Nell’indifferenza generale, lo Stato turco seguita a massacrare impunemente i curdi nei territori formalmente sotto amministrazione irachena, il Kurdistan del sud (Bashur). Oltre che ovviamente in Bakur e Rojava. È del 4 agosto la notizia che un drone turco ha causato una decina di feriti nella città di Tall Rifat, nord della Siria, nei territori gestiti dall’AANES. Proprio qui a Tall Rifat il 19 luglio, in uno dei quasi quotidiani bombardamenti, erano stati colpiti dai droni anche soldati governativi siriani.
Al fine di annientare le basi del PKK tra i monti del Bashur, Ankara non esita a far uso massiccio, oltre che di armi convenzionali, di micidiali gas tossici, letteralmente “sparati” nei tunnel per eliminare i partigiani.
Attualmente sarebbero almeno quattromila i militari turchi impegnati “sul terreno” nel Bashur, e almeno un centinaio di postazioni strategicamente rilevanti (tra cui 25 basi militari vere e proprie) sono stabilmente occupate dall’esercito turco. Il tutto ovviamente sotto l’ombrello protettivo dell’aviazione.
Oltre alle operazioni già in atto, recentemente ne è stata avviata un’altra, sempre sotto copertura aerea, nella provincia di Mardin. In particolare nell’area del Monte Bagok. Bombardando sistematicamente con l’artiglieria, l’aviazione e i droni.
Ma non del tutto impunemente. Utilizzando sia lanciagranate (contro gli avamposti) sia ordigni rudimentali (per colpire i veicoli militari, i tank come gli Scorpion), la guerriglia curda contrattacca colpo su colpo.
Le ritorsioni dell’esercito turco, anche recentemente, hanno colpito non solo i guerriglieri ma anche la popolazione civile. Come nel distretto di Zakho, dove in luglio un raid dell’aviazione turca ha causato una decina di morti (tra cui alcuni bambini) e oltre trenta feriti (in parte si trattava di turisti iracheni provenienti da Bagdad per sfuggire alle ondate di calore che avvolgono la capitale irachena). Al punto che era intervenuto il governo iracheno richiamando il suo incaricato d’affari ad Ankara e dichiarando che avrebbe portato la questione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Addirittura, ma solo in un primo momento, il premier Mustafa al-Kadhimi aveva minacciato “ritorsioni”.
In realtà ci si era limitati a indire una simbolica “giornata di cordoglio nazionale “, il 21 luglio. Però nel corso di una manifestazione la folla aveva tentato di assalire la sede dell’ambasciata turca a Bagdad, strappandone la bandiera dalla facciata e dandola alle fiamme.
Altre manifestazioni si erano svolte il 20 luglio non solo a Kirkuk, ma anche nel sud del Paese come a Kerbala e a Najaf (qui organizzate dalla comunità sciita).
Niente di nuovo, comunque, nell’operato di Ankara. Anche nelle ultime settimane erano già stati attaccati vari villaggi curdi sia nel Bashur sia in Rojava, compreso quello cristiano assiro di Tel Tamr (governatorato di Hassaké).