Parecchi Stati membri dell’ONU stanno per firmare un accordo per decretare che la migrazione è un diritto dell’uomo. Il testo definitivo dell’accordo – il Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration, da siglarsi in Marocco ai primi di dicembre – per quanto non formalmente vincolante, “colloca decisamente la migrazione nell’agenda mondiale. Questo documento sarà un punto di riferimento per gli anni a venire e indurrà un cambiamento reale sul terreno”, secondo Jürg Lauber, rappresentante della Svizzera presso le Nazioni Unite, che ha diretto i lavori con il suo omologo del Messico.
Un evidente paradosso di questa dichiarazione è che sono pochi i Paesi con requisiti di accesso restrittivi come quelli svizzeri. Se si desidera rimanere più di tre mesi in questo Paese, non solo occorre richiedere un permesso di soggiorno, ma nel tentativo di limitare l’immigrazione dai Paesi non membri dell’Unione Europea e dell’Associazione europea di libero scambio, le autorità elvetiche impongono rigorose limitazioni annuali sul numero dei permessi di soggiorno e di lavoro concessi agli stranieri. Questi permessi di soggiorno difficili da ottenere sono anche diventati una fonte di reddito, in quanto i ricchi stranieri comprano il diritto di risiedere in Svizzera.
L’accordo delle Nazioni Unite, al contrario, osserva che:
I rifugiati e i migranti hanno diritto a vedersi riconosciuti gli stessi diritti universali dell’uomo e le stesse libertà fondamentali, che devono essere rispettati, tutelati e garantiti in ogni momento.
(Preambolo, sezione 4)
È evidente che questo accordo non riguarda i rifugiati in fuga dalle persecuzioni né i loro diritti alla protezione in virtù del diritto internazionale; piuttosto, diffonde l’idea radicale che la migrazione – per qualunque motivo – debba essere incoraggiata, autorizzata e tutelata. Quasi tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, a eccezione di Stati Uniti, Austria, Australia, Croazia, Ungheria e forse anche Polonia e Repubblica ceca, dovrebbero firmarlo.
L’ONU nega che la migrazione sia stata trasformata in un diritto. “Chiedersi se questo sia un modo spiacevole per iniziare a promuovere un ‘diritto umano alla migrazione’ non è corretto. La questione non è contemplata nel testo; non c’è alcun bieco progetto di questo genere”, ha affermato Louise Arbour, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per le migrazioni internazionali.
L’ONU non ha alcun interesse ad ammettere che l’accordo promuove la migrazione quale diritto umano: fino a qualche tempo fa c’era ben poco da discutere al riguardo. Un maggiore dibattito avrebbe potuto compromettere l’intero progetto. Il testo dell’accordo, come documentato qui di seguito, lascia tuttavia pochi dubbi sul fatto che, con la firma dell’accordo, la migrazione diventerà effettivamente un diritto dell’uomo.
L’accordo consta di 23 obiettivi che impegnano i firmatari. L’obiettivo numero tre, per esempio, consiste nel promuovere e facilitare la migrazione attraverso una serie di misure. Gli Stati firmatari si impegnano a
Avviare e pubblicizzare un sito web nazionale accessibile a tutti per rendere disponibili le informazioni sulle opzioni di una migrazione regolare, come le leggi e le politiche in materia di immigrazione proprie di ciascun Paese, i visti necessari, le formalità di candidatura, le imposte vigenti e i tassi di cambio, i requisiti per ottenere i permessi di lavoro, i requisiti in materia di qualifiche professionali, le valutazioni delle credenziali, le opportunità di formazione e di studio, i costi e le condizioni di vita, per aiutare i migranti nel loro processo decisionale.
In altre parole, gli Stati non dovrebbero soltanto aprire le loro frontiere ai migranti di tutto il mondo, ma dovrebbero anche aiutarli a scegliere i loro Paesi di destinazione fornendogli informazioni esaustive su ogni Paese in cui un migrante desidera stabilirsi.
Anche il livello di servizio previsto per facilitare una maggiore migrazione è elevato. Gli Stati sono invitati a
Creare punti di informazione aperti e accessibili lungo le principali rotte migratorie per fornire ai migranti sostegno e consulenza di genere e ai minori, offrire opportunità di comunicare con i rappresentanti consolari dei Paesi d’origine, rendere disponibili informazioni sui diritti umani e sulle libertà fondamentali, offrire protezione e assistenza adeguate, opzioni e informazioni sui canali di migrazione regolare e sulle possibilità di ritorno nei luoghi d’origine, in una lingua che l’interessato comprenda.
Una volta che i migranti siano giunti alla destinazione scelta, i Paesi firmatari si impegnano a
Fornire ai nuovi arrivati informazioni mirate, attente alle questioni di genere e alle esigenze dei minori, esaustive e accessibili, nonché consulenza giuridica sui loro diritti e obblighi, incluso il rispetto delle leggi locali e nazionali, su come ottenere il rilascio di permessi di lavoro e di soggiorno, sulle modalità di definizione dello status, di registrazione presso le autorità, di accesso alla giustizia per denunciare le violazioni dei diritti e di accesso ai servizi di base.
I migranti sono chiaramente i cittadini di un nuovo mondo, in cui tutti i Paesi devono prestare assistenza a chiunque abbia scelto di viaggiare e di vivere lì per qualsiasi motivo. Le frontiere possono esistere in teoria, ma le Nazioni Unite – dove sono rappresentati quasi tutti i Paesi del mondo – stanno lavorando sodo per farle sparire nella pratica.
I migranti, secondo l’accordo, devono anche essere “autorizzati a realizzare la piena integrazione e la coesione sociale” nei loro nuovi Paesi (obiettivo 16). Ciò significa, fra le altre cose, che i Paesi stessi devono
Promuovere il rispetto reciproco delle culture, delle tradizioni e dei costumi delle comunità di destinazione e dei migranti con lo scambio e l’attuazione delle migliori pratiche sulle politiche, i programmi e le attività in materia di integrazione, inclusi i modi per promuovere l’accettazione della diversità e agevolare la coesione e l’integrazione sociale.
Tutte le culture sono uguali e devono essere rispettate allo stesso modo. Presumibilmente, questo significa per esempio che le mutilazioni genitali femminili – pratica a cui vengono sottoposte quasi tutte le donne somale – sono una tradizione che va “rispettata” a Londra e Parigi come lo è a Mogadiscio.
L’accordo prosegue dettagliando il lavoro che gli Stati devono avviare per accogliere i migranti. Dovrebbero essere messi a punto “gli obiettivi di politica nazionale relativi all’integrazione dei migranti nelle società d’accoglienza, come l’integrazione nel mercato del lavoro, il ricongiungimento familiare, l’istruzione, la non discriminazione e la salute”. Inoltre, il Paese ospite dovrebbe facilitare “l’accesso a un’occupazione dignitosa e a un impiego per il quale sono più qualificati, conformemente all’offerta e al fabbisogno del mercato del lavoro locale e nazionale”.
In altre parole, i migranti appena arrivati in Europa dovrebbero godere degli stessi diritti – o quasi – all’istruzione, al mercato del lavoro e all’assistenza sanitaria, riconosciuti agli europei che hanno lavorato sodo e pagato le tasse per mezzo secolo per ottenerne l’accesso… Ovviamente, tutto ciò andrà finanziato con il denaro dei contribuenti europei.
Chiaro, gli autori dell’accordo non si aspettano che il Global Compact sarà preso particolarmente bene dalle popolazioni. Un accordo per facilitare una migrazione di massa da tutto il pianeta, diretta soprattutto verso i Paesi occidentali (non si può parlare di alcuna migrazione nella direzione opposta), potrebbe rivelarsi un po’ eccessivo per gli occidentali. Il patto globale indica quindi con chiarezza che nessun disaccordo sarà tollerato e che gli Stati firmatari lavoreranno per contrastare “narrazioni fuorvianti che generino percezioni negative dei migranti”.
Affinché tale obiettivo diventi realtà, gli Stati firmatari si impegnano innanzitutto a
Promuovere un’informazione indipendente, obiettiva e di qualità nei media e su internet, ma anche sensibilizzare e informare i professionisti dei media in materia di migrazione e sulla terminologia appropriata da utilizzare, mettendo a punto norme etiche da osservare nell’èmbito della comunicazione mediatica e della pubblicità, e interrompendo l’assegnazione di fondi pubblici o di aiuti materiali ai media che promuovono sistematicamente l’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e altre forme di discriminazione nei confronti dei migranti, nel pieno rispetto della libertà dei media.
(Obiettivo 17)
E qui sembra sentire parlare un Orwell sotto steroidi. Quasi tutti i Paesi membri dell’ONU firmeranno un accordo secondo il quale i media contrari alle politiche governative non potranno beneficiare dei finanziamenti pubblici? Oltre a ciò l’accordo afferma, in modo farsesco, che questo obiettivo è stato fissato “nel pieno rispetto della libertà dei media”, come se qualcuno potesse crederci.
In secondo luogo, gli Stati firmatari si impegnano a
eliminare ogni forma di discriminazione, condannare e contrastare espressioni, atti e manifestazioni di razzismo, discriminazione razziale, violenza, xenofobia e relativa intolleranza nei confronti di tutti i migranti conformemente alla legislazione internazionale in materia di diritti umani.
(Obiettivo 17)
In modo opportuno, l’accordo non offre definizioni di ciò che in siffatto contesto costituisca “razzismo” o “xenofobia”. E cosa si intende per “relativa intolleranza”? Criticare le politiche migratorie delle Nazioni Unite, per esempio, è “intolleranza”?
In principio tutti i membri dell’ONU, tranne gli Stati Uniti, avevano approvato il testo definitivo dell’accordo e sembravano disposti a firmarlo a dicembre. Di recente, tuttavia, vari Stati hanno annunciato che non aderiranno al Global Compact.
A luglio l’Ungheria si è tirata fuori. Il ministro degli Esteri Peter Szijjarto ha definito il testo “totalmente contrario agli interessi di sicurezza dell’Ungheria”. E ha aggiunto:
Questo patto rappresenta una minaccia per il mondo poiché potrebbe indurre milioni di persone a migrare. Parte dal principio che la migrazione è un fenomeno positivo e inevitabile. Noi consideriamo la migrazione come un processo negativo che può comportare gravissime conseguenze in termini di sicurezza.
A luglio, anche l’Australia ha annunciato il suo ritiro dall’accordo, almeno nella sua forma attuale. Ha detto il ministro dell’Interno, Peter Dutton:
Non firmeremo un accordo che sacrifichi un qualsiasi aspetto della nostra politica di protezione delle frontiere. Non rinunceremo alla nostra sovranità; non permetterò a organismi non eletti di imporre decisioni al popolo australiano.
A novembre, anche la Polonia e la Cechia si sono mostrate assai propense a tirarsi fuori dall’accordo, e il presidente croato Kolinda Grabar-Kitarovic ha dichiarato che non avrebbe firmato il Global Compact. Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha affermato: “I nostri princìpi sovrani in materia di sicurezza delle frontiere e di controllo dei flussi migratori sono per noi una priorità assoluta”.
Anche l’Austria si è detta contraria alla firma dell’accordo. “Valutiamo molto criticamente alcuni punti del patto del patto migratorio, come per esempio la commistione tra la ricerca di protezione e la migrazione di manodopera”, ha dichiarato il cancelliere Sebastian Kurz.
L’Unione europea ha immediatamente biasimato la decisione dell’Austria. Ci rammarichiamo per la decisione presa dal governo austriaco. Continuiamo a credere che la migrazione sia una sfida globale che può essere risolta solo attraverso soluzioni globali e responsabilità mondiali condivise”, ha dichiarato un portavoce della Commissione Europea.
Per inciso, questa è la stessa Unione Europea che dovrebbe “frenare” i flussi migratori. Se si vuole “porre un freno” alla migrazione, perché firmare accordi che la facilitano e la rendono una realtà in crescita esponenziale trasformandola in un diritto umano?