La questione di cui parliamo è molto semplice: una deliberata “sostituzione dell’identità etno-culturale” attuata nei confronti dei popoli unificati dai Savoia nello Stato italiano. Popoli privati della conoscenza dei loro veri “padri” per la nota necessità, dichiarata fin dal 1861 all’indomani dell’unificazione sabauda, peraltro ancora parziale, di “fare gli italiani”. Una operazione ante litteram di “cancel culture”. Non riconoscere le differenze etniche e quindi politiche delle varie “nazioni” per impedire la realizzazione di uno Stato federale e giustificare l’accentramento del potere nelle sole mani della monarchia sabauda.
Il fascismo ha poi portato alle estreme conseguenze la sostituzione fornendo simboli, miti e monumenti riferiti quasi esclusivamente al mondo degli antichi romani.
Oltre quindici secoli di storia ridotti a qualche aneddoto e a banale folklore locale.
Un mito inseguito per secoli da rancorosi poeti e letterati dediti alla vana ricerca della mai esistita patria perduta. Infatti, l’Italia era divisa anche al tempo degli antichi romani.
È stata poi costruita una “letteratura italiana” omettendo tutto quello che non rientrava nell’idealizzato canone “toscano”; tutto il resto considerato quasi con disprezzo “dialetto e “vernacolo”, indegno di un serio studio scolastico.
Questa immaginaria identità italiana ha provocato un distacco e un senso di non appartenenza al territorio e di mancanza di rispetto per i simboli storici del suo antico passato: castelli, ville, dimore antiche, monumenti, visti spesso come lontani ed estranei o come un vero impedimento.
L’identità culturale non è una ideologia: è l’eredità del passato che si riflette nel profondo della coscienza attuale di un popolo. Resta da capire per quanto tempo le genti padane, come ad esempio i veneti, continueranno a sentire una inconscia affinità con le proprie radici senza averne avuto una chiara conoscenza soprattutto a livello scolastico. Una schizofrenia identitaria. 
Le ultime elezioni europee, nelle regioni del Nord, hanno decisamente confermato il consenso per la destra dei Fratelli d’Italia (in Veneto, 37%!), poiché, probabilmente, si presenta come l’unica espressione politica “identitaria” che gli elettori votanti conoscono e che, soprattutto, hanno a disposizione.
Al Sud si attestano, pur a fronte di un massiccio astensionismo, forze politiche che invece si battono per il mantenimento dello status quo sociale intravedendo nella cosiddetta “autonomia differenziata”, ben lontana peraltro da un vero federalismo, addirittura “una minaccia per l’unità d’Italia”.      
Il vero errore del leghismo attuale, dal mio punto di vista, è stato quello di sostituire le insegne politiche padane con una propaganda nazionale che definirei “Tutta Italia, isole comprese”, come recitava un noto slogan degli anni ‘80. I Fratelli d’Italia, detentori del “brand” originale, alla fine hanno letteralmente fagocitato il consenso leghista formato nazionale.
Per realizzare obiettivi strategici come quelli dell’autonomia e del vero federalismo occorrono molti anni e, senza alcun dubbio, le condizioni determinate da un momento storico favorevole. Mentre in Europa si profilano con evidenza cambiamenti politici e geopolitici, seppur con esito incerto, collegati soprattutto alle sorti della guerra in Ucraina.
Un’altra occasione perduta per il Nord?