Ultime elezioni: torna l'”ostalgia”?

Là dove una volta c’era il muro, adesso non c’è (quasi) più nulla; qua e là ne è rimasto qualche brandello, di cui gran parte dei berlinesi perfino si vergogna; ma forse nella nuova Berlino riunificata, tornata ormai da tempo capitale della (forse ex) locomotiva d’Europa, aleggia ancora la sua presenza concettuale. Perché alla cortina di ferro che divideva in due vergognosamente la Germania (e con essa l’Europa), e che proprio qui a Berlino aveva nel muro il suo simbolo più manifesto, si è sostituita nei primi anni dell’unificazione una barriera invisibile di dati e cifre che impietosamente testimoniavano come l’unione tanto agognata nel 1989 non fosse stata per i tedeschi, o almeno per tutti i tedeschi, così profonda e riuscita nei fatti e sicuramente non senza traumi.
Si stava meglio quando si stava peggio, amavano ripetere alcuni anziani berlinesi della ex ddr negli anni ’90 del secolo scorso: lo ricordo bene per esserne stato testimone negli incontri che avevo nel corso di quegli anni da quelle parti. Secondo stime non troppo lontane dalla realtà, al tempo il 76% degli “ossis” (i tedeschi dell’est) rimpiangeva, nonostante tutto, il regime socialista nel quale era cresciuto, con una vita quotidiana senza fronzoli ma più sicura e tranquilla di quella in cui si erano tuffati all’indomani della caduta del muro; mentre nei primi anni della Germania unita andava aumentando anche tra i “wessis” (gli occidentali) il dubbio che si stessero spendendo tanti “loro” soldi per cercare di colmare il gap con “gli altri tedeschi”. In realtà sappiamo che quell’unificazione non furono solo i tedeschi a pagarla, dato che l’abbiamo finanziata un po’ tutti con l’introduzione dell’euro (e alcuni anche più cara di altri).
Ma, tornando alla Germania di ieri e di oggi, si può parlare di una “crisi di coppia”, come se si discutesse di un matrimonio? Forse si tratta di qualcosa di più profondo, soprattutto per i molti dei tedeschi dell’est, con aspettative non sempre realizzatesi e sogni che per tanti sono ben presto svaniti di fronte a una realtà più cruda di quanto quel muro dietro il quale si infrangevano utopie di libertà e di benessere aveva per anni alimentato. Come quelle di una coppia – lei al violino e lui al violoncello in abito scuro – che incontrai in uno dei miei viaggi sul finire del secolo scorso, mentre suonavano struggenti melodie classiche per pochi spiccioli vicino alla porta di Brandeburgo, simbolo stesso della Berlino imperiale, perché non riuscivano a tirare avanti con i soldi della prematura pensione alla quale erano stati costretti dopo lo scioglimento dell’orchestra con la quale avevano suonato per tanti anni… e non per strada ma nei migliori teatri, soprattutto dell’est europeo.

Il “muro invisibile”.

Si stava meglio quando si stava peggio: un berlinese su cinque (e sicuramente ben più della metà dei tedeschi dei Land della ex ddr), forse lo vorrebbero ancora lì, quel muro, magari non tanto a dividere il loro vecchio mondo, popolato di asmatiche Trabant, da quello delle fiammanti Audi, bmw e Mercedes dell’odiato-amato occidente. Non è più il tempo della “ostalgie”, neologismo coniato in Germania sul finire del secolo scorso, nato dall’unione dei vocaboli “osten” e “nostalgie” (nostalgia dell’est). Già, perché se allora non furono pochi a ritenersi umiliati da ciò che era successo dopo aver preso a martellate e a picconate quel muro che li aveva diviso fisicamente dall’agosto del 1961 al novembre del 1989, adesso le ultime elezioni al Bundestag fotografano una situazione che forse nemmeno gli stessi politologi avevano previsto nei termini che oggi appaiono così evidenti: quella divisione fra Land dell’ovest e Land dell’est si ripresenta a distanza di trentacinque anni praticamente uguale, quanto meno nel voto e quindi nelle aspirazioni dei votanti.
Ecco, una di fronte all’altra, nuovamente due Germanie, con la parte occidentale sostanzialmente schierata con i popolari dell’alleanza cdu-csu di Friedrick Merz, e quella orientale in cerca di profeti e di un nuovo futuro, quello promesso dalla rediviva destra di Alice Weidel e della sua afd, col pieno e malcelato appoggio di tanti autocrati e politici di ogni parte.
In tutto questo, l’Europa continua nei suoi variegati piagnistei e nelle diatribe sotterranee fra le sue tante diplomazie, forse rendendosi conto per la prima volta, dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca e di fronte a uno scacchiere internazionale spesso indecifrabile, di essere solo un multiforme gigante dai piedi d’argilla (ma anche di rame, palladio e terre rare…).