La scorsa settimana ho avuto visite in casa. Le telecamere del vicino hanno ripreso un gruppo di zingare che hanno svaligiato la mia casa fuori Milano, casa dove sono nato e cresciuto e dove torno spesso, pur non abitandoci più, a trovare la mia vecchia, amatissima gatta, e gli alberi da frutto di cui sono molto fiero. Al di la dei danni e del furto in se, la cosa che mi ha più «preoccupato» è che tutte chiavi di casa erano state rubate e le porte chiuse, come se fosse loro intenzione tornare e prenderne possesso. La presenza di bambini mi preoccupava ancora di più. Il problema delle occupazioni delle case è uno dei più odiosi, se si può fare una classifica dei reati. E la cosa più vergognosa è che in questo Paese esistano soggetti che teorizzano il diritto alla casa, così come tanti altri diritti, al reddito, alla cittadinanza, alla salute, fino ad arrivare al diritto alle ferie, come se questo fosse qualcosa di scontato. Le migliaia di disgraziati che ogni giorno arrivano nel nostro Paese sono purtroppo il risultato anche di queste politiche, mai passate di moda nel nostro Paese, e cioè diritti senza doveri.
Poche settimane fa, di ritorno da un viaggio a Giacarta, la mia attenzione è stata attirata da un cartello all’aeroporto, prima dei controlli doganali. Il cartello diceva: immigrazione illegale, 5 anni di prigione con l’immagine delle sbarre e delle manette. Non voglio portare l’Indonesia come modello, ma con il fatto che noi non siamo come gli altri, che dobbiamo garantire solidarietà e inclusione, stiamo perdendo il senso civico e rischiamo di perdere la parte migliore del Paese. Non per niente il numero di italiani che ha chiesto residenza all’estero è ai massimi dai tempi delle grandi emigrazioni, e spesso lascia l’Italia la parte migliore, quella che si mette in gioco, e che è consapevole che il lavoro si costruisce con fatica e si conquista giorno dopo giorno. E come vengono sostituiti questi italiani in fuga? Con un esercito di disperati, senza arte né parte, alla legittima ricerca di una vita migliore e attirati dal Paese dei diritti.
Dove questo ci può portare è superfluo dirlo. L’ultimo mantra, aiutiamoli a casa loro mi risulta ancora più fastidioso delle politiche dell’accoglienza spalancata; perché implica un trasferimento di valori e di logiche che hanno già distrutto l’Africa nel secondo Novecento, molto più del colonialismo. Cosa fa credere ai paladini della cooperazione internazionale che questa possa frenare l’immigrazione; dare più soldi a realtà sociali ormai sradicate dalle loro tradizioni significa solamente aumentarne la propensione a venire in Europa.
La storia è da sempre fatta di confini, più o meno istituzionalizzati; le nostre città erano circondate da mura per difendersi dagli invasori, gli animali hanno i loro territori. Da qualche tempo invece si teorizza la scomparsa dei confini; certo che consentire la libera cirocolazione delle merci senza consentire una libera circolazione delle persone è abbastanza strano, ma la storia è fatta di imperi che nascono, crescono e declinano inesorabilmente. Ci sta quindi che l’Italia abbia intrapreso un declino inesorabile che la porterà a uscire ancora di più dalle potenze del mondo. Quello che non ci sta è che questo declino non venga ostacolato, ma anzi venga accelerato come se si giocassero i mondiali di calcio a porta vuota. Aiutare a casa loro è quindi uno slogan senza senso nella migliore delle ipotesi ma in pratica dannoso, perchè segue la stessa logica della esportazione della democrazia. Ogni popolo deve seguire i propri tempi e i propri percorsi senza che altri decidano cosa sia giusto per loro.
E le frontiere devono tornare a essere quel naturale confine tra popoli diversi che vogliono legittimamente tutelare le loro culture e le loro tradizioni; questo non significa autarchia, significa buon senso e lungimiranza per questo Paese se vogliamo che i diritti continuino a esistere per tutti, anche per la mia veccha gatta che vuole vivere nella sua casa fino all’ultimo giorno.
Francesco Bertolini, “Libero”.