“Mi dispiace, ma io sono e resterò curdo, dovessi restare in carcere mille anni”. Così dichiarava il 17 luglio scorso l’ex co-presidente di HDP (Partito Democratico dei Popoli) e deputato Selahattin Demirtas – in videoconferenza dalla sua cella nel carcere di massima sicurezza di Edirne – ai giudici che lo processavano dall’interno di un altro complesso carcerario, quello di Sincan (Ankara).
Avvocato, Demirtas è in galera dal 4 novembre 2016. La sua “colpa” è quella di aver lottato per i diritti del popolo curdo oppresso dal regime di Erdogan. Accusato, tra l’altro, di aver usato in un suo discorso il termine proibito “Kurdistan” e di propaganda a favore del PKK, rischia una condanna a 142 anni di carcere.
“L’esistenza del Kurdistan”, ha spiegato ai giudici turchi, “è un fatto storico e geografico che le sentenze di un tribunale non possono modificare. È la zona in cui vivono in prevalenza curdi ed è la mia madrepatria”.
Ma, anche se costretto in una cella di 12 metri quadri, l’esponente politico curdo non si abbatte. Dipinge e scrive, soprattutto novelle e racconti. Come L’Aurore, pubblicato da éditions Emmanuelle Collas Galaade nel 2018 (premio Montluc Résistance e liberté e premio Lorientales 2019), una raccolta di piccole storie, sia turche sia curde, dedicate alle donne assassinate e vittime della violenza.
Ora, chi aveva avuto la possibilità di leggerlo e apprezzarlo non rimarrà deluso dall’ultima prova letteraria di Demirtas: Et tournera la roue arriverà nelle librerie francesi (o in quelle online) ai primi di settembre.