Gian Antonio Stella aveva provato a stroncarlo cinque anni fa sulle pagine di “Sette” il supplemento del “Corriere della Sera”; ma il libro ha comunque suscitato tanto interesse: stiamo parlando di Lissa, l’ultima vittoria della Serenissima. E così Ettore Beggiato ha deciso di riproporlo come e-book (euro 1,99) riveduto e ampliato di nuovi documenti, con la postfazione di Lorenzo Del Boca, prestigioso storico e giornalista. Eccola in anteprima:
Lissa è un isola attorno alla quale si è combattuta una battaglia navale della quale si sta perdendo la memoria e la conoscenza. Nei libri di storia che si dovrebbero studiare a scuola le è riservata una citazione distratta.
Del resto tutto il Risorgimento (con larga parte delle guerre mondiali) viene riassunto in modo da dimenticare gli episodi che lo hanno provocato e favorire la retorica acritica più posticcia – e, in qualche caso, bolsa – utile a giustificare un racconto falsamente nazionalistico.
Già nell’Ottocento comandava l’Europa, e il Piemonte, destinato a diventare Italia, era già un suddito obbediente. Inghilterra e Francia pianificarono l’aggressione agli stati indipendenti e utilizzarono Torino come braccio armato. Spiegarono, in seguito, che si trattò di campagne per la liberazione dei popoli oppressi. In realtà, si trattò di aggressioni non dichiarate, di stampo coloniale, praticate con una brutalità senza confini.
Dunque: non italiani liberi (per autoproclamazione) che andavano a liberare italiani servi (per dichiarazione estranea ) ma piemontesi, istigati da potenze internazionali, lanciati alla conquista di Firenze, Bologna, Napoli, Palermo, Venezia.
Altro che Risorgimento, le campagne militari della seconda metà dell’Ottocento ebbero la fisionomia di un’autentica guerra civile.
Semmai è paradossale che, a un secolo e mezzo da quegli episodi, si stenti a riconoscerlo. Per cui, a Calatafimi, una lapide ricorda quella mezza dozzina di garibaldini rimasti vittime del conflitto e non c’è un pezzo di marmo per dare conto degli altri che morirono indossando la divisa borbonica, ma erano italiani a tutti gli effetti.
Così come a Gaeta dove italiani del Piemonte bombardarono senza remissione i bastioni già diroccati di una fortezza dove italiani di Napoli e di Palermo difendevano il loro orgoglio e la loro indipendenza. Su quell’istmo, a cavallo fra Lazio e Campania un cippo celebra le vittime dei vincitori e nega un ricordo alle vittime degli sconfitti.
A Fenestrelle dove istituirono una specie di campo di concentramento, una targa a ricordo delle vittime duo siciliane è già stato distrutto due volte da mani evidentemente bianco-rosso-verdi.
Analogamente, per le vicende del 1866 quando, in occasione del conflitto esploso fra Austria e Prussia, il Piemonte già diventato Italia, riuscì a impadronirsi del Veneto.
Sconfitto, senza attenuanti, l’esercito di terra, il 24 giugno a Custoza. Sconfitta la marina, con giustificazioni ancora minori, il 20 luglio a Lissa.
Senza onore e senza vergogna.
Nel silenzio delle celebrazioni ufficiali, anche per ricorrenze facili perché a cifra tonda, Ettore Beggiato recupera un suo lavoro per raccontare quello scontro per mare che ha rappresentato l’ultimo episodio prima che il Veneto diventasse una provincia periferica e maltrattata dell’Italia unita. Una ricerca storica, dunque ma, prima ancora, un atto d’amore per la sua terra, le sue tradizioni e lo spirito d’indipendenza che, pur affievolito, non è andato perduto.
Che la corrente storica “ufficiale” metta la sordina su Lissa è comprensibile. Dalla parte cosiddetta italiana i marinai sardi e napoletani mentre da quella austriaca i veneti e i veneziani. Come giustificare che i buoni in tricolore andavano a “liberare” gli schiavi se gli schiavi si sono difesi con tanto ardore da risultare, alla fine, vincitori?
“Leon…!” “San Marcoooo…!”
Come raccontare che il governo austriaco era così oppressivo con le sue minoranze etniche se la marineria di Vienna, sui bastimenti e nei porti, adottava il veneto come lingua ufficiale?
Chi ricorda che l’ammiraglio Tagetoff, per celebrare la vittoria, fece stappare qualche bottiglia di vino buono ma che il suo ministero, considerando la spesa “ingiustificata”, gliele fece pagare, trattenendogli l’equivalente sulle stipendio? A citare l’episodio, per un debito paragone, si corre il rischio di correre con la memoria alle assunzioni dei figli e dei figli dei figli, al nepotismo e alle società onlus che fanno affari con soldi pubblici per arricchire qualche privato. Meglio mettere la sordina ai dettagli più imbarazzanti. E siccome ogni particolare crea problemi, meglio starsene proprio zitti.
La ricerca di Beggiato ha anche il merito di utilizzare il resoconto della battaglia, scritto da un triestino, Enrico Saravallo che, pubblicando i suoi lavori nel 1907, con una Trieste ancora dipendente da Vienna, definì “nostra” la marina austriaca.
Il che contribuisce a togliere qualche ulteriore orpello alla propaganda dell’irredentismo, utilizzato come causa scatenante della prima guerra mondiale. Gli irredenti erano così desiderosi di diventare Italia che avrebbero preferito restarsene austriaci.
La dinamica dei movimenti di eserciti e di flotte è sempre abbastanza complicata e – quasi – per addetti ai lavori. Saravallo è riuscito a proporre un resoconto semplice, diretto, di immediata comprensione. Il testo sarebbe introvabile nelle biblioteche e, se non fosse stato rintracciato da Beggiato, anche perduto.
I patrioti di Roma (per intendere quelli ammantati di tricolore) sostengono le ragioni di un’Italia lanciata all’annessione del Veneto. I patrioti veneti si limitano a ricordare che la “Serenissima” ha avuto circa 1500 anni di vita, cioè dieci volte tanto i 150 anni di governo cosiddetto unitario. Per mille e cinquecento anni custodi del mondo e per un secolo e mezzo sudditi di una burocrazia inefficiente e onnivora.
Perché meravigliarsi che la gente finisca col preferire quel “prima” a questo “dopo”?