Sciolto il PKK, la Turchia non allenta la pressione

Con la partecipazione di 232 delegati, tra il 5 e il 7 maggio nelle Zone di Difesa di Medya (Kurdistan del Sud, Nord dell’Iraq) si era svolto XII Congresso del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, prendendo all’unanimità la storica decisione di porre fine alle attività del pkk (così come richiedeva da Imrali il leader curdo e prigioniero politico Abdullah Ocalan).
Ma nonostante l’auto-dissoluzione del movimento di guerriglia, pare che qualcosa non abbia funzionato: chi si aspettava almeno il minimo sindacale da parte di Ankara – un cessate il fuoco dell’esercito turco nel Bashur, il Kurdistan del Sud all’interno dei confini iracheni – dovrà farsene una ragione.
Sembrano infatti arenarsi momentaneamente le speranze di ottenere dai partiti turchi (conservatori islamici di Adalet ve Kalkınma Partisi e kemalisti di Cumhuriyet Halk Partisi, che quando si tratta dei curdi mantengono posizioni sostanzialmente coincidenti) l’apertura di colloqui per una autentica soluzione politica del conflitto. Concedendo congrui spazi legalmente riconosciuti per sviluppare il programma del movimento di liberazione. Niente da fare. La Turchia al contrario inasprisce sia la repressione interna sia gli attacchi contro le posizioni mantenute dagli ormai ex combattenti curdi, le Hêzên Parastina Gel, braccio militare del pkk) nel Kurdistan “iracheno”.
Qui tra il 29 maggio e il 4 giugno si sono registrati centinaia di bombardamenti aerei e terrestri. Colpiti anche i tunnel con l’utilizzo di macchine perforatrici e bulldozer blindati, oltre che con gli esplosivi. Tutto questo mentre le hpg rispettavano il cessate-il-fuoco come richiesto da Ocalan, pur mantendo il diritto all’autodifesa. In questi giorni infatti le hpg hanno colpito un veicolo attrezzato con sistemi radar, alcuni accampamenti militari e abbattuto un drone turco.
Stessa musica in Siria. L’11 giugno le bande mercenarie affiliate alla Turchia (si parla dei gruppi “Al-Hamzat” e “Amshat”), hanno rapito lungo la strada M4 tre persone originarie di villaggi intorno ad Afrin che da Qamishlo si dirigevano verso Şêxmeqsûd e Eşrefiyê (quartieri di Aleppo). Si tratta di Ebdulhenan Mistefa, Ekrem Mihemed Elo e Ebduselam Ehmed El Xelîl.
Contemporaneamente i servizi di sicurezza del regime di Damasco sequestravano un giovane curdo ordinario del villaggio di Ali Bakko (zona rurale di Afrin) al posto di controllo di El Shetnei, nei pressi di Azaz.
Entrambe le vicende sono in aperta violazione degli articoli 3 e 8 dell’accordo tra l’assemblea generale dei quartieri Şêxmeqsûd-Eşrefiyê di Alep e il governo di Damasco.
Inoltre, soprattutto nel cantone di Afrin, sotto occupazione turca dal 2018, proseguono le aggressioni e i furti ai danni della popolazione civile. Tra gli ultimi episodi, il 10 giugno nel villaggio di Bibaka una coppia d’anziani, Faiq Habash e Amina Issa, veniva picchiata e rapinata in casa da un gruppo di mercenari filo-turchi.
Qualche giorno fa,  il 9 giugno, L’osservatorio siriano dei diritti umani (sohr) denunciava che nelle zone poste sotto il controllo dell’esercito nazionale siriano sono aumentati sia il caos amministrativo sia le violazioni dei diritti dei cittadini, In quanto le varie, numerose fazioni presenti nella regione operano con “arresti indiscriminati e violazioni dei diritti umani”. Oltre alle scontate corruzione e illegalità diffuse.