizza il sistema giudiziario per distruggere gli avversari politici) contro l’indipendenza catalana, cosa che finora aveva negato. Ciò ha fatto scattare un campanello d’allarme all’interno dei partiti di destra e della magistratura poiché, se finora il movimento indipendentista ha denunciato queste pratiche di lawfare, la Spagna ha sempre replicato che si trattava di menzogne, criminalizzando il movimento con false accuse propagandate a gran voce dai media.
Ecco perché l’opinione pubblica spagnola sta reagendo con stupore, incredulità e rabbia alla scelta di stringere un patto con chi era stato definito golpista e terrorista.
Il psoe ha ammesso il lawfare perché vuole l’appoggio dell’indipendentismo, ma non l’avrebbe mai fatto se non fosse stato vero, e il Consiglio Generale della Magistratura, i giudici della Corte Suprema e gli organi corporativi dei giudici hanno reagito compatti per criticare l’intenzione di indagare su di loro e convocarli a testimoniare in Parlamento. Hanno persino chiesto la rimozione e la condanna della deputata Míriam Nogueras, che al Congresso spagnolo ha indicato i giudici a suo avviso più implicati nel lawfare: Carlos Lesmes, Manuel Marchena, Pablo Llarena e Carmen Lamela.
Finora costoro hanno fatto e disfatto impunemente ai danni dell’indipendenza catalana, ma ora temono che tale impunità possa finire e si sentono vulnerabili. Erano convinti che, in quanto magistrati, non potessero essere perseguiti e adesso rifiutano di essere chiamati a rispondere delle loro azioni.
Non sappiamo fino a che punto la fame di voti di Pedro Sánchez lo spingerà a favorire l’indipendenza, ma finalmente si intravede un punto di svolta che potrebbe far emergere la verità su quanto è accaduto in Spagna. L’Europa dovrebbe essere vigile, senza cedere alla tentazione di insabbiare o giustificare l’accaduto per aiutare un membro dell’Unione, ma al contrario aiutando a scoprire la verità e premendo affinché la Catalogna possa esercitare il diritto all’autodeterminazione che le spetta.
Agire in modo onesto e democratico sarà d’aiuto anche alla stessa Europa.