Una volta c’era il GAL, ma prima ancora il BVE, la tripla A (con un evidente richiamo a quella argentina), l’ATE (fantasiosamente, l’acronimo di Euskadi Ta Askatasuna a rovescio). Gli squadroni della morte spagnoli, costituiti da elementi della mala marsigliese, neofascisti italici e portoghesi, integrati da guardie civili fuori servizio, agirono soprattutto negli anni della transizione – pilotata – alla democrazia. Colpendo in particolare i rifugiati baschi (in Ipar Euskal Herria, la parte nord del Paese Basco, in territorio francese). Le speranze sbocciate con la morte del caudillo (20 novembre 1975) vennero stroncate da subito. In questo senso il 1976 per i baschi fu un anno decisivo: rapimento e scomparsa di Pertur (a cui secondo alcuni storici potrebbe aver preso parte Concutelli), l’assalto squadrista a Jurramendi (dove vennero fotografati, tra gli altri, Delle Chiaie e Cauchi), i lavoratori baschi assassinati durante una manifestazione a Gasteiz, il fallimento dell’evasione di numerosi prigionieri politici baschi (insieme al catalano Oriol Solé del MIL, poi ucciso dalla GC)…
Abbastanza per far capire a quelle teste dure dei baschi, con i loro sogni di indipendenza, che se anche qualcosa stava cambiando, non cambiava la sostanza. Concetto ribadito nel 1981 con il colpetto di stato ufficialmente “fallito”, ma non per Euskal Herria dove fu propedeutico all’inasprirsi della repressione.
Da sottolineare come oltre ai militanti della sinistra abertzale (non solo quelli di ETA) venissero colpiti dissidenti di altro genere (per dirne una: in un attentato venne ucciso anche un giovane basco renitente alla leva).
Ugualmente negli anni dell’apartheid i governanti di Pretoria non esitarono ad assassinare rappresentanti dell’African National Congress e altri oppositori che si trovavano all’estero. Basti pensare a Ruth First e a Dulcie Septembre (uccise rispettivamente a Maputo nel 1982 e a Parigi nel 1988).
Liste di proscrizione
Una lezione che Ankara sembra aver ben appreso. Come aveva già dimostrato con il triplice assassinio di tre femministe curde in Rue la Lafayette nel 2013. E da allora l’impegno turco è andato intensificandosi.
Recentemente un esponente politico curdo, Hasip Kaplan, aveva reso noto che il suo nome era inserito in una delle liste in possesso delle squadre della morte turche. Ora finalmente anche il governo tedesco ha dato conferma ufficiale di quanto era comunque già noto, ossia l’esistenza di “liste di esecuzione” con nomi di dissidenti, sia curdi sia turchi, residenti all’estero.
“Esistono attualmente delle indicazioni di varie liste con i nomi di persone ritenute critiche nei confronti del governo turco”. Così Helmut Teichmann, segretario di Stato presso il ministero dell’Interno, ha risposto all’interrogazione di Helim Evrim Sommer, esponente del partito di sinistra Die Linke. Aggiungendo che da parte del governo tedesco “le indagini proseguono”. Una conferma di quanto aveva già dichiarato la polizia tedesca mettendo in guardia alcuni oppositori di Erdogan che vivono in Germania.
Come già scritto in precedenza, solo in una delle liste (di sicuro non è l’unica in circolazione tra i nazionalisti turchi) ci sarebbero ben 55 nomi di oppositori. Tra quelli ormai di pubblico dominio, il giornalista Celal Baslangic, informato di essere in pericolo direttamente dalla polizia giudiziaria. Così come il musicista curdo Ferhat Tunc che vive a Darmstadt e l’ex deputato curdo di HDP in esilio, Hasip Kaplan.
Continua intanto lo stillicidio delle aggressioni mirate, dalla Germania al Galles, alla Francia. Non più di venti giorni fa il rifugiato Erk Acarer veniva percosso duramente da uomini armati nel cortile di casa sua a Berlino. Il giornalista, che lavora per una catena televisiva “in esilio” (insieme a Celal Baslangice) e per un giornale turco dissidente, aveva indagato sui rapporti tra Turchia e Daesh.
Più volte minacciato, era almeno in teoria sotto scorta di protezione da parte della polizia.
Vive invece nel Galles lo scrittore curdo in esilio Gokhan Yavuzel. Membro dell’Unione Internazionale degli Scrittori (PEN), anche il suo nome si troverebbe nella famigerata lista. Per ora anche lui è stato “soltanto” aggredito e minacciato qualche giorno fa da alcuni turchi.
Notizia di altro genere, per quanto complementare, dalla Svezia. Si è avuta conferma che l’iraniano sessantenne arrestato due anni fa, verrà processato per aver partecipato negli anni ottanta all’uccisione di un gran numero (si parla di migliaia) di prigionieri politici, anche curdi. Sarebbe il primo iraniano a essere sottoposto a giudizio in un tribunale – in base alle norme del diritto internazionale – per le esecuzioni di massa avvenute in Iran nel 1988. Avvocato, l’uomo avrebbe operato presso il carcere di Gohardasht (a Karaj) dove i prigionieri venivano riuniti prima dell’esecuzione.
Tra i suoi compiti, scegliere i prigionieri da sottoporre alle commissioni giudiziarie, quelle che all’epoca venivano chiamate “commissioni della morte”. Al processo è prevista la partecipazione di oltre settanta testimoni, sia familiari dei detenuti uccisi, sia persone che all’epoca si trovavano rinchiuse nella prigione incriminata. Tali esecuzioni di massa – paragonabili alle sacas franchiste dopo il 1939 – per qualche magistrato andrebbero valutate come crimini di guerra. Da parte sua l’imputato rigetta le accuse e sostiene che si tratterebbe di uno scambio di persona.