Il discusso “manifesto federalista” redatto nel mese d’agosto del 1941 al confino di Ventotene ha un precedente nell’opuscolo stampato a Pavia nel 1915 dalla tipografia dei fratelli Fusi, con il titolo L’unica salvezza – Una federazione degli Stati d’Europa. Se ne conosce l’esistenza poiché venne trasmesso ai vertici della “polizia politica” di Mussolini da un informatore napoletano, che lo riteneva pericoloso per lo Stato fascista e uno strumento di agitazione politica dei gruppi teosofici e massonici.
Gli editori – dei veri e propri sconosciuti – erano Eugenio Pavia e Ottone Penzig, entrambi redattori della rivista esoterica “Gnosi” e sostenitori della Società Teosofica di Annie Besant. L’autore del testo si chiamava Nico Van Suchtelen e faceva parte di un “Comitato Internazionale per la Federazione Europea” creato in Olanda.
Per questo contesto para-politico il manifesto è stato per anni dimenticato, anche se il suo contenuto é di notevole chiarezza, come dimostrano i brevi passi che riproduciamo di seguito:

Appello.
Il Comitato “La Federazione Europea” convinto:
che le relazioni dei singoli Stati civili devono essere regolate conforme alle medesime norme di moralità e di giustizia della vita sociale delle nazioni;
che massime per le nazioni europee si rende necessaria la formazione d’una federazione;
prega tutti uomini ed associazioni, che condividono questa convinzione, di escogitare tutti i mezzi al fine di conformare l’opinione pubblica a questo spirito.
La guerra mondiale è oggi un fatto compiuto, e maggiormente sento ora che quest’ultima profetica allusione non era un volo oratorio. È inutile pel momento ricercare chi porti la colpa di questa lotta furibonda, di questa guerra da cani idrofobi, o chi in qualche modo vi contribuì. Una cosa tuttavia possiamo affermare con ogni sicurezza: La causa prima di questo immane disastro è solo il militarismo imperialista dei grossi stati, che si nasconde dietro il falso concetto economico di un presunto commercio e persino d’interessi vitali.
“Se vuoi la pace, preparati alla guerra” era il loro motto insensato, accecante, ipocrita. Come se non fosse un evitabile fatto psicologico, che l’enorme forza degli eserciti, l’un contro l’altro armati e di continuo provocantisi, debba alla fine venire alla lotta, subito che ad uno di loro si presenti o sembri, in qualche modo il momento favorevole.
Il militarismo come tale ha commesso orrori inauditi.
Ma come potranno le parti contraenti la pace dimostrare d’aver compresa la dura lezione, e come potranno esse scontare il debito che hanno verso l’umanità? Non c’è che una sola risposta: facendo del militarismo non una reciproca perpetua minaccia, ma un istrumento comune d’ordine e di difesa costituendo un’organizzazione politica-economica, una “Confederazione degli Stati” ed una “Organizzazione degli Stati federali”, con un esercito internazionale quale mutua garanzia.
Molte voci son già sorte a favore d’una limitazione degli armamenti. Chiunque veda oggi queste potenze militari schierate le une contro le altre, capisce, quanto assurda fosse la speranza che un militarismo trionfante acconsentisse di sua spontanea volontà a vedere diminuito il suo potere.
A che giova che l’idea pacifista appaia giusta, quando il militarismo è una realtà che s’impone colla forza dei fatti? Occorre che i popoli di ogni paese affermino ad alta voce la loro volontà di questa limitazione e lo affermino sin d’ora che il mostro sanguina da mille ferite, e ancor più tardi quando prostrato si piegherà esausto.
Ma questa limitazione i popoli debbono esigerla, non più sotto forma d’un documento scritto, il cui valore può essere negato o contestato, ma come il fatto iniziale della Federazione degli Stati, di cui si potrà controllare l’esecuzione e farla rispettare.
Questa Federazione dev’essere la parola d’ordine degli intellettuali, il grido di guerra delle nazioni europee. La Federazione è l’unico mezzo di risolvere in modo efficace e pratico il difficile problema dell’equilibrio europeo, senza offendere l’onore e la dignità degli Stati più potenti, e senza trascurare gli interessi economici delle nazioni più deboli.
La Federazione non può risultare che d’un gruppo di Stati autonomi, i cui confini sarebbero tracciati conforme ai caratteri delle nazionalità e di cui i cittadini tutti si sentirebbero veramente liberi sotto una legislazione costituita secondo i dettami della morale umana. In caso contrario avremo il ritorno dell’antico stato di cose, e peggio per giunta: un caos di Stati, sedicenti sovrani, le cui frontiere eran tracciate a colpi di spada e che non potranno sostenersi che colla violenza, per modo che non tenendo conto d’alcuna morale questi stati riprenderanno la pazza corsa degli armamenti sempre più opprimenti, sino a che l’Europa addirittura finita dopo varie guerre di rivincita sarà nel campo economico schiacciata dall’America e diventerà in politica la preda dell’Asia.
La Federazione degli Stati d’Europa è l’unico mezzo di salvezza. 1)

Soltanto nel corso del conflitto, all’interno del movimento socialista si sviluppò uno stentato dibattito sull’ipotesi federalista, caldamente sostenuta da Modigliani, ma subito bocciata da Serrati e da altri autorevoli militanti come “utopistica” e in qualche modo ostacolo alla lotta rivoluzionaria.

Vignetta di Scalarini sull'”Avanti!” del 17 ottobre 1916,

Sul quotidiano del partito, Modigliani aveva replicato a Serrati indicando proprio nella limitazione degli egoismi degli Stati con la riduzione graduale dei loro poteri un obiettivo importante per la conquista di un nuovo mondo di pace e cooperazione. Obiettivi che non dovevano lasciare indifferente il movimento dei lavoratori:

Io domando che di fronte al pacifismo serio i socialisti assumano lo stesso atteggiamento che hanno adottato, ovunque, di fronte alle riforme sociali: chiederle, favorirle, volerle… senza rinunziare ad essere socialisti. Non si cada nel possibilismo, si ripudii il minimismo, si smascherino le ciurmerie, ma si lavori per il pacifismo serio, così come si lavora per le riforme serie.
Il disarmo generale? È una ciurmeria, se lo si gabella per una possibilità di per sè stante. Nessuno Stato, nessuna borghesia disarmerà fino a che non abbia la garanzia che, non solo gli altri disarmino, ma che non possano più riarmarsi all’improvviso. Quindi è pacifismo imbecille quello che vuole il disarmo per virtù di conferenze, di congressi e di prediche.
Ma il pacifismo diventa serio, se, studiando il modo di porre in essere quelle tali garanzie, arriva a concludere che bisogna chiedere, e volere, gli Stati uniti d’Europa. […] Mentre la guerra continua ad infuriare già tutti si affannano a dar vita ad aggruppamenti fra Stati e Stati, con caratteri più intimi e con intenti più duraturi che nel passato. Troppo ci sarà da guadagnare abolendo ogni impaccio, ovunque, agli investimenti capitalistici; troppo appetitose saranno le imprese coloniali e mondiali, esercitate in comune, monopolisticamente! E queste suggestioni, reagendo sullo stesso odierno movimento di raggruppamento fra Stati e Stati, daranno come resultante una progrediente fusione internazionale del capitalismo che sarà il terreno più adatto per l’idea “borghese” della Confederazione europea degli Stati borghesi. […] Io credo che gli Stati Uniti d’Europa ed il conseguente disarmo “europeo” saranno la realtà di domani o di domani l’altro: una realtà che la borghesia stessa attuerà perchè è sua funzione storica di preparare tutte le condizioni preliminarmente indispensabili al trionfo del socialismo dei lavoratori. 2)

Serrati tornò in campo respingendo

l’ingannevole miraggio delle approdanti riforme concesse dal regime borghese, sia pure dietro la spinta proletaria e nell’interesse della stessa evoluzione capialista. Eppure venticinque o trenta anni di propaganda minima contro le spese militari, fatta in gran parte col pieno accordo della democrazia, ci hanno condotti alla crisi pletorica deli armamenti risoltasi colla guerra che ci delizia!
Eppure quella democrazia che doveva darci le riforme è quella stessa che ha portato più entusiasmi e più opere alla presente guerra ed i suoi uomini maggiori hanno sconfessato il loro passato, si sono dichiarati pentiti dell’antica propaganda pacifista e vanno promettendo che, a pace conclusa, non saranno più gli irriducibili avversari delle spese militari. Si può anzi affermare senza temere smentita che la democrazia è stata più lontana dall’anima popolare che gli stessi reazionari e le rare eccezioni dei pochi spiriti superiori che in questo frangente, si sono posti “au dessus e la mêlée” confermano, anzi che escludere la regola.
Veniamo dunque agli Stati Uniti d’Europa.
Io mi sono levato contro la illusione di coloro che sperano – quale conseguenza più o meno diretta di questa guerra – nella costituzione degli Stati Uniti d’Europa ed ho sopratutto pensato di mettere in guardia i lavoratori socialisti perchè non si lascino sedurre da simili miraggi e non prestino quindi orecchio ai lusinghieri “vieni meco” del pacifismo borghese.
Come vedi [Modigliani], io non nego la possibilità di una Confederazione Europea anche in regime borghese, ma la subordino ad un radicale mutamento o per lo meno ad una vasta trasformazione della costituzione economica dell’Europa stessa. […] Può darsi che un giorno – mutando le condizioni economiche – gli Stati Uniti d’Europa diventino realtà per opera della borghesia orientata diversamente da oggi. Non lo escludo. Escludo però che i lavoratori debbano considerare la pace, il disarmo, gli Stati Uniti d’Europa, come condizioni preliminarmente indispensabili al trionfo del socialismo. Affermo per contro che solo il proletariato, mediante la lotta di classe, può essere capace della soluzione definitiva di tutti questi problemi e che solo colla socializzazione dei mezzi della produzione e degli scambi sarà possibile eliminare la guerra dai rapporti sociali. 3)

Nel dibattito si inserì anche un militante sardo, Giovanni Antioco Mura, il quale nel Secondo Dopoguerra avrebbe fondato prima un effimero “Partito Comunista di Sardegna” e poi una “Repubblica de le Corone” che univa un’ipotesi indipendentista a una proposta d’assetto sociale di tipo corporativo. 4)

Vignetta di Scalarini sull'”Avanti!” del 6 giugno 1923.

Concordando con Serrati, Mura bollava l’ipotesi federalista di Stati Uniti d’Europa come “un sogno inutile, e neanche bello”, poiché i socialisti non dovevano preoccuparsi di migliorare i rapporti fra gli Stati, che andavano combattuti e distrutti, in quanto

chi dice Stato, dice subito antagonismo d’interessi, dice competizione di mercati, dice minaccia permanente, in potenza, di sopraffazione e di egemonia. Orbene, chi non è nazionalista deve negare la Nazione. Nè il socialismo la può affermare. Se l’afferma la deve difendere e deve con tutte le forze cooperare al suo sviluppo: è la più onesta, la più sincera, la più diretta conseguenza; non se ne sfugge. 5)

L’avvocato sardo tornò a intervenire nel dibattito opponendosi a ogni deriva nazionalista. 6)
Intanto sul quotidiano socialista si succedevano le critiche aperte al federalismo, ritenuto un teorema borghese e utopistico,

tanto vero che la tesi degli Stati Uniti dell’Europa borghese è stata sostenuta più di mezzo secolo fa da Victor Hugo, e prima di lui da Mazzini, e prima ancora dalle tavole degli immortali princìpi… Libertà, uguaglianza, fratellanza… Sì, sì nel cielo azzurro delle idee; in quanto alla pratica, lo dice l’ascesa faticosa del proletariato europeo in questi settant’anni di marcia e più ancora lo testimonia la tremenda realtà cui oggi assistiamo sgomenti.
Gli Stati Uniti d’Europa dunque? Sì, se la borghesia potesse essere antimilitarista; ossia se non esistesse l’opposizione socialista, ossia (dato che il socialismo è il… figlio del capitalismo) se la borghesia capitalista non esistesse.
Un assurdo vero, di fronte al quale sarebbe una sola possibilità pratica: che cioè la borghesia si decidesse a disarmare, tanto per la propaganda dell’odio patriottico nelle anime, quanto per la preparazione degli strumenti bellici. Trasformazione insomma della scuola e abolizione degli eserciti. L’unico pacifismo “serio”. 7)

L’obiettivo era e restava quello della mutazione sociale, e solo in questa prospettiva veniva presa in considerazione l’ipotesi federalista, ma bollando come utopia la lotta auspicata da Modigliani per la federazione degli Stati d’Europa, ritenuta “non utile ma dannosa per il vano sciupìo delle forze rivoluzionarie del proletariato”. 8)
Allora come adesso, il movimento operaio preferì rifugiarsi in proposte astratte e di là da venire, rifiutando il concreto cambiamento rappresentato dal Federalismo, che dava sempre fastidio a una classe politica con il mito dello Stato forte e potente, responsabile per sua natura di guerra e di oppressione.
Così il lungimirante Modigliani restò solo.
Ma i suoi settari compagni, esclusi dallo sviluppo delle cose, persero tutte le lotte.

Nico van Suchtelen.

 

N O T E

1) Il testo integrale si può leggere sulla rivista “Storia Ribelle” n. 42, Inverno 2015.
2) G.E. Modigliani, Gli Stati Uniti d’Europa. In difesa d’una “utopia”, “Avanti !”, 14 maggio 1916.
3) Giacinto Menotti Serrati, Solo per la nostra “Utopia” (A proposito di Stati Uniti d’Europa e del resto, “Avanti!”, 16 maggio 1916.
4) Roberto Gremmo, Il “Partito Comunista di Sardegna” del 1944 fra indipendentismo e socializzazione, “Storia Ribelle” n. 29, Primavera 2011.
5) Giovanni Antioco Mura, Non utopia, ma aberrazione, “Avanti!”, 25 maggio 1916.
6) Giovanni Antioco Mura, Siamo coerenti?, “Avanti!”. 17 giugno 1916.
7) “Miles” [Giuseppe Giulietti], Gli Stati Uniti d’Europa – Pacifismo “serio”, “Avanti!”, 2 giugno 1916.
8) “Cremense”, Le nazioni armate – In tema di utopie, “Avanti!”, 5 giugno 1916.