A Chadegan (in Khuzestan, una provincia nel sud-ovest dell’Iran ) nel tardo pomeriggio del 16 luglio, due persone avevano perso la vita e molte altre venivano arrestate nel corso di una protesta per la carenza d’acqua potabile.
Molti cittadini si erano qui riuniti per esprimere il proprio disagio per i tagli al rifornimento idrico. Una conseguenza della siccità con precipitazioni inferiori del 40% e un significativo aumento delle temperature estive rispetto all’anno scorso. Prontamente, polizia e unità speciali antisommossa erano intervenute per sedare le proteste. In questa provincia, ricca di giacimenti petroliferi, vivono una cospicua minoranza arabo-sunnita e una di nomadi bakhtiar. Entrambe le comunità si percepiscono come volutamente emarginate, discriminate, lasciate in condizioni arretrate dal governo centrale.
Da segnalare per dovere di cronaca che, stando a un’agenzia ufficiale (la filogovernativa Irna che citava il governatore ad interim), una delle vittime sarebbe dovuta a una rissa tra manifestanti.
Comunque sia, nonostante gli arresti e le vittime, le manifestazioni erano riprese e il 20 luglio toccava a migliaia di abitanti di Izeh scendere nelle strade, protestando non solo per la mancanza d’acqua, ma anche per l’inquinamento causato dalle attività estrattive (petrolio).
Dalla folla si levavano slogan molto espliciti, sia per l’unità delle due comunità minorizzate nella lotta contro il governo centrale, sia contro il regime e – addirittura – per augurare la morte a Khamenei. Gli scontri – inizialmente con lanci di pietre da parte dei manifestanti e di granate lacrimogene da parte delle forze dell’ordine – sono proseguiti a lungo. Nel corso dei disordini la polizia avrebbe poi aperto il fuoco lasciando sul terreno morti (solo uno ufficialmente, ma si ritiene siano di più) e feriti.
Sempre il 20 luglio, altri manifestanti sfidavano la repressione nelle città di Ahvaz (capoluogo del Khuzestan), Darkhoveyn, Khorramshahr, Al-Jadid, Sussanguerd e altre, anche fuori dal Khuzestan.
Il presidente uscente, Hassan Rouhani, ha riconosciuto il diritto della popolazione a protestare pur deprecando la presunta strumentalizzazione di tali proteste (da parte di non meglio identificati “sabotatori”).