Cosa succederebbe se un polinesiano del XVIII secolo si ritrovasse oggi nelle strade di Pape’ete? È lo scenario immaginato da Titaua Porcher nella piece teatrale Oh my!… Omai!, che ripercorre la storia dei primi contatti tra polinesiani ed europei, con uno sguardo tristemente realistico sulla Pape’ete contemporanea.
Ma’i (‘Omai per gli europei, che includevano nel nome la particella ‘O, che si può tradurre con “ecco”) fu il primo polinesiano sopravvissuto a un viaggio di andata e ritorno verso l’Europa, alla fine del XVIII secolo. Nell’agosto 1773, invitato da Sir Joseph Banks, egli partì sulla nave britannica HMS Adventure al comando del capitano Tobias Furneaux, durante la seconda spedizione del capitano James Cook nell’Oceano Pacifico.
Ma’i approdò a Londra, dove scoprì usi e costumi della società londinese, venne presentato al re Giorgio III e fu il primo oceaniano che visitò il Regno Unito dove visse dal 1774 al 1776, ben integrato nell’alta società britannica, frequentando regolarmente balli, cene della Royal Society e assistendo agli spettacoli all’opera.
Basandosi su questa realtà storica, Titaua Porcher ha scritto una commedia piena di vivacità interpretata con umorismo da quindici attori.
La trama. Il bel Ma’i si gode la sua eternità in paradiso, ma Dio – “divinamente” interpretato dall’avvocato Philippe Neuffer – decide di affidargli una missione: portare un messaggio a un saggio di Tahiti. Giunto a Pape’ete, i suoi incontri con la modernità lo lasciano di stucco: il primo in cui si imbatte è un rumoroso giovane, appassionato di ‘ori deck. ‘ori significa danza in reo Mā’ohi, deck è il giradischi in inglese: lo ‘ori deck è una danza eseguita dai tahitiani che prende in prestito le posture delle danze tradizionali e quelle dei tupapa’u, gli spiriti della notte. Poi è la volta di una vahine (donna) che pratica lo ‘ori Tahiti, la danza polinesiana, ma non sa parlare la sua lingua, il reo Mā’ohi. E poi un’attraente raerae (transessuale), che testimonia le difficoltà della sua vita; un venditore di perle cinese, discendente dalla migrazione dell’etnia hakka di fine 1800… Ma soltanto una giovane donna presta attenzione allo strano viaggiatore nel tempo: Anamua, una scrittrice appassionata di meditazione, interpretata da Taïna Fabre.
Gli scambi tra i due personaggi scandiscono la pièce e lo sguardo ingenuo di Ma’i sottolinea le incongruenze dei nostri tempi: perché portare tatuaggi se non se ne conosce il significato? Perché vivere così velocemente, senza fermarsi per incontrarsi, senza comunicare se non con il proprio telefonino?
Simpatica la voluta confusione tra il nome del passerotto polinesiano, vini, e il principale operatore telefonico polinesiano, Vini, così chiamato perché quando squilla il cellulare trilla come l’uccellino. Il povero Ma’i conosce i messaggi portati dai piccioni viaggiatori in Europa, ma non si capacita di come si possa tenere in tasca il piccolo volatile…
Ma’i difende i benefici della colonizzazione, finché Anamua non gli racconta dei test nucleari, rappresentati da tre ballerini in una sottile miscela di ‘ori Tahiti e danza contemporanea, che offrono l’immagine della Polinesia deturpata dagli esperimenti atomici.
Ci sono poi cenni alle avventure di Ma’i alla corte di re Giorgio. Per esempio quell’eccentrico pittore, Joshua Reynolds, che realizza il ritratto del polinesiano vestito come un turco, per sottolinearne l’aspetto “esotico”. O gli aristocratici che scherzosamente si scambiano gli abiti, vestendosi l’uomo da donna e viceversa. Ma’i seduce una giovane nobildonna, sia pure in pantaloni, non cadendo nell’inganno: un riferimento non solo alle avventure amorose del polinesiano, ma anche alla storia di Jeanne Baret, partecipante della spedizione di Louis-Antoine de Bougainville sulle navi La Boudeuse ed Étoile (1766-1769), prima donna a compiere la circumnavigazione del globo. Si era travestita da uomo, facendosi chiamare Jean Baret per arruolarsi come valletto e assistente del naturalista Philibert Commerson poco prima che Bougainville salpasse dalla Francia. Alle donne non era permesso partecipare alle spedizioni della marina, per questo Jeanne si affidò all’escamotage; tuttavia, appena arrivata a Tahiti, venne circondata da polinesiani curiosi che avevano ben capito quale fosse il suo sesso.
Il messaggio è: “Coltiva il tuo campo”, un’esortazione all’indipendenza non solo politica ma anche alimentare, per farla finita con i cibi surgelati e ultraprocessati in arrivo dagli Stati Uniti, e quindi con il diabete e l’obesità oggi largamente diffusi in Polinesia francese.