Il consiglio esecutivo dell’unione delle comunità del Kurdistan (kck) ha voluto celebrare un importante anniversario: la fondazione del partito dei lavoratori del Kurdistan (pkk) ricordandone l’importante influenza in ogni àmbito della società (non solo in quella curda ovviamente).
Sorto il 27 novembre 1978, il pkk ha letteralmente “risuscitato il popolo curdo” che in quella fase storica rischiava, sempre letteralmente, l’estinzione. Apportando inoltre uno “sviluppo significativo” alla causa dell’autodeterminazione dei popoli.
Come si può evincere dal comunicato, “il pkk ha cambiato il tragico destino dei curdi avviando un nuovo processo storico non solamente in Kurdistan ma anche nel Medioriente. Portando avanti la lotta contro il colonialismo e il genocidio”. Un movimento visto e vissuto come “resistenza contro l’ingiustizia e l’oppressione”.
Di assoluta rilevanza sia il ruolo del pkk nel rimettere in discussione i poteri consolidati di regimi subalterni al colonialismo e reazionari, sia l’impegno nei confronti dell’emancipazione femminile (nasce all’interno dell’organizzazione curda lo slogan divenuto ormai universale “Jin, Jiyan, Azadî”), il fondamentale contributo per debellare la violenza verso le donne. Ricordato poi quello che viene considerato il “complotto internazionale” per indebolire il pkk e colpirne il leader Abdullah Öcalan, il “Mandela curdo” (sequestrato ancora nel febbraio 1999 e in totale isolamento ormai da quasi tre anni).
A conclusione del comunicato kck, si dichiara che “gli attacchi contro il pkk non potranno indebolire le forza, ormai ben radicata nella società e nelle coscienze dei popoli”, di un movimento “di lotta, di speranza e di resistenza, destinato a crescere e svilupparsi ogni giorno di più”.
Il 26 novembre l’anniversario veniva ricordato anche dal quartier generale centrale di yja (forze armate delle donne libere) con queste omaggio al fondatore Öcalan: “Salutiamo con affetto, rispetto e con entusiasmo il nostro Leader che ci ha allevati e accompagnati fino a oggi e celebriamo questo giorno per lui, per tutti i nostri compagni che resistono nelle prigioni, per le famiglie dei nostri martiri, per il nostro popolo che si è votato alla causa del pkk e dell’umanità mondiale. Commemoriamo con rispetto e riconoscenza tutti i nostri compagni, da Haki Karer a Axîn Muş, Jîndar Rûmet Meyaser, Andok e Egîd Kobani”. Esprimendo inoltre la promessa di “portare a compimento la nostra resistenza con la vittoria come un dovere nei confronti della loro memoria”.
Riconoscendone il ruolo di “pioniere della resistenza”, si ribadisce che “Apo” (Abdullah Öcalan) “fin dal primo giorno non è mai sceso a compromessi in materia di libertà”. Per cui è possibile affermare che il partito da lui fondato “rappresenta l’incarnazione della resurrezione di un popolo”.
Si rivendica come in questi giorni tale impegno si esprima “nella lotta di liberazione condotta a Zap, Hill Amediyê, Hill Cûdî, Şehit Pîrdoğan e in ognuna delle quattro parti del Kurdistan”.
Ovviamente è stata soprattutto l’intensa partecipazione delle donne curde fin dalle origini (scontato il riferimento a “Sara”, Sakine Cansiz) a definire, caratterizzare in senso femminista tale movimento di liberazione. Come “partito dei popoli, delle donne e dei giovani oppressi, sfruttati, marginalizzati, il pkk ha mostrato di rappresentare un mezzo per costruire la libertà e sviluppare una coscienza di autodifesa in ogni settore della società”.
Il ruolo femminile
E ancora una volta sono state soprattutto le donne ad adottare e interpretare tale strategia. Infatti le forze di autodifesa delle donne organizzate come ypj (unità di difesa delle donne) e yjş (unità delle donne di Shengal), dal Rojava a Shengal, costituiscono la maggiore realizzazione concreta, visibile di tutto questo.
Con un video, la guerrigliera Agirî Tolhildan, esponente delle yja Star, ha voluto dare conferma che “le donne che si riconoscono nel pkk ora stanno lottando sulle montagne come fecero dovunque”. Inoltre con il pkk le donne curde “affermarono il proprio potere, la loro volontà di rialzarsi”.
Altro comunicato per il 45° anniversario del pkk, quello prodotto dal movimento della società democratica tev-dem con cui si rende onore, oltre che al leader incarcerato Abdullah Öcalan, “ai rivoluzionari e pionieri del partito, alla guerriglia di hpg e yja Star, ai prigionieri politici e alle famiglie dei martiri”.
Rimarcando come all’epoca esistesse la necessità “di una avanguardia intellettuale e ideologica in grado si salvaguardare la società dal genocidio fisico e culturale operato dallo Stato turco. In tali circostanze, la notizia della fondazione del partito costituiva un importante, storico passo in avanti. L’avvio di un importante processo di ricostruzione nazionale in grado di restituire la speranza e la fiducia ad ampi settori della società curda, la rappresentazione della volontà libertaria della regione e dei popoli del mondo”.
Come è noto (ma non abbastanza), contro tale lotta lo Stato turco ha messo in campo ogni genere di massacri, atrocità e armamenti. Comprese le armi chimiche proibite dalla Convenzione di Ginevra.
Ostinandosi a rifiutare una soluzione politica del conflitto. Per la quale appare indispensabile la liberazione e un ruolo attivo per Abdullah Öcalan.
In un altro comunicato, quello del coordinamento del partito delle donne libere in Kurdistan (pajk), si legge che “commemoriamo con gratitudine e rispetto tutti i martiri della nostra rivoluzione nelle persone di Sakine Cansız, Mazlum Doğan, Kemal Pir, M. Hayri Durmuş, Rojhat Zilan, Erdal Şahin… che si sacrificarono portando avanti questa linea politica”.
Così come vengono ricordati “Axin Muş, Leyla Amed, Dicle Eylem… caduti mentre resistevano eroicamente a Botan, Amed, Serhad, Mardin, Zap, Avaşin, Metina”.
Un saluto ai “compagni del pkk–pajk che resistono nelle segrete [in riferimento alle carceri speciali] e combattono sulle montagne, le donne che lottano e il nostro popolo resiliente e l’intera umanità”, definendo il pkk come “il movimento più assertivo contro la mentalità e le cultura patriarcale, l’unica forza in grado di organizzare la modernità democratica contro il sistema della modernità capitalistica”.
Concludendo. Sarebbe forse ingiusto sovraccaricare di responsabilità il movimento di liberazione curdo affidandogli il compito di panacea universale. Ritenere che l’ipotesi del confederalismo democratico, dell’autogoverno e dell’autogestione generalizzati – come si è cercato di fare in Rojava – possa risolvere tutte le questioni aperte (meglio: lacerate), le ferite sanguinanti o incancrenite del Pianeta. Tuttavia sarebbe forse il caso di pensarci. Dall’Armenia, alla Palestina al Myanmar. Vedi le recenti dichiarazioni di solidarietà e sintonia politica nei confronti dei curdi da parte delle organizzazioni e delle milizie etniche (Karen, ma non solo: Shan, Chin, Kachin, Rakhine, Kayah…) in lotta contro il regime.