Forse esaltata dalla recente vittoria dell’Azerbaijan contro l’Armenia nel Nagorno Karabakh, nel febbraio scorso la campagna presidenziale del presidente uscente Ilham Aliyev (rieletto) era stata condotta all’insegna della repressione, con l’arresto di dissidenti e giornalisti non allineati. Tra questi ben sei della redazione di Abzas Média, specializzata in giornalismo investigativo. Fortunatamente (e coraggiosamente) le loro inchieste venivano riprese da un gruppo internazionale coordinato da Forbidden Stories. Tra cui quella sull’inquinamento da cianuro (con rischi immaginabili per la salute della popolazione) derivante dall’attività da una miniera d’oro a circa 450 chilometri dalla capitale. La miniera di Gedabek, sfruttata dalla holding britannica Anglo Asian Mining.
Già l’anno scorso un centinaio di cittadini di Söyüdlü (il paese che sorge nelle vicinanze) erano scesi in strada per denunciare. Caricati e picchiati dalla polizia, alla fine si contavano decine di feriti e altrettanti arresti. Protestavano soprattutto contro la realizzazione di un nuovo lago artificiale che dovrebbe funzionare da stoccaggio per i fanghi (le scorie) al cianuro. Un altro bacino in attività, posto a 400 metri dal paese e risultato contaminato, avrebbe già da tempo avvelenato il suolo. Potrebbe essere il responsabile, la causa principale di un gran numero di malattie respiratorie e di tumori, con decessi ben oltre la norma.
Tra i fermati per aver filmato la scena, anche la giornalista Nargiz Absalamova. Arrestata nuovamente alla fine dell’anno scorso, rischia fino a otto anni di carcere. Un altro giornalista che aveva documentato fotograficamente la protesta, Elmaddin Shamilzade, dopo essere stato fermato, veniva anche picchiato. Non solo, anche minacciato di stupro se non avesse consegnato la sua password. Tanto che ora vive in esilio all’estero.
Temporaneamente sospese (ufficialmente per accertamenti, analisi del suolo, eccetera), dopo circa tre mesi le attività della miniera erano riprese. Veniva anche istituita una commissione d’inchiesta presieduta dall’attuale ministro dell’Ecologia e delle Risorse naturali (nonché presidente designato di cop29), Mukhtar Babayev. I risultati ufficiali delle analisi apparivano quasi confortanti: “In nessun campione prelevato dal suolo si è riscontrata la presenza di cianuro in quantità superiore ai limiti consentiti”.
Posizione ufficiale, senza che l’opinione pubblica e la stampa investigativa potessero accedere ai dati raccolti, per cui i timori degli abitanti di Söyüdlü sono rimasti immutati. Poco rassicurante oltretutto la presenza costante della polizia che controlla gli ingressi del paese, avvolto in un clima cupo: si parla di intimidazioni, minacce, arresti extragiudiziali, addirittura di torture per chi mostra l’intenzione di tornare in strada a protestare.
Quanto all’ingegnere in energie rinnovabili Kanan Khalilzade, esponente dell’ong Ecofront, scoperto mentre prelevava dei campioni di terreno per analizzarli, era stato immediatamente arrestato.
L’oro qui estratto viene venduto in Svizzera, presso mks pamp (specializzata in minerali preziosi), rifornendo tra gli altri Tesla, Samsung e Apple.
Naturalmente quella della miniera di Gedabek non è l’unica questione spinosa per l’Azerbaijan. In vista di cop29, la conferenza onu sui cambiamenti climatici prevista per novembre a Baku, nel Paese si va diffondendo un’autentica campagna di sistematica intimidazione nei confronti della cittadinanza e dei possibili contestatori.
Un documento dell’Unione per la libertà dei prigionieri politici dell’Azerbaijan ha fornito una lista di 303 prigionieri politici. Stando a quanto qui denunciato, il governo sta applicando misure molto severe (persecuzioni, minacce, lunghe detenzioni, confessioni estorte con la tortura) nei confronti di chiunque si azzardi a criticare l’operato del governo. Siano essi difensori dei diritti umani, ecologisti, giornalisti d’inchiesta, docenti universitari che scrivono articoli di etnologia non allineati con la retorica nazionalista ufficiale… Situazione che appunto si va esasperando man mano che si avvicina la scadenza della conferenza sul clima.