L’economista britannico Paul Collier, autorità mondiale sulle migrazioni e autore di Exodus: i tabù dell’immigrazione, ha spiegato in un’intervista alla “Neue Zurcher Zeitung”, quotidiano in lingua tedesca di Zurigo, un risvolto fondamentale delle ondate migratorie verso l’Europa: il danno immenso che stanno creando all’economia e alla società dell’Africa. Ecco il testo.
NZZ
Lei si occupa di politiche migratorie da decenni. Perché questo argomento è diventato così dibattuto, e come bisognerebbe affrontarlo dal punto di vista politico?
Collier
Le attuali politiche migratorie e sui rifugiati sono un disastro. È un sistema che non funziona. In realtà non meriterebbe nemmeno di essere chiamato “sistema”. Come si è arrivati a questo punto? Con decisioni politiche di breve periodo, incredibili e irresponsabili, prese da figure chiave in Europa; in particolare da Angela Merkel, che nel 2011 prima ha ignorato il problema dei rifugiati, poi si è svegliata all’improvviso nel 2015 in preda al panico.
Ha deciso di aprire le porte in modo unilaterale e irresponsabile credendo che sarebbero arrivate solo 10.000 persone… Sei mesi dopo, con identica unilateralità, ha dovuto chiudere quelle stesse frontiere negoziando un affare incredibilmente costoso con Erdogan, un uomo davvero gentile. Quindi ha cercato di costringere gli altri Paesi europei ad accettare i rifugiati che lei stessa aveva fatto entrare. Si tratta senza dubbio di un’incredibile irresponsabilità. E ovviamente anche la politica europea è fuori controllo.
NZZ
Quali sono le principali cause delle migrazioni?
Collier
Innanzi tutto dobbiamo fare una chiara distinzione tra immigrati e rifugiati. I rifugiati sono solo un sottogruppo delle persone che lasciano la loro patria. Coloro i quali non emigrano volontariamente ma vengono espulsi, sono per definizione sfollati oppure rifugiati. Non vogliono emigrare e quindi non sono immigrati. Questo è il primo punto. Gli sfollati trovano un luogo dove vivere per lo più all’interno del proprio Paese d’origine e vengono così definiti sfollati interni: in tutto il mondo sono circa 65 milioni. Circa un terzo, invece, abbandona il proprio Paese attraversando il confine più vicino e, legalmente parlando, diventa rifugiato. La maggior parte di loro trova rifugio immediatamente oltre frontiera, nelle immediate vicinanze dell’area di conflitto. Questo è il vero problema: provvedere ai rifugiati in queste aree regionali.
NZZ
Proprio come la maggior parte dei rifugiati siriani che si trova in Libano.
Collier
Sono in Libano, in Turchia e in Giordania. L’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, l’UNHCR, fondata all’inizio degli anni ‘50, è nata in un contesto completamente diverso. A quel tempo la soluzione adottata era quella delle tendopoli con pasti e alloggi gratis, che nei successivi quaranta anni ha rappresentato una soluzione ragionevole. Per la situazione attuale dei rifugiati tuttavia non ha più senso. L’intero sistema dell’UNHCR nel mondo è ignorato dal novanta per cento dei rifugiati perché non soddisfa più i loro desideri. Vogliono riavere la loro indipendenza. Prova a immaginare: devi fuggire dalla tua patria; vuoi essere indipendente e rimettere insieme la tua comunità, e il modo più semplice per farlo è andare in una città. Ed è ciò che fa la maggior parte dei rifugiati: cerca un lavoro in una città.
I rifugiati siriani che arrivavano in Giordania in un certo senso erano in paradiso: la stessa religione, la stessa lingua. La grande differenza è che in Giordania il reddito pro capite è sei volte più alto che in Siria. Se un siriano potesse quindi trovare un lavoro in Giordania, starebbe decisamente bene. Avrebbe trovato il paradiso in terra. Per il governo giordano, tuttavia, si tratterebbe di un problema molto serio perché non potrebbe permettere ad altre persone – i siriani – di mettersi a fare concorrenza al ribasso con i giordani sul mercato del lavoro. Alex Betts e io abbiamo allora proposto al governo una strategia ponendo la seguente domanda: “Se sia i giordani sia i rifugiati potessero trarne beneficio, permettereste ai rifugiati di lavorare?” L’idea era che l’Europa fornisse lavoro sia per i rifugiati sia per la popolazione giordana.
NZZ
La sua idea di fondo era quella di creare incentivi per tutte le parti in causa?
Collier
Sì, certo. Sarebbe stato da folli alzare il dito e dire: “Dovete dargli dei posti di lavoro!”. Possiamo usare la globalizzazione per creare posti di lavoro laddove ci sono rifugiati. L’Europa – e in particolare la Germania – era ben attrezzata per farlo. Con tutte le aziende che già operano nella regione, la Germania era predestinata a farlo. Le aziende tedesche nel corso degli anni hanno creato centinaia di migliaia di posti di lavoro in Turchia. E questo non è costato alcun posto in Germania. Al contrario: in Germania c’è stato un aumento della produttività perché i lavori meno qualificati, le posizioni meno produttive, sono stati trasferiti in Turchia. Questa è la globalizzazione nella sua forma migliore. Ma la risposta dell’UNHCR alla nostra proposta è stata: “non siamo un centro per l’impiego; non diamo lavoro ai rifugiati; forniamo loro cibo e tende gratis”. Questo è il problema. Le persone non vogliono essere nutrite gratuitamente per dieci anni e restare nelle tende. Vogliono lavorare.
NZZ
Lei distingue tra sfollati, rifugiati e persone che diventano migranti per altre cause?
Collier
Potrei raddoppiare le mie entrate se mi trasferissi in Norvegia. Con un tale trasferimento la stragrande maggioranza della popolazione mondiale aumenterebbe il proprio reddito di oltre il doppio. Ma non ha il diritto di farlo. Nel complesso è molto triste quando le persone vengono definite in base all’aspirazione di lasciare il proprio Paese. L’Europa rischia involontariamente di fare esattamente questo con l’Africa.
Opero per il novanta per cento del mio tempo con i governi africani, il cui incubo peggiore è che i giovani si innamorino della narrativa secondo la quale la loro unica speranza risiede nell’emigrazione. Attualmente sto lavorando con il governo del Ghana; un ottimo governo: il presidente, il vicepresidente e il ministro delle Finanze sono degli ottimi politici, sicuramente migliori dei loro omologhi nella maggior parte dei Paesi europei. Il PIL del Ghana è aumentato del 9% l’anno scorso. Il governo sta facendo un buon lavoro. Quest’anno, tuttavia, non potrà creare opportunità economiche che siano migliori rispetto alla possibilità di trovare un lavoro in Europa, nella maniera più assoluta. Ma ciò non significa che abbiamo il diritto di attirare in Europa i migliori giovani ghanesi. Servono in Ghana.
Alcuni ritengono erroneamente che attirare i giovani dotati usando le parole “benvenuti in Europa” sia una grande azione moralmente nobile. In questo modo vengono allontanati dai loro veri doveri e dalle opportunità in Africa, così che finiscano a ciondolare frustrati per le strade di Roma, il che corrisponde assai meglio alla realtà dei fatti. L’Africa deve creare milioni di posti di lavoro. Invece, continuiamo a sedurre migliaia di africane e africani spingendoli a salire su un barcone. Questo è estremamente irresponsabile e immorale, perché quando costoro arrivano per la prima volta dall’Africa in Europa, capiscono immediatamente la verità, ma sono in trappola perché il ritorno li renderebbe ridicoli davanti ai loro amici e parenti.
Cosi continuiamo ad autocelebrarci come se fossimo persone buone, mentre siamo profondamente immorali. Ciò di cui l’Africa ha bisogno è un rafforzamento della produzione, non un diritto al consumo. L’Africa non ha bisogno della nostra elemosina ma delle nostre imprese. Durante i nostri sforzi per spingerle ad andare in Giordania per dare lavoro ai rifugiati, abbiamo parlato con molte aziende. Sa qual era per loro l’ostacolo maggiore?
NZZ
Quale?
Collier
Le aziende temevano che se fossero andate in Giordania, le organizzazioni non governative europee le avrebbero accusate di gestire fabbriche in cui i rifugiati venivano sfruttati. Le stesse ONG che si vantano di essere i grandi difensori dei rifugiati, in realtà erano il vero problema.
NZZ
Ovviamente si possono fare entrambe le cose, offrendo anche lavori decenti.
Collier
Certo. Ma, onestamente, se arrivi dalla Siria – dove persino prima della guerra guadagnavi in media 2000 dollari all’anno, e ora in Giordania potresti avere un reddito medio di 13.000 dollari – probabilmente ogni lavoro ti sembrerebbe fantastico. E naturalmente volevamo far arrivare imprese decenti che rispettassero la legislazione giordana e creassero buoni posti di lavoro per i siriani. Gli standard lavorativi e tutto il resto non sarebbero stati un problema. Si tratta di una preoccupazione totalmente ingiustificata.
Quello che invece è accaduto è che appena il 5% dei siriani si è spostato in Germania, ma erano ben selezionati. Chi è emigrato? Giovani uomini benestanti, tanto che adesso il 40% di tutti i laureati siriani si trova in Germania. Si tratta di un’operazione talmente irresponsabile che andrebbe condannata pubblicamente.
NZZ
Come spiega il fatto che la questione dei rifugiati è diventata un tema così divisivo in Europa?
Collier
Perché sull’argomento non si è riflettuto abbastanza. Abbiamo visto all’opera leader che non hanno rispettato il loro obbligo di studiare politiche a lungo termine. Sembra piuttosto che abbiano reagito agli eventi di settimana in settimana, o peggio di giorno in giorno. Prendendo decisioni di breve respiro indotte da eventi immediati, si finisce per affondare sempre più nel caos. Nel complesso dovremmo chiederci: “Quale sarebbe una politica sostenibile?” Credo che potremmo raggiungere assai rapidamente un ampio consenso su questo, a destra come a sinistra.
Una politica sostenibile sarà caratterizzata da tre elementi: il primo è che sarà etica. Sarà cioè all’altezza dei nostri obblighi morali nei confronti dei rifugiati e di chi nei Paesi poveri ha un grande bisogno di avere una speranza. Hanno bisogno di una possibilità.
NZZ
In cosa consistono esattamente questi compiti?
Collier
Uno dei doveri nei confronti dei rifugiati è mostrare solidarietà. Quando nel 2011 è iniziata la prima grande ondata di profughi dalla Siria, l’Europa ha avuto una responsabilità, così come la Giordania, la Turchia e il Libano. Dobbiamo mostrarci solidali e unirci alle misure di solidarietà secondo il principio del vantaggio comparato. “I giordani fanno ciò che sanno fare meglio: mantenere aperti i confini, offrire un luogo di rifugio sicuro e consentire alle persone di lavorare. Facciamo anche noi ciò che sappiamo fare meglio: portiamo ai rifugiati i posti di lavoro che ridanno loro l’indipendenza e mettiamo a disposizione il denaro che rende l’affare redditizio per la Giordania”. Ma non abbiamo fatto nulla di ciò. Il deficit di bilancio della Giordania è esploso perché il Paese ha dovuto far fronte a questi rifugiati senza aiuto esterno.
NZZ
Se dovesse consigliare un politico europeo in vista delle elezioni europee del prossimo anno, quali politiche gli suggerirebbe?
Collier
Siamo immersi in una diatriba polarizzata poiché le persone discutono dei temi sbagliati. Potremmo ottenere un ampio consenso se non ci concentrassimo solamente su ciò che dobbiamo fare domani, ma ci occupassimo di come far funzionare un sistema sostenibile nel lungo periodo. Il punto di partenza è che tutto quanto facciamo deve essere etico. Ciò significa che deve rispettare i nostri obblighi nei confronti dei rifugiati. E lo sarà se riusciremo a portare ai rifugiati dei posti di lavoro e se riusciremo a fornire un enorme sostegno ai governi dei Paesi di prima accoglienza, in modo che i loro confini rimangano aperti. Questa è la chiave. Se le società dei Paesi di destinazione non trarranno alcun vantaggio dalla situazione, non terranno più le loro frontiere aperte, e avremo quindi la temuta pressione degli sfollati che non possono lasciare il loro Paese.
Un altro nostro dovere etico è quello di portare opportunità nei Paesi in cui si sta diffondendo la pericolosa favola dell’emigrazione come risorsa obbligata. Tutta la mia vita lavorativa di oltre quarant’anni è stata dedicata al principio che le società povere devono poterci raggiungere. E non saranno in grado di raggiungerci se le persone più brillanti lasceranno la loro terra.
In questo periodo ho uno studente che è un medico sudanese. Non gli insegno medicina ma scienze politiche, perché vorrebbe tornare in Sudan per lavorare nell’ufficio del primo ministro. I suoi amici – altri medici sudanesi in Gran Bretagna – pensano che sia pazzo. Lavorano più medici sudanesi a Londra che in tutto il Sudan. È uno scandalo etico che la Gran Bretagna assuma medici sudanesi per il suo sistema sanitario invece di formarli per il loro Paese. La Gran Bretagna ha tre delle migliori dieci università del mondo. L’Africa non ne ha nemmeno una. L’idea che dipendiamo da medici che hanno studiato in Africa è assurda. L’Africa ha bisogno di medici formati nel Regno Unito. È vergognoso che una simile politica venga perseguita in Europa.
Proseguendo, dobbiamo seguire una politica che incontri un’ampia approvazione democratica, per la quale la maggioranza delle persone dica: “Sì, a me sta bene”. Se si cercasse di applicare una politica che la maggioranza delle persone in questa società ritiene irresponsabile, la democrazia verrebbe messa in questione. Ed è esattamente ciò che sta accadendo. I governi di tutta Europa hanno perso la fiducia dei loro cittadini, e in misura notevole. Questo è un disastro, perché i governi hanno bisogno della fiducia per poter lavorare, non solo nell’àmbito dell’immigrazione, ma in tutti i settori.
traduzione a cura del blog “Voci della Germania”, adattamento di “Etnie”.