Intanto ricordiamo che a Mactan, una delle 7641 isole del sovrappopolato arcipelago delle Filippine, il 27 aprile del 1521 avvenne uno dei più noti episodi di resistenza indigena al colonialismo, per mano del capo guerriero Lapu-Lapu (Cilapulapu). Resistenza che – se pur tra mille contraddizioni e deviazioni – si è mantenuta costantemente attiva, adeguandosi ai nuovi contesti geopolitici, fino ai nostri giorni.
Si va dall’occupazione spagnola (fino al 1898) a quella statunitense, dalla parentesi giapponese (1942-1945) nuovamente a quella degli usa (fino al 1946), e dal colonialismo classico alla globalizzazione, opponendosi sia agli imperialisti stranieri sia alle milizie paramilitari al servizio dei proprietari terrieri. Milizie addestrate dagli Stati Uniti che qui mantenevano varie basi militari (tra le maggiori, Subic Bay e Henderson Field, poi ufficialmente chiuse). Con l’accordo del 2014,, le forze statunitensi venivano autorizzate a stazionare, a rotazione, nelle basi militari filippine.
Inoltre potevano costruire alloggi, strutture di addestramento e magazzini per armamenti vari, escludendo solamente le armi nucleari. Di fatto si avviava la realizzazione di almeno cinque campi militari. Qualche altro centinaio di soldati statunitensi sarebbero inoltre presenti tra la città di Zamboanga e le province meridionali. Inoltre, stando a recenti dichiarazioni, Washington avrebbe in progetto di costruire altre basi nelle province di Cagayan, Palawan e Zambales. Ovviamente in funzione anticinese.
In tale contesto, la vicenda umana e politica di Gerardo Dela Peña (Tatay Guerry) appare emblematica. L’ultimo appello per la sua scarcerazione (o almeno quello di cui avevo conoscenza) risaliva al marzo di quest’anno. In seguito, se pur troppo tardivamente e all’età di 85 anni, il 30 giugno 2024 riacquistava la libertà.
Per quanto sia già trascorso del tempo, ritengo utile parlarne, anche per evidenziare come il rispetto per i diritti umani – a quasi 40 anni dalla cacciata del dittatore Marcos – non sia ancora una conquista completamente acquisita.
Contadino povero di Bicol e sindacalista, in gioventù Dela Peña era già stato arrestato e torturato dalla polizia e dai militari nel 1982, durante la dittatura di Marcos. Tornato in libertà si era impegnato con un movimento di sostegno agli ex prigionieri politici della provincia di Camarines Norte (regione di Bicol): selda (Camarines Norte du Samahan ng mga Ex-Detainees Laban sa Detensiyon at Aresto). Collaborando inoltre, nonostante le continue minacce e provocazioni, con altre organizzazioni popolari di base,
Veniva nuovamente arrestato nel 2013, all’età di 75 anni, con l’accusa di aver assassinato un suo nipote. Uccisione che in realtà era stata rivendicata dal npa (New People’s Army – Bagong Hukbong Bayan) braccio armato del Partito Comunista delle Filippine (Partido Komunista ng Pilipinas).
Rimasto in carcere per altri dodici anni, soffre di varie patologie, ovviamente aggravate dalla detenzione. Oltre a una grave forma di sordità, diabete, problemi alla vista e ipertensione. Inoltre ha subito un ictus.
All’uscita dal carcere è stato accolto dal suo avvocato Fides Lim e dal figlio Melchor. Ai presenti è apparso “alquanto fragile, magro, con in mano una piccola sacca contente i poveri oggetti in suo possesso”.
In una dichiarazione Fides Lim ha ribadito che “il percorso di Tatay Guerry verso la libertà è stato difficile per gli ostacoli sistematicamente posti e per ragioni burocratiche. Nonostante la sua età avanzata e il cattivo stato di salute giustificassero ampiamente una liberazione per ragioni umanitarie”. Rimarcando come il Board of Pardons and Parole (bpp) non avesse applicato le sue stesse risoluzioni che dovrebbero garantire una “clemenza esecutiva” per i prigionieri oltre i settanta anni quando abbiano già scontato dieci anni della condanna.
Anche senza contare l’indennità per buona condotta, Dela Peña avrebbe trascorso almeno due anni in più dietro le sbarre.
Per Ephraim Cortez, presidente dell’Unione Nazionale degli Avvocati del Popolo (unap) “l’arresto, la condanna e la carcerazione di Dela Peña sono stati la conseguenza di un sistema giudiziario inadempiente e malfunzionante”.
In una riunione di qualche giorno successiva alla sua scarcerazione, Dela Peña dichiarava di essere “impaziente di rivedere mia moglie Pilar, darle un bacio e tornare al lavoro con la mia famiglia nella nostra fattoria”.