Basta fare un rapido sondaggio tra amici e parenti per scoprire che tutti sono schierati con i pastori sardi, alle prese con manifestazioni in cui denunciano la riduzione del prezzo del latte di pecora, pagato 60 centesimi al litro. Si tratta del 30% in meno rispetto a sei mesi fa, quando il listino segnava 85 centesimi. È giusto indignarsi, anche perché quando andiamo al supermercato a comprare il Pecorino Romano Dop oppure il Pecorino Sardo Dop o il Fior Fiore Sardo, i prezzi oscillano da 14 ai 16 €/kg e i listini non sono certo scesi. La questione purtroppo è complicata e anche la soluzione è tutt’altro che semplice. Per capire come stanno le cose, bisogna fare un passo indietro e vedere cosa succede nelle 35 cooperative che gestiscono i caseifici e nelle aziende private dove il latte di pecora viene trasformato in formaggio Dop.
Per fare un chilo di pecorino servono sei litri di latte di pecora, che nei momenti migliori veniva pagato ai pastori anche 1 €/l. L’anno scorso però il prezzo è sceso a 85 centesimi e adesso si è arrivati a 60, facendo scattare la protesta in tutta l’isola. Se nell’estate scorsa la materia prima per un chilo di formaggio Dop veniva a costare 5 €, adesso siamo scesi a 3,6. A questo importo bisogna aggiungere 1 €/kg per le spese di lavorazione e stagionatura. Alla fine il formaggio che veniva acquistato a 6 €/kg oggi cosa 4,6. Un disastro per i pastori e per l’economia dell’isola dove, è bene ricordarlo, si producono 500 mila quintali l’anno di formaggio pecorino (anche non Dop) e ci sono 15 mila aziende agricole che allevano circa tre milioni di pecore.
La crisi ha preso il via l’anno scorso, a causa di una sovrapproduzione di latte del 30% circa, che ha portato a un incremento notevole della quantità di formaggio Pecorino Dop. Questo eccesso si è scontrato con un calo delle esportazioni negli USA, che assorbono una grossa fetta della produzione. In questa situazione gli americani hanno giocato al ribasso con offerte di acquisto a prezzi stracciati e ci sono produttori che per motivi di cassa hanno accettato di vendere il formaggio sottocosto, incrementando così la spirale verso il basso del prezzo e la discesa dei listini del latte di pecora. La sovrapproduzione di pecorino è un motivo della crisi causato dai caseifici, che hanno preferito inondare il mercato di formaggio e pagare multe irrisorie pari a 0,016 centesimi al chilo.
Alla fine il mercato è crollato per eccesso di offerta. In questi casi si cerca di redistribuire la riduzione dei prezzi all’interno della filiera (confezionatori, distributori, catene di supermercati…), salvaguardando il sistema in attesa di tempi migliori. Per il pecorino sardo il sistema è però saltato, e gli unici a essere penalizzati sono stati i pastori che hanno visto ribassare il prezzo del latte a livelli insostenibili. Forse il carico dovrebbe pesare anche sulla filiera dove ci sono più margini di manovra. Stiamo parlando infatti di 9-10 €/kg, ovvero della differenza tra il prezzo pagato al caseificio e quello di vendita nei supermercati.
Ma adesso cosa si può fare per superare la crisi? A brevissimo termine il ministero delle Politiche agricole deve intervenire rilevando almeno 30-40 mila quintali di formaggio da destinare a collettività di indigenti e onlus, con una spesa di 30-40 milioni di euro. L’altra cosa da fare è ristabilire le quote di produzione dell’anno scorso, fissando una penalità di 1 € per ogni chilo di formaggio prodotto in eccedenza, per scoraggiare i caseifici troppo furbi. Un’altra operazione necessaria consiste nel rivalutare il ruolo del Pecorino Dop attraverso una promozione del prodotto basata sulla valorizzazione di tutti i formaggi Dop della Sardegna. Diventa fondamentale quindi stipulare un accordo fra i pastori e i caseifici (privati o di cooperative) che lo trasformano in pecorino sul prezzo minimo del latte. Occorre soprattutto creare una struttura unica tra le 35 cooperative dei caseifici in grado di fissare un prezzo al chilo minimo per il Pecorino Romano Dop, il Pecorino Sardo Dop e il Fior Fiore Sardo Dop di circa 7 €/kg, al di sotto del quale nessuno può vendere. Solo così si può garantire i pastori e salvaguardare l’economia dell’isola.
Roberto La Pira, “Il Fatto Alimentare”.