Anche l’Eire – unico stato sovrano tra i paesi celti – rischia di tornare a essere un feudo culturale britannico. La lotta della Lega Gaelica. Numerose analogie con la situazione delle nostre minoranze
Cristina Cona
Più di ottant’anni fa, nel 1893, le esigenze della lotta per la rinascita culturale e politica dell’Irlanda, e soprattutto per la difesa e promozione della lingua, portarono alla fondazione di Conradh na Gaeilge (Lega Gaelica). Questa lotta è ancor oggi di attualità e, come allora, prioritario è lo sforzo di difendere la parlata irlandese che, nonostante sia la lingua ufficiale della Repubblica, sta subendo un processo di profonda erosione a favore dell’inglese, ormai usato quotidianamente dalla gran maggioranza della popolazione.
E’ ovvio – oggi come nel 1893 – che lottare per l’irlandese non è un’operazione archeologica o un atto puramente linguistico, ma innanzitutto una scelta politica: significa in primo luogo riaffermare la propria identità culturale nazionale, rifiutare la subordinazione alla Gran Bretagna, dire “no” al servilismo nei confronti del paternalismo razzista inglese; significa, insomma, non vergognarsi di essere irlandesi. Ciò del resto è sempre stato compreso tanto dagli oppressori quanto dagli oppressi, nel lungo corso della storia d’Irlanda: è opportuno quindi soffermarsi un momento ad esaminare il processo storico che ha portato alla situazione di declino attuale.
L’irlandese possiede un ricchissimo patrimonio di tradizioni culturali e letterarie: fu la prima lingua europea a produrre un corpus di letteratura nazionale dopo la caduta dell’impero romano, e fino ad oggi ha continuato a dar vita ad autori e opere di notevole valore. Gli inglesi considerano sin dall’inizio l’uso di questa lingua come un ostacolo ai loro sforzi di conquista, tanto che già all’epoca dei primi stanziamenti sul territorio irlandese veniva proibito ai colonizzatori provenienti dall’Inghilterra di parlare irlandese e di adottare le usanze della popolazione locale. Ma fino all’Ottocento non vennero adottate misure davvero sistematiche per estirpare la lingua irlandese, benché essa venisse sempre considerata la lingua della ribellione e della lotta contro il dominio straniero. All’inizio dell’Ottocento, su una popolazione di circa cinque milioni e mezzo di abitanti, solo un milione e mezzo parlava correntemente l’inglese (questo gruppo era concentrato nella zona di Dublino e dell’Ulster nordorientale); la situazione era praticamente capovolta nel 1870, anno in cui a parlare irlandese erano rimasti in 750.000.
Imperialismo
Le cause di questo mutamento così drastico sono molteplici: è innegabile l’influenza della grande carestia che colpì soprattutto le aree occidentali e fra il 1845 e il 1848 uccise o condannò all’emigrazione quasi tre milioni di irlandesi; è anche vero che l’aprirsi di intere zone a commerci regolari che facevano capo a Dublino favorì la penetrazione dell’inglese in aree irlandesi fino a quel momento linguisticamente compatte. Ma accanto a questi fattori “oggettivi” esiste, ed è anzi determinante, la precisa volontà politica da parte dell’imperialismo di annientare uno strumento di coscienza nazionale importante come la lingua. Fu così che iniziò una campagna volta a cambiare radicalmente le abitudini linguistiche degli irlandesi: nell’Ottocento vennero introdotte le National Schools, dove si parlava e si insegnava soltanto l’inglese; i tribunali e l’amministrazione civile operavano anch’essi solo in inglese; i riti ecclesiastici si svolgevano in inglese o in latino; e le persone influenti nei villaggi, i commercianti in primo luogo, adoperavano l’inglese. Tutto ciò contribuì ad infondere nella mente degli irlandesi l’idea che la loro lingua fosse una lingua di serie B, inutile e anzi dannosa per chi voleva farsi strada nella vita, una lingua da contadini morti di fame, di cui vergognarsi perché la gente colta la derideva o comunque non la usava. A rafforzare questo senso d’inferiorità contribuirono poi, oltre agli inglesi e alla chiesa cattolica, anche i leaders nazionalisti borghesi dell’Ottocento, che contribuirono non poco alla perdita di prestigio culturale subita dalla lingua.
Se questa politica cominciò a prendere piede nei primi decenni dell’Ottocento, essa ricevette però nuovo impulso e vigore dalla grande carestia, che creò le premesse più favorevoli – vuoto culturale, distruzione fisica e psicologica della popolazione di lingua irlandese, ansia disperata di evitare ad ogni costo la povertà – perché il terrorismo culturale esercitato dall’imperialismo avesse successo, imponendo ad un popolo traumatizzato e sfinito la propria lingua ed integrandolo nel modo di vivere britannico.
La necessità di cambiare questo stato di cose, di far sì che il popolo irlandese tornasse ad appropriarsi coscientemente e con orgoglio della sua lingua, fu chiaramente avvertita dal movimento culturale antimperialista della fine dell’Ottocento: fu così che nacque Conradh na Gaeilge, fra i cui esponenti figurano non a caso dirigenti dell’insurrezione repubblicana della Pasqua 1916. Il più grande rivoluzionario irlandese, il socialista James Connolly, pur non impegnandosi direttamente nel movimento per la rinascita della lingua, ne vide con grande simpatia le attività e scrisse: “Le nazioni che si sottomettono alla conquista o le razze che abbandonano la loro lingua in favore di quella di un oppressore lo fanno non per motivi altruistici o per amore della fratellanza umana, ma per uno spirito servile e strisciante. Uno spirito che non può esistere a fianco dell’idea rivoluzionaria”.
Una volta ottenuta l’indipendenza politica per lo Stato libero d’Irlanda (1922), sembrò che organizzazioni come Conradh na Gaeilge non avessero ormai ragione di esistere poiché il governo decretò l’insegnamento obbligatorio della lingua nazionale in tutte le scuole, a cominciare dalle elementari, e rese indispensabile la sua conoscenza per chiunque entrasse a far parte dell’apparato statale. In realtà, il fatto che la liberazione fosse solo parziale e che la Gran Bretagna conservasse una forte influenza economica, politica e culturale sull’Irlanda si fece sentire anche per quanto riguardava l’uso della lingua.
Le colpe del governo
Oggi infatti la situazione si presenta addirittura peggiorata rispetto ad un secolo fa: nel Gaeltacht, l’insieme delle aree di lingua irlandese, vivono solo 70.000 persone circa, mentre nel resto d’Irlanda si trovano sparpagliate in tutto il territorio famiglie che usano quotidianamente la lingua. Ed è proprio nel Gaeltacht che il calo appare più drammatico e pone i problemi più seri: queste zone infatti, situate quasi tutte sulla costa occidentale, sono molto povere, e le attività tradizionali – pesca, agricoltura, in parte artigianato – non riescono a garantire un lavoro a tutti. Entrano così in scena i due fattori attualmente di maggior peso nel declino della lingua: l’emigrazione e il turismo, la prima privando il Gaeltacht dei suoi giovani che se ne vanno in Inghilterra, il secondo contribuendo massicciamente alla perdita di prestigio sofferta dall’irlandese e creando uno stato di insicurezza psicologica e culturale. Queste aree, che il governo sembra considerare più che altro come “riserve indiane” in cui proporre una visione turistica e di comodo dell’Irlanda, hanno visto recentemente l’installazione di fabbriche soprattutto di prodotti tessili da parte di una compagnia statale (Gaeltarra Eireann). L’intenzione dichiarata era di creare posti di lavoro e contribuire cosi a salvare la lingua irlandese; in realtà, i criteri con i quali si è portata avanti l’operazione fanno giudicare a molti il progetto come non solo inutile, ma dannoso: ad esempio, in numerosi casi le compagnie insediatesi nel Gaeltacht perché attratte dagli incentivi e sgravi fiscali non hanno fatto altro che trasportare impianti e manodopera da zone di lingua inglese, non solo quindi non creando lavoro, ma anzi contribuendo all’anglicizzazione di molte località.
L’importanza del Gaeltacht e della sua salvaguardia non risiede tanto nel numero di parlanti che esso nel suo insieme possiede, ma nel fatto che solo qui si trovano comunità linguisticamente omogenee. Ed è proprio in queste zone che si accumulano, portando con la loro interazione ad un massimo di effetti nocivi, tutti quei fattori che hanno eroso negli anni quel po’ di prestigio di cui la lingua ancora poteva godere presso i parlanti: oltre all’emigrazione ed al turismo, quello spiccatissimo senso d’inferiorità nei confronti dell’inglese che non solo nel Gaeltacht ma in tutta l’Irlanda fa sì che la gente si vergogni di parlare irlandese, e che rende così evidente ad ogni osservatore il carattere politico, di riconquista della propria identità nazionale e culturale, alla base del problema della lingua. Questo aspetto politico di fondo ci riporta al motivo reale del fallimento di tutti gli sforzi, o presunti tali, da parte governativa per diffondere l’uso dell’irlandese: dare forza e prestigio alla lingua non è un’operazione che si fa nel vuoto, ma è contestuale alla rinnovata presa di coscienza antimperialista, alla lotta per la liberazione nazionale e alla riaffermazione dei propri diritti di popolo oppresso. Tutte cose che il governo si è sempre ben guardato dal fare, legato com’è politicamente e in campo economico alla Gran Bretagna. Di qui il cattivo insegnamento dell’irlandese nelle scuole, la difficoltà per i parlanti di comunicare in irlandese con tutte le istanze dell’apparato statale, il progressivo restringimento degli spazi d’uso della lingua, ormai meno che formalmente la prima dello stato. L’estrema contraddittorietà di questa situazione, in cui la prima lingua ufficiale è di fatto boicottata dallo stato, in cui la maggioranza della gente si dichiara in teoria favorevole ad una sua diffusione ma di fatto non la parla, rende molto più difficile impostare una lotta che non resti patrimonio di un’élite di quanto non lo sia, ad esempio, nel Galles, in cui i movimenti per la lingua hanno alle spalle un autentico retroterra di massa. Conradh na Gaeilge ha compiuto un necessario passo in avanti quando già anni fa ha riconosciuto il legame fra libertà linguistica, culturale, politica ed economica del popolo irlandese. Le spetta ora il compito di individuare e praticare le azioni più creative ed efficaci per interessare alla ripresa della lingua un numero sempre maggiore di irlandesi.