Il 22 aprile 2014 un funzionario di Himalayan Rescue Association annunciava che le scalate sull’Everest sarebbero state sospese dal versante nepalese per il resto dell’anno. Si voleva così onorare le 16 vittime (a cui andavano aggiunti 8 feriti gravi) travolte dalla valanga qualche giorno prima, il 18 aprile. Tutti sherpa, in quel momento impegnati a montare le corde fisse per facilitare l’ascensione degli alpinisti. O meglio: turisti con velleità alpinistiche, previsti a centinaia per il mese di maggio (l’anno precedente erano stati 1200).
Non mi è dato sapere se poi l’impegno sia stato veramente mantenuto. Presumo, mi auguro di sì.
Quello che all’epoca Messner definì “incidente sul lavoro e non incidente alpinistico” costituiva per gli sherpa la più grave sciagura mai registrata nel corso di operazioni alpinistiche.
Sicuramente, a cinque anni di distanza, l’anniversario sarà stato ricordato da quanti, alpinisti di professione o appassionati, celebrano regolarmente sui loro blog la memoria dei colleghi caduti nel corso di qualche impresa sul cosiddetto Tetto del Mondo. E altrettanto sicuramente si saranno interrogati sull’eticità o meno di continuare ad alimentare un’attività sostanzialmente più turistica che alpinistica (anche se appare difficoltoso stabilire il confine, sempre che esista). Una giostra frenetica di ascensioni con relativo impatto ambientale e giro di affari per gli operatori turistici.
Lo avranno fatto di sicuro. Si saranno interrogati sulla questione se tutto ciò sia moralmente giustificabile. Anche se sul momento deve essermi sfuggito.
Stando ai resoconti di allora, la valanga (comunque una “tragedia annunciata”, prima o poi doveva capitare) era composta da grossi blocchi di ghiaccio e si sarebbe staccata dalla parete ovest investendo un’area tra il campo base e il campo uno.
Analoga tragedia in ottobre, sempre nel 2014, in due distretti intorno all’Annapurna. Una ventina le vittime (contando i dispersi) nel primo caso, una decina nell’altro. E ancora in maggioranza sherpa.
Per Reinhold Messner, le persone uccise dalla valanga erano “lavoratori stradali che preparano le piste per gli operatori turistici”. Padri di famiglia costretti ad assumersi gran parte dei rischi. Intendo gli sherpa, non gli operatori o i turisti-alpinisti. Quelli rischiano piuttosto una overdose di Desamethasone.