La notizia è ufficiale. Da parte turca si registra addirittura la presenza del capo del MIT, Hakan Fidan. Con il suo omologo siriano avrebbe discusso, oltre alle modalità del cessate il fuoco a Idlib, di un possibile coordinamento delle attività anticurde nel nord della Siria.
Stando a quanto viene riportato dall’agenzia di stampa SANA, un responsabile turco coperto dall’anonimato avrebbe dichiarato che le discussioni comprendevano anche “la possibilità di lavorare insieme contro le YPG, la componente siriana dell’organizzazione terrorista [sic] PKK a est dell’Eufrate”.
La medesima agenzia ha anche riportato che il capo dei servizi siriani ha chiesto alla Turchia di riconoscere pienamente la sovranità della Siria, la sua indipendenza e integrità nazionale, e di impegnarsi in un ritiro immediato e completo dal territorio siriano. Ovviamente – questo l’agenzia non l’ha detto, ma si intuisce – dopo averlo bonificato dalla fastidiosa presenza curda.
Quindi possiamo affermare che alla fine la maschera è proprio caduta. Chi blaterava (rosso-bruni e neostalinisti) di inesistenti “pulizie etniche” operate dai curdi nel nord della Siria e fantasticava sull’altrettanto inesistente “antimperialismo” di Assad, potrà ritenersi soddisfatto. Definitivamente fuori gioco l’esperienza libertaria di Rojava, gli Stati con i loro apparati repressivi potranno riprendere il controllo della situazione.
L’ordine regna in Rojava!
Appare infatti evidente che con questo incontro tra i massimi vertici dei rispettivi servizi segreti, Ankara e Damasco potranno accordarsi per dare definitiva sepoltura ai sogni di autodeterminazione e autogoverno delle popolazioni insorte della regione. Non solamente dei curdi.
Come in precedenti incontri tra esponenti turchi e i loro corrispettivi iraniani si era compreso che almeno su una cosa i due Stati erano profondamente d’accordo – ossia su come controllare e reprimere le rispettive popolazioni curde – così oggi Damasco e Ankara, per quanto divisi su tutto o quasi, troveranno comunque un accordo ai danni dei curdi dei territori siriani ora occupati dalla Turchia. E questo nonostante Erdogan avesse appoggiato e supportato le milizie ribelli – islamisti compresi – che avevano preso le armi contro il regime siriano per rovesciarlo. Sorvolando poi sul fatto che il presidente turco in varie occasioni aveva definito Assad un “terrorista”.
Cose che si dicono… e da che pulpito, comunque.
Ovviamente, dietro tali incontri d’alto livello tra servizi segreti turchi e siriani si intravede la manina di Mosca (e magari anche di Teheran) il cui ruolo nel conflitto siriano è stato determinante. L’anno scorso Ankara e Mosca avevano sottoscritto l’accordo di Sotchi in base al quale le forze congiunte siriane e russe si sarebbero dispiegate nel nord-est del Paese per obbligare le YPG a ritirarsi dalla frontiera con la Turchia.
Il fatto di essersi trovati schierati su fronti opposti nella guerra civile siriana (così come attualmente in Libia) non ha impedito a russi e turchi di riavvicinarsi, rinnovare progetti congiunti in campo energetico e militare (vedi l’acquisto di sistemi russi di difesa aerea da parte della Turchia, alla faccia della NATO e degli USA).
Ugualmente grazie a Mosca, si erano ristabiliti solidi legami anche tra Iran e Turchia, perlomeno sulla questione curda. Entrambi i Paesi erano preoccupati per il sorgere di un’entità autonoma curda in Rojava in quanto possibile esempio e modello per tutti i curdi.