Sono tempi veramente duri per quel mondo cultural-politico – il nostro – che si occupa di studio e difesa dei gruppi etnici. Un mondo, quello dell’antropologia e dell’autonomismo, sempre più compresso tra il globalismo che aggredisce le radici culturali dei popoli e chi lo combatte aggrappandosi al mai morto – semmai peggiorato – centralismo degli Stati nazionali.
A livello continentale, poi, la situazione è disastrosa. Si ragisce al mostro distopico con sede a Bruxelles confondendo Unione Europea ed Europa, sicché è ormai una gara tra il neocomunista che si sente prima europeo e poi italiano, da una parte, e sul fronte nemico il post-missino e tanti “liberali” che si considerano solo italiani perché i popoli europei non hanno niente in comune tra loro.
Resta davvero poco spazio per quell’Europa che nei secoli ha pregato lo stesso Dio nella stessa lingua, che si scambiava pittori, poeti e musicisti con la stessa disinvoltura con cui oggi passano di mano le banconote da 10 euro.
E così quaggiù stiamo ripiombando negli slogan di mezzo secolo fa, quando “tutti discendiamo dai romani, siamo la culla della civiltà, i confini italiani esistono dal neolitico, gli altoatesini se non gli va possono tornarsene in Austria, la Corsica è italiana, i padani non esistono, riprendiamoci Nizza”… Questi sovranisti non hanno memoria storica delle battaglie autonomiste degli anni Settanta e Ottanta – sono giovani, non sanno nemmeno che ci sono state – ma per il pubblico di YouTube sono più pericolosamente appetibili di quanto ai tempi lo fossero gli Spadolini e i Vertone, poiché essi erano espressione del potere centrale, mentre costoro combattono contro un odioso establishment culturale e sono immensamente più intelligenti e (apparentemente) colti dei mentecatti da centro sociale o degli psicopatici woke. Il problema è che tra il centralismo con le dodici stelle e quello con i tre colori non c’è differenza: le nostre preziose etnie finiranno comunque per essere comandata da estranei.
Ma, al di là della situazione italiana, le prospettive per le minoranze etno-linguistiche europee non sono buone. Al netto degli ostacoli più o meno efficaci posti dai poteri centrali, presenti da sempre, e delle risoluzioni UE per la loro salvaguardia, è la religione globalista che irradia da Bruxelles a minacciarne la sopravvivenza. Come avevamo pronosticato, l’infiltrazione woke e terzomondista nel Partito Nazionale Scozzese ha distrutto ogni prospettiva di autodeterminazione per la Scozia, e temiamo che lo stesso accadrà a parte del catalanismo. E non solo.
Nel complesso, però, è l’aver creato un immenso scontro tra civiltà sul suolo europeo – e la guerra interna che inevitabilmente scoppierà – a oscurare l’interesse per le minoranze, diventate ormai una questione… minore. Impegnati a conservare radici culturali, libertà e persino la vita contro l’avanzata dell’islamismo, gli europei hanno meno energie per salvaguardare qualche idioma minacciato. E chiaramente questo è uno degli scopi che si sono prefissi i creatori del presente caos: distruggere le radici, soprattutto quelle tenacissime, non conformiste, non integrate, delle piccole comunità.
Eppure proprio in questo periodo nero è stato pubblicato uno dei volumi divulgativi più completi sulle etnie del nostro continente: Popoli minoritari d’Europa: un tesoro antropologico. L’autore, Maurizio Karra, dovrebbe essere assai familiare ai nostri lettori per i suoi numerosi articoli di antropologia culturale ed etnografia.
Il testo di Karra contiene certamente un elenco di gruppi umani, a volte tanto remoti e minuscoli da riuscire del tutto nuovi a molti lettori, ma non manca il loro inquadramento nelle vicende storico-geopolitiche (basti pensare alle frantumazioni di Stati come la Iugoslavia o la Cecoslovacchia), così come non ignora le incongruenze di quella
non sempre chiara suddivisione territoriale, sociale, politica ed economica di quello spazio comune che comunque chiamiamo Europa; un’Europa, intesa come continente, a cui si sovrappone (o si contrappone), senza peraltro alcuna esatta corrispondenza, quell’Unione Europea che non è mai diventata una comunità sovranazionale di stati come i suoi padri (Schuman, Spinelli, Adenauer, ecc.) probabilmente avevano in mente e che appare addirittura incapace oggi di sviluppare un legame solidale fra i suoi popoli al di là delle unioni economiche e commerciali, come le recenti vicende collegate alla Brexit e alla gestione spesso isterica e scoordinata della pandemia da Coronavirus hanno ulteriormente dimostrato.
E a proposito della minaccia islamica, Karra la considera – almeno nella sua versione altomedievale – un catalizzatore positivo per la nostra civiltà in quanto la disgregazione dell’Europa
negli stati che si erano formati dopo la caduta di Roma sarebbe stata irreversibile se, a partire dall’VIII secolo non ci si fosse messa di mezzo la dirompente espansione araba che, partendo dal sud del Mediterraneo, penetrò profondamente in Spagna e in Sicilia: fu proprio la lotta contro il nemico islamico a rafforzare fra il IX e il XII secolo l’identità europea intorno all’idea di un continente che voleva riaffermare la sua storia come culla della cristianità e insieme come erede della civiltà romana; e fu proprio questa nascente identità europea a generare una nuova concezione sovranazionale con la rinascita del concetto di “impero romano”, una sorta di agglomerato di territori dell’Europa centrale e occidentale concretizzatasi dapprima con l’incoronazione nell’anno 800 di Carlo Magno, quindi con la nascita dell’impero germanico sotto Ottone I, anche se il primo a ufficializzare il termine “sacro” alla denominazione di impero romano fu nel 1157 Federico Barbarossa.
Si può confidare nel ripetersi del miracolo? Speriamo. Ma la situazione odierna è completamente diversa, del tutto inedita dal punto di vista storico: quelli di allora erano tentativi di invasioni armate tra due gruppi distinti e con volontà proprie; quella di oggi avviene da parte di un’orda senza doti belliche manovrati da criminali interni alla nostra civiltà, e sono questi i primi a dover essere neutralizzati.

Ma tornando alle singole etnie – trattate da Karra dai punti di vista archeologico, storico, linguistico, politico e culturale – esse sono state suddivise per macro-aree geografiche:
- popoli minoritari dell’area scandinava e baltica (faroesi, sami, careliani, livoni, casciubi)
- popoli minoritari dell’area centro-orientale e dei Carpazi (sorabi, slesiani, ruteni, palóc, gagauzi)
- popoli minoritari dell’area nord-occidentale e atlantica (frisoni, cornici, bretoni, baschi, galiziani)
- popoli minoritari dell’area alpina (patois, walser, ladini, tirolesi)
- popoli minoritari dell’area mediterranea (catalani, corsi, arbëreshë)
- popoli minoritari dell’area balcanica (gorani, arvaniti, arumeni, pomacchi)
- eredi dei popoli nomadi d’Europa (rom, sinti, gitani, gypsy, eccetera).
Sono le piccole perle che brillano sul diadema della nostra grande civiltà continentale. Un inno alla diversità, pur nelle comuni radici protostoriche, che ci conviene apprezzare e difendere per la nostra stessa sopravvivenza.












