Una brillante analisi di “Corrispondenza Romana” spiega da quali “valori” politici e morali muovano le iniziative di chi sta tentando di annegare la nostra società sotto una marea migratoria.
Dalle infinite polemiche per l’introduzione dello Ius Soli al nuovo codice di condotta per le Organizzazioni Non Governative (Ong) che effettuano operazioni di soccorso in mare, il tema immigrazione continua a essere al centro del dibattito politico italiano ed europeo e promette di essere l’ago della bilancia attorno al quale si giocheranno le prossime elezioni politiche.
Tutto nasce a fine aprile, quando il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, viene travolto dalle polemiche per aver avanzato, dai microfoni di Agorà su Raitre, alcune legittime perplessità riguardo presunte collusioni tra operatori umanitari e trafficanti libici:
A mio avviso alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti e so di contatti. Un traffico che oggi sta fruttando quanto quello della droga. Forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante. Si perseguono da parte di alcune Ong finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi. Moltiplicate 8.500 per 600 euro circa che è il costo di ogni viaggio: sono cifre significative in tre, quattro giorni.
Le dichiarazioni di Zuccaro ovviamente non erano campate in aria ma basate su intercettazioni ben documentate, sebbene non utilizzabili processualmente, in quanto acquisite attraverso mezzi di comunicazione non ufficialmente riconosciuti, come spiegato dallo stesso procuratore siciliano:
C’è un colloquio radio tra persone a terra in Libia e altre su una nave che rispondono “potete mandarli… noi siamo qui…” tra gli atti conoscitivi della Procura, ma processualmente non è utilizzabile perché proviene da una fonte non ufficialmente identificabile.
Quello che finora mancava, in sostanza, era solo la “pistola fumante”:
Che ci siano alcune Ong che abbiano contatti con in Libia è un fatto, ma non una prova. Così che a volte spengono i transponder per non fare rilevare la loro presenza, che alcuni migranti chiamano le Ong, situazioni di anticipato soccorso. (…) Dalla Libia partono delle telefonate, “possiamo mettere in mare delle imbarcazioni anche se c’è il mare agitato?”. E da navi vicine ai luoghi di soccorso si risponde “fate tranquillamente, tanto noi siamo a ridosso”.
In questi ultimi giorni, tali tanto “bistrattate” tesi di Zuccaro hanno improvvisamente guadagnato unanime consenso e credibilità dopo che una di queste Ong sospettate, la tedesca Jugend Rettet (la gioventù salva), è stata colta con le mani nel sacco, in flagranza di reato, nell’ambito di un’inchiesta che riguarda almeno tre episodi, avvenuti il 18 giugno e il 26 giugno di quest’anno e il 10 settembre 2016.
Per fare luce su questi fatti, il procuratore di Trapani Ambrogio Cartosio ha aperto un fascicolo, al momento contro ignoti, ipotizzando il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina così motivato nel corso di una conferenza stampa:
Anche se in qualche caso interviene per salvare delle vite umane nel Mare Mediterraneo, vite di persone in una situazione di pericolo di vita, nella maggior parte dei casi invece le operazioni servono per trasportare persone scortate dai trafficanti libici, che vengono prese a bordo della nave, non molto capiente, e poi le persone loro consegnate vengono trasferite su altre navi della Marina militare o di altre organizzazioni. (…) Queste condotte si integrano nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Condotte “fuorilegge”da parte della Ong Jugend Rettet che hanno portato, lo scorso 2 agosto, il giudice per le indagini preliminari di Trapani Emanuele Cersosimo ad accogliere la richiesta della Procura, emettendo un decreto di sequestro preventivo della nave Iuventa. Decisivo ai fini delle indagini sarebbe stato il materiale video e fotografico acquisito grazie a sofisticate tecnologie di cui sono stati dotati alcuni agenti di polizia infiltrati a bordo della nave Vos Hestia, dell’organizzazione umanitaria Save the children, attiva nello stesso tratto di mare della Iuventa.
A tale riguardo, hanno spiegato gli investigatori: “le indagini, avviate nell’ottobre del 2016 e condotte con l’utilizzo di sofisticate tecniche e tecnologie investigative, hanno consentito di raccogliere elementi indiziari in ordine all’utilizzo della motonave Iuventa per condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. La nave Iuventa della Ong tedesca, sempre secondo fonti investigative, è “stabilmente dedita al soccorso di migranti in prossimità delle coste libiche e al loro trasbordo su altre navi sempre in acque internazionali, permanendo abitualmente nel mare libico, in prossimità delle acque territoriali del paese africano”.
Ad aggravare i capi di accusa, secondo la Procura di Trapani, si aggiunge inoltre il fatto che, negli episodi contestati alla Jugend Rettet non sarebbero stati riscontrati gli estremi dello stato di necessità per procedere a un’attività di soccorso, e tale constatazione, per la quale non sussisteva una imminente situazione di pericolo per le persone assistite, renderebbe realistica e del tutto ragionevole l’accusa mossa nei loro confronti di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
Questi ultimi sviluppi attorno all’accesa querelle, circa l’esistenza di ambigui e loschi legami tra Ong e scafisti, hanno dato ragione a Nicola Gratteri, procuratore capo della Repubblica di Catanzaro, che, a suo tempo, era stato il primo a schierarsi a fianco del collega Zuccaro, ingiustamente massacrato dalla stampa “politically correct” per aver osato ventilare la possibilità di discutibili contatti tra alcune Ong e trafficanti di persone nel Mediterraneo.
Oggi Gratteri si è preso la sua sonora rivincita, ricordando di non aver mai nutrito dubbi a riguardo: “Sono stato il primo a difendere Zuccaro anche quando era attaccato da persone importanti, perché lo conosco bene. È una persona perbene, un gentiluomo. Una persona molto seria e di rigore e se ha detto che non tutte le Ong hanno le carte in regola per fare il volontariato, io ci ho creduto, non ho messo un secondo per prendere le sue difese”. Poi, ha proseguito il magistrato, “ho avuto modo di capire e ho visto concretamente che c’erano dei contatti tra alcune Ong e organizzazioni criminali che si trovavano in Libia. (…) sono stati affrettati i commenti negativi contro ciò che ha detto Zuccaro e qualcuno dovrebbe anche chiedere scusa”.
Arriva il codice di condotta
Ora, a regolamentare una situazione finita abbondantemente fuori controllo, è finalmente arrivato il Codice di condotta delle Ong per i soccorsi in mare ai migranti, fortemente voluto, tra vibranti polemiche sorte all’interno dello stesso governo, dal ministro dell’Interno Marco Minniti.
Il codice in 13 punti rappresenta un vero e proprio decalogo al quale dovranno rigorosamente attenersi le imbarcazioni di soccorso, con indicazioni ben precise: dal divieto di entrare nelle acque libiche a quello di non spegnere o ritardare la trasmissione dei segnali di identificazione. Dall’obbligo di ricevere a bordo, su richiesta delle autorità nazionali competenti, “eventualmente e per il tempo strettamente necessario”, funzionari di polizia giudiziaria che possano raccogliere prove finalizzate alle indagini sul traffico, al dichiarare le fonti di finanziamento alle autorità dello Stato in cui l’Ong è registrata.
Il regolamento, a oggi, è stato sottoscritto solamente da 4 delle 8 organizzazioni non governative che fanno parte del sistema di soccorso nazionale dei migranti in mare, presenti inizialmente al Viminale ai lavori preparatori del codice: Proactiva Opens Arms, Save the Children, Moas e Sea eye. Non lo hanno ancora invece firmato Sos Mediterranee, Medici senza frontiere, Sea-Watch e Jugend Retter.
Tuttavia, per comprendere a fondo l’attuale dibattito attorno alla diatriba Ong-scafisti, oltre agli indiscutibili obiettivi politici ed interessi economici, è necessario evidenziare l’esistenza di una non trascurabile motivazione ideologica.
Una prospettiva reale e tutt’altro che secondaria che viene a galla dalla lettura dei fascicoli dell’indagine, attraverso le intercettazioni dei membri dell’equipaggio della Jugend Rettet e dalle informazioni carpite da un agente sotto copertura dove emerge chiaramente come l’azione di search and rescue di questi volontari fosse animata da una profonda convinzione ideologica.
“Non diamo alcuna fotografia dove in qualche modo si possano vedere persone che poi possono essere identificate”, afferma Katrin, un membro dell’equipaggio intercettata mentre “catechizza” il suo team a non collaborare con le autorità italiane in merito all’individuazione dei trafficanti.
Come scrive Luca Steinmann in un interessante articolo pubblicato sull’ “Huffington Post”,
L’obiettivo primario non sarebbe stato quello di coordinarsi con le autorità italiane per agevolare il sistema di salvataggio istituito dal governo, bensì quello di portare sulle coste europee il numero più alto di persone trovate in mare, anche a costo di non collaborare con le autorità.
Soros in gonnella
La Ong Jugend Rettet, fondata nel 2015 da giovani dell’alta e media borghesia tedesca, come sottolinea Steinmann, ha infatti fatto del salvataggio dei migranti una vera e propria missione ideologica prima che umanitaria:
Ho conosciuto i ragazzi di Jugend Rettet (…) Si tratta di giovani figli delle classi sociali più abbienti della Germania e provenienti da ogni parte del Paese, soprattutto da quella occidentale. Trapiantati a Berlino, hanno deciso di concentrarsi non sugli studi ma sulla creazione di una ong salvamigranti. La loro forma mentis è fortemente radicata nell’ambiente berlinese che frequentano: quello progressista e anti-patriottico di un certo tipo di società composta per lo più da forestieri.
I suoi membri rappresentano emblematicamente una certa parte della odierna gioventù tedesca che, vergognandosi del proprio passato storico, mira a distruggere ogni sorta di identità, diluendole in un nuovo anonimo sistema globalizzato di cui i “migranti” costituiscono la linfa vitale:
Figli dei crimini passati commessi in nome della germanicità, molti giovani tedeschi hanno conseguentemente sviluppato un radicale rifiuto di ogni elemento di continuità con i propri miti nazionali. In alcuni ambienti giovanili è maturata la volontà di porre fine al costante e opprimente paragone con il passato nazionalsocialista attraverso lo scioglimento delle singole identità particolari, a partire dalla propria, in un più ampio sistema di valori globalizzato. I migranti, in questi termini, rivestono una funzione centrale: non soltanto quella di fare fronte al calo di natalità dei tedeschi (cosa che è stata ribadita da diversi esponenti del governo) ma anche di contribuire con la loro presenza in Europa alla creazione di una nuova società in cui l’integrazione sia reciproca. All’interno di essa i popoli europei potranno finalmente sciogliere i propri riferimenti nazionali entrare a far parte di un unico mondo globalizzato senza limiti di confini, di differenze nazionali e di retaggi religiosi e culturali.
Da qui, le radici ideologiche che animano i giovani membri dell’equipaggio della Iuventa finito sotto inchiesta:
Le radici culturali dell’ambiente in cui nasce Jugend Rettet vede dunque nell’immigrazione uno strumento imprescindibile per destrutturare le singole identità europee. La forte vocazione ideologica dell’equipaggio di cui parlano i magistrati è la stessa di coloro che da Berlino sognano di utilizzare i migranti come mezzo per porre fine all’esistenza della particolarità tedesca.
In tale scenario, si evince chiaramente come dietro alle operazioni di soccorso in mare e agli inarrestabili “flussi migratori” vi sia un ideologico piano strategico ben organizzato, teso a importare masse di immigrati al fine di cambiare la fisionomia culturale dell’Europa:
Da questa prospettiva si può capire il rifiuto di collaborare con le autorità italiane. Gli obiettivi sono infatti diversi: non quello di assistere un’Italia abbandonata dall’Europa nella delicata gestione del fenomeno migratorio, bensì quello di spostare masse di persone dalle coste africane all’Europa perché potessero inconsapevolmente contribuire alla fondazione di una nuova identità collettiva post-nazionale. Per permettere questo processo sembra sia stato dunque considerato lecito interloquire con i trafficanti e aggirare gli ostacoli posti dalla legislazione italiana.
Come in ogni piano organizzato che si rispetti, dietro vi è un abile regista, e, nel caso della Ong Jugend Rettet e della loro nave Iuventa, il suo nome è Maria Furtwängler, attrice molto popolare in Germania e pronipote di Wilhelm Furtwängler, considerato uno dei massimi direttori d’orchestra del XX secolo.
Sulle colonne del “Foglio” Giulio Meotti ne ha delineato un efficace ritratto, sottolineando come la “pasionaria” Furtwängler, finanziatrice e testimonial della Ong Jugend Rettet, si definisca prima di tutto una “femminista” e abbia elogiato l’“idealismo” di quel “gruppo di studenti delle famiglie ricche della Germania che sfida ogni regola nel Mediterraneo per salvare migranti”. Assieme al marito Hubert Burda, magnate dell’editoria in Germania, la Furtwängler è presenza fissa ai vari World Economic Forum e con la sua Fondazione Malisa, si propone di costruire “una società equa” e “senza pregiudizi”, con un focus sul “razzismo quotidiano” e sulla promozione di progetti sociali di inserimento dei migranti.
In altre parole, la si può considerare come l’alter ego femminile tedesco del magnate ungherese George Soros. Dietro i massicci flussi di immigrati e le operazioni di soccorso in mare non vi sono “filantropi” ma personaggi ideologizzati con strategie e obiettivi ben precisi.