Chi fa il nostro lavoro è destinato a ricevere quotidianamente un certo numero di comunicati stampa. Per fortuna al giorno d’oggi questi sono più o meno mirati ai contenuti delle testate giornalistiche, sicché le possibili centinaia di mail si riducono a qualche decina. Nel nostro caso, dunque, non si riferiscono tanto a prodotti materiali, quanto soprattutto ad avvenimenti, iniziative, spettacoli, libri, conferenze, prese di posizione varie.
Bene, ci credereste che la stragrande maggioranza di questa roba proviene da una sola parte politica (ma io direi meglio antropologica)? Tutta produzione “de sinistra” – intesa come quel colore che indossa il potere economico quando vuole manovrare le menti più tenere – o anche dichiaratamente globalista. In sostanza, la paccottiglia ispirata da un partito eterodiretto che verrebbe votato a malapena da un quinto degli aventi diritto, se per caso si votasse. Oppure le sortite di organizzazioni internazionali benefiche, tipo le ONG, come quelle di medici che invece di fare i medici ci spiegano che siamo delle puzzole perché non vogliamo sbarchi di tunisini che si fanno i selfie e fuggono solo da un wifi scadente; o di Amnesty che aspetta che gli israeliani reagiscano ai razzi per gridare al genocidio; o di Save the Children preoccupata per il destino di sedicenti minorenni africani che hanno vent’anni per gamba.
Abbiamo da qualche giorno le università piemontesi le quali, contemplando attentamente le trovate nazistoidi delle consorelle americane, ci comunicano di essere diventate gender free e accoglienti, qualunque cosa voglia dire. Per inciso, il dubbio che il cosiddetto gender, questa trovata da mentecatti, questa versione sculettante occidentale della ginecofobia islamica, sia l’ennesimo trucco maschile per fregare le donne manco li sfiora. Sfiora invece le femministe, che così si ritrovano senza lavoro o minacciate di morte (Kathleen Stock, Maya Forstater, la Rowling, e via così). Godibile l’opinione di Agostino Nobile sull’argomento: “Dopo il comunismo e il nazismo, col genderismo abbiamo l’ennesima prova che conferma un dato di fatto. Quando le organizzazioni mondiali, le multinazionali, i politici, giudici e giornalisti sposano le teorie di individui caratterialmente disturbati, la devastazione sociale è assicurata”. Importante l’aggiunta: “Se con le ideologie del Novecento il Vaticano fungeva come solido baluardo, la Chiesa attuale, oltre ad aver abbandonato i fedeli, è passata dall’altra parte delle barricata con un’arroganza inaudita”.
Bello, ma devo aprire una parentesi: parecchi comunicati di marca cattolica sono in controtendenza. Essi esecrano gli arcobaleni, deplorano il mondialismo sorosiano, sbeffeggiano i gay pride, deprecano le tirate vaticane sull’unico argomento che conti dopo 2000 anni di cristianesimo, cioè l’accoglienza in massa di falsi profughi possibilmente maomettani. Il fenomeno è istruttivo: evidentemente la base cattolica ne ha talmente piene le scatole di essere diventata una succursale di Davos travestita da centro sociale, da sfidare sempre più numerosa i diktat del dirigente argentino.
Continuando con i comunicati stampa, non mancano iniziative spettacolo dedicate all’“accoglienza” (sempre nel senso di falce e battello, mai di anziani bisognosi); partite di calcio “multiculturali” alla presenza di Mimmo Lucano (lo so, sembra uno scherzo); concerti folk dove la “contaminazione” della nostra tradizione proviene sempre… indovinate… dalla musica araba; libri e conferenze dove si analizza il sovranismo o il populismo come se fossero disturbi da DSM; inni allo ius soli; ONG che vogliono contributi per il carburante delle navi negriere…
Inarrestabili le segnalazioni dell’ufficio stampa di un viceministro all’Economia, Castelli, una ragioniera grillina delle cui opinioni non può fregare di meno, suppongo, a nessuno. L’ultima sua sulla defiscalizzazione del carburante: “Vediamo cosa dice l’Europa”… Cioè siamo nella merda. L’aspetto positivo è che la Boldrini e il suo ufficio stampa sono scomparsi dai radar.
Il Dottor Morte
E di Mauro Cappato ne vogliamo parlare? È un’inondazione di comunicati, iniziative, raccolte di firme da parte di questa organizzazione Coscioni che si occupa di eutanasia. Ora, io credo che esistano temi come l’aborto e, appunto, l’eutanasia davanti ai quali bisognerebbe osservare un rispettoso silenzio. Solo le persone coinvolte sanno quanto siano dolorosi. Mettersi lì a strepitare gli uni contro gli altri, stile novax contro entusiasti della siringa, è ridicolo e irriguardoso. Ci sono alcuni aspetti della vita, soprattutto della vita personale, di cui bisognerebbe parlare sottovoce, di cui bisognerebbe ammettere che non si ha un’opinione precisa. Che non si può e non si deve averne un’opinione precisa.
Ma quello che mi dà veramente fastidio è che ci sia della gente, loro e i loro comunicati stampa, che dedica la propria vita alla morte. A fin di bene? Senza dubbio. Ma non c’è qualcosa di malato in quelle teste? E ancora più fastidio, anzi orrore, mi suscita la prospettiva sempre più prossima di sottostare a una società dove sia così semplice spegnere una persona, magari per un malinteso o peggio perché conviene alla “collettività”. Non mi permetterei mai di giudicare (come invece han fatto tutti) Beppino Englaro per la sua scelta. Non so come mi sarei comportato al suo posto. Ma di sicuro io esigo la certezza assoluta che se entro in un ospedale sarà fatto tutto il possibile per curarmi (ebbene sì, anche con il famigerato “accanimento terapeutico”) e non mi troverò alla mercé di un medico radicale o di un giudice svitato.
D’altra parte questi che residuano dal vecchio partito pannelliano sono passati dalla difesa dei diritti elementari a una visione del mondo sempre meno umana, come l’aborto trattato con lo stesso accanimento dell’eutanasia, la libera circolazione delle droghe pesanti, la laicizzazione forzata e –
con la trasformazione del 1989 in partito transnazionale – il disconoscimento delle tradizioni e delle culture locali. Lo sposalizio con i poteri globalisti, soprattutto tramite la peggiore di loro, Emma Bonino, ne è stato l’inevitabile conseguenza.
E proprio mentre scrivo, ding, arriva l’ultima:
Nasce oggi a Varsavia “EUMANS”, di Marco Cappato. È un movimento di cittadini attivo attraverso gli strumenti di iniziativa popolare – come referendum, assemblee di cittadini estratti a sorte – su iniziative accomunate dalla difesa dello stato di diritto, della democrazia e quindi di libertà fondamentali come aborto, fine vita, cannabis, diritti sessuali…
“Per la fondazione abbiamo scelto Varsavia, epicentro europeo del sovranismo e del proibizionismo, agli antipodi di uno scenario veramente democratico”, dichiara Cappato…
Sarebbe così bello se a Varsavia lo caricassero su un aereo e lo spedissero a Pechino o a Cuba, tanto per provare la differenza.
Solidale con chi?
E a proposito di morti: arrivano regolarmente inviti al “lascito solidale”. In pratica, diversamente dalla tradizione, dovremmo indicare nel testamento una donazione a uno o più enti benefici. Passi se uno non ha eredi, ma se li ha il lascito intacca parzialmente o anche totalmente l’eredità a sfavore degli appartenenti a una famiglia. Ora, la famiglia è sempre stata la molecola base su cui poggia la sostanza di un gruppo umano, sia esso un’etnia o uno Stato. Per una sorta di bene collettivo (che comunque si è sempre tradotto in maggior forza e coesione del gruppo), si è scelto nei secoli di trasmettere intatto il patrimonio familiare, anche a costo di sacrifici e apparenti ingiustizie: parliamo per esempio del maso chiuso in Trentino e Tirolo, il quale lascia il fondo indiviso al primogenito; o della moralità vittoriana, bacchettona nel pubblico e libertina nel privato, che – come ha descritto mirabilmente John Fowles nella Donna del tenente francese – era più funzionale all’indissolubilità del matrimonio e all’integrità familiare (e quindi alla conservazione della casata) che a una sincero amore per la virtù.
Purtroppo, come molti sanno, i popoli d’Italia sono soggetti da decenni a espolizioni di vario genere: si va dalla razzia delle grandi aziende, allo smantellamento o al trasferimento delle medie, alla distruzione delle piccole, con miliardi che in piccoli rivoli finiscono in false rimesse a famiglie del terzo mondo o altrettanto falsi redditi di cittadinanza a gente dell’est europeo. Tutto ciò viene compiuto quasi alla luce del sole con la complicità interna di governanti globalisti, coadiuvati da capi partito insigniti di Legion d’Onore francese. Questa trovata del lascito solidale sa di un’ennesima forma, primo, di trasferimento all’estero e in altre tasche dei nostri soldi, secondo, di dissoluzione della struttura familiare, come da linee guida del grande reset. E se poi (senza fare nomi) andassimo a vedere quali organizzazioni aderiscono a questi comitati per il testamento solidale, scopriremmo che ce ne sono alcune meritevoli quando non meravigliose, altre dalle quali abbiamo la certezza che i nostri soldi finiranno all’estero e altre ancora che rischiano di farli finire nelle tasche sbagliate. Ma non prendete le mie parole per oro colato: probabilmente sono troppo sospettoso. È che troppi soldi che dovevano avere altri scopi si sono trasformati in razzi di Hamas.
Call for a temino sul razzismo
Uno dei comunicati più recenti è una vera chicca, troppo icastica per non raccontarla. Proviene da una rivista chiamata “Nazioni e Regioni” e si occupa, uno direbbe, degli stessi argomenti di cui ci occupiamo noi da 42 anni. Personalmente evito come la peste pubblicazioni e siti dove si parla di ciò che noi chiamiamo etnismo, a meno che non siano prodotti da minoranze, autonomisti o indipendentisti, cioè gente che il problema lo vive sulla propria pelle. Gli altri, soprattutto se hanno pretese accademiche, non fanno altro che sputare sul senso di appartenenza etnica e difendere i localismi soltanto se propugnati da forze progressiste (!), altrimenti diventano razzismi. Solita musica da decenni, anche se questi ogni volta pensano di essersi inventati l’argomento.
Tornando alla rivista in questione, i titoli degli studi pubblicati suonano tipo “Distruggere le parole, violare i corpi, eliminare i luoghi: memorie contese nella ex-Jugoslavia” e “Il nazionalismo sub-statale di fronte all’alterità: Identità mediate in Friuli” (chiarissimo) oppure “Il doppio passaporto per i Sudtirolesi. Per la maggioranza della popolazione un’idea non troppo buona” (quando mai i sudtirolesi vorrebbero un passaporto austriaco?), ma soprattutto non poteva mancare “Come inventare una nazione: lezioni dal caso padano”. Perché è qui che arrivano tutti: la “sedicente Padania” di quarantennale memoria, tanto sedicente da aver terrorizzato per anni i politicanti di Roma e i meridionali che tenevano famiglia. Lo spauracchio delle destre tricolori e delle sinistre borboniche. La palestra sociologica dei piccoli studiosi stipendiati dallo Stato centrale.
Nel comunicato in questione, tuttavia, il pensatoio si spinge a diramare una call for papers per un numero monografico intitolato In difesa della patria. Nazione, identità e destra radicale populista. Traduzione: inviateci degli scritti (che saranno sottoposti a una procedura di “double-blind peer review”, uau) con i quali confezioneremo un numero contro la Lega Nord e a favore del PD.
Negli ultimi anni la destra radicale ha registrato ampio successo in tutta Europa e più in generale nel mondo occidentale, tanto da far parlare di una “quarta ondata” della destra radicale populista (Wondreys e Mudde 2022). I partiti che fanno parte di questa famiglia condividono un nucleo ideologico fondato su populismo, autoritarismo e nativismo. Quest’ultimo è inteso come un mix di nazionalismo e xenofobia e postula che gli Stati dovrebbero essere abitati esclusivamente dai nativi (“la nazione”), e protetti dagli elementi stranieri, persone o idee, in quanto minaccia per l’omogeneità dello stato-nazione (Mudde 2015).
In altri termini, sulla base di una forma di nazionalismo etnico, tali partiti costruiscono uno scenario sinistro dove la terra natìa (homeland) richiede protezione dagli invasori e dalle minacce esterne (Wodak 2019).
Qui, in tre righe la press release è riuscita a snocciolare tutto l’armamentario radical chic – populismo, nativismo, nazionalismo, xenofobia, più l’autoritarismo che non vuol dire un bel niente – senza rendersi conto che stanno ripetendo a pappagallo gli slogan della sinistra (quella sì) radicale. Non mi interessano né lei né il suo tricolore, ma ogni qual volta la Giorgia Meloni viene accusata (e se per quello anche la Lega, la Le Pen, Geert Wilders e tanti altri) di odiare gli stranieri e di volere solo concittadini nativi, la replica è immancabilmente: ditemi dove e quando l’ho detto. Mudde 2015, lo spieghi anche a noi quando l’hanno detto?
È in particolare nell’ultimo decennio, caratterizzato dalla crisi economica e dalla cosiddetta crisi migratoria, che il discorso nazionalista declinato dalle forze di destra sembra essere riuscito a dominare o quantomeno a condizionare il dibattito politico e pubblico di molte democrazie europee e occidentali (Hutter e Kriesi 2022), trovando poi fertile terreno tra alcune fasce della popolazione (Rydgren 2018).
Ma davvero? I fini osservatori Hutter e Kriesi 2022 hanno acutamente notato come il nazionalismo di destra stia “dominando” Paesi dove tutto l’establishment – dai poteri supremi alla magistratura, dai giornali alle televisioni, dalle università ai potentati economici – è saldamente in mano alla sinistra cattocomunista e globalista, e appena sfugge una voce dissonante questa viene censurata da tutti i social. Hutter e Kriesi 2022, e anche tu Rydgren 2018, dove diavolo l’avete sentito il dibattito politico “condizionato”? In tram? Sì, forse il tram è l’unico posto dove “alcune fasce della popolazione”, facciamo il 70-80%, hanno ancora la possibilità di maledire quegli eserciti di gentiluomini che stanno mettendo a ferro e fuoco i loro quartieri (a causa della “cosiddetta crisi migratoria”, proprio quella lì).
Di fronte allo shock esterno costituito dalla pandemia generata dalla diffusione del virus Covid-19, le tentazioni nazionalistiche volte all’intensificazione della protezione dei confini statali sembrano essersi ulteriormente vivacizzate (Tamir 2020).
Partendo da queste premesse l’obiettivo del numero monografico di Nazioni e Regioni è quello di riflettere sulla costruzione della nazione da parte della destra radicale ed estrema. Quali sono i processi, i simboli, i miti e i fondamenti culturali utilizzati dalla destra radicale ed estrema, partitica e non, per costruire la nazione? Come il nazionalismo si interseca con posizioni sovraniste, tradizionaliste, revisioniste e anti-femministe? Come la destra radicale adatta il discorso nazionalista alle strutture di opportunità degli stati multinazionali e federali? Che ruolo ha il nazionalismo di destra nelle rivendicazioni sub-statali?
Immagino la domanda del lettore: ma di che diavolo stanno parlando? Covid? Tamir 2020? Simboli? E l’antifemminismo!? Con sub-statali intendono le minoranze etniche e regionali? E che diavolo c’entrano le rivendicazioni autonomistiche con il nazionalismo di destra come se fosse antani?
Dài, chiudiamola lì, ci siamo fatti quattro risate; ma la cosa meno divertente è che gente che pretende di fare analisi “scientifiche” mostri di non aver capito un bel niente di quanto sta succedendo nel mondo. Siamo al livello di bar sport, con i buoni da una parte e i cattivoni razzisti dall’altra.
Di positivo c’è che se volete cimentarvi nello scrivere il temino per N&R trovate già tutto il canovaccio bell’e pronto (allegano persino la bibliografia!) e non c’è neppure bisogno di avere un’opinione sull’argomento ché ci han già pensato loro.
Uno tsunami multimiliardario
Potremmo proseguire ancora parecchio, ma è giunto il momento di trarre le conclusioni. Non tanto quelle ovvie, che cioè viviamo ormai sotto il tallone del Fascismo 2.0, ma che forse non ci siamo ben resi conto di quanti soldi maneggi questa fetta di umanità. Di quanti soldi (in parte nostri) vengano messi a disposizione di chiunque si inventi una qualsiasi manifestazione in aderenza al pensiero unico. Chi ha provato a organizzare qualcosa di serio, di culturale senza la kappa, di estetico, lo sa: non si trova un centesimo e bisogna farsi un mazzo così, spesso lottando contro i mulini a vento. Ovvio, allora, che convenga proporre un corso di tennis per maghrebini o mettere su un sito antibufale per ottenere subito i fondi. Guardate quante onlus per immigrati esistono e chiedetevi a quanti dei loro animatori freghi qualcosa di costoro.
Ad appassionarsi a queste tematiche è soltanto un 30% della popolazione (appassionarsi, si fa per dire: semmai scimmiottare la moda e il bon ton dei salottini radical chic), ma tutti i finanziamenti convergono in quella direzione. Colpa della maggioranza? Colpe enormi, ammettiamolo: siamo un branco di polli. Ma non tali da giustificare una sproporzione simile nella distribuzione delle risorse.
Per ottenere risultati di tal fatta l’iperattivismo e la coazione di quel 30% di “utili eccetera” non sono sufficienti, bisogna che ci sia alle spalle un potere economico immenso, internazionale, in grado di foraggiare una serie di centrali più localizzate che poi, a loro volta, ridistribuiscano i finanziamenti ai “piccoli”.
Comunque, quali siano questi centri di potere – che non si nascondono affatto, rendendo totalmente idiote le solite accuse di complottismo – lo sanno ormai tutti, tranne quelli che guardano la televisione e leggono i giornali.