La situazione attuale vede la Chiesa e il cattolicesimo sotto attacco dall’esterno e dall’interno e, cosa mai avvenuta nella sua storia, dal 2013 vede dentro le sue mura un papa regnante e un altro “emerito”. Appare inutile tornare alla rinuncia di Benedetto XVI e alla regolarità dell’ultimo conclave, con buona pace del buon Antonio Socci che nel libro Non è Francesco ipotizzò una verità, certo verosimile ma non dimostrabile, che non potrà cambiare le sorti della Chiesa Cattolica. Cerchiamo invece di immaginare quale ne sarà il futuro dopo Bergoglio.
Il prossimo conclave secondo le indiscrezioni (con l’incognita di un outsider, o con il rischio che “chi entra papa, esce cardinale”, o che lo Spirito Santo trovi un papa “già eletto”) vede in corsa sei candidati, dei quali uno solo potrà avere i voti dei due terzi dei cardinali presenti. Due dei sei possibili “papabili” sono prelati di lungo corso, presenti nei precedenti conclavi: i cardinali Marc Ouellet e Christoph Schönborn. Sono soli nei confronti della maggioranza che ha ricevuto la porpora da Francesco, costituita in gran parte da uomini di periferia, tra loro sconosciuti, di istruzione modesta, di poca esperienza ed espressione di diocesi minori, prodotto di nomine non sempre all’altezza del loro ruolo.
Marc Ouellet
Il cardinale Marc Ouellet, 75 anni, canadese, religioso dei Padri Sulpiziani, è uno dei prelati di più alto rango della Santa Sede, primate del Canada, cardinale prefetto della Congregazione per i Vescovi. Fu tra i più votati nei primi due scrutini del Conclave del 2013, prima d’essere sorpassato da Bergoglio. Oggi ha fama di fedeltà al papa, ma è altresì difensore dell’ortodossia e garantirebbe equilibrio coprendo geo-politicamente il Nordamerica con la provincia canadese del Québec che è francofona. Durante il Sinodo sulla Famiglia smontò la linea del cardinale tedesco Walter Kasper sull’ammissione all’eucarestia per i cattolici divorziati risposati da parte della Chiesa grazie al testo Mistero e sacramento dell’amore, scritto nel 2007 e aggiornato nelle edizioni 2014 e 2015. Egli non appoggiò quelli che, come Kasper, indicarono per i cattolici divorziati risposati un percorso penitenziale per ricevere la Comunione. Pur riconoscendo un’evoluzione della dottrina nata nel Vaticano II, non avallò aperture sulla Comunione per coloro che vivono relazioni irregolari. Piuttosto invitò a non lasciar soli i divorziati risposati che, a suo avviso, devono “essere aiutati per trovare altri mezzi per esprimere la propria fede e l’appartenenza alla comunità cattolica”.
Ouellet è un difensore del cattolicesimo senza derive ultra progressiste ed è a favore della reintroduzione del canto gregoriano (fu membro della rivista teologica Communio fondata anche da Joseph Ratzinger), ma ha sempre respinto con decisione il dissenso interno contro papa Francesco. Espressione dell’“ecclesiasticamente corretto”, per fedeltà istituzionale alla figura del pontefice e perché essendo a stretto contatto di gomito con lui nella scelta dei vescovi, deve aver trovato un suo modus vivendi.
Pur ammettendo che “l’opposizione nella Chiesa esiste”, egli preferisce parlare di diverse sensibilità in seno a essa respingendo la tesi delle differenze dottrinali che possano giustificare una scissione o uno scisma: “Opporre i due pontefici è un nonsenso, perché lo Spirito Santo ha una continuità nelle sue scelte. Avevamo bisogno di una chiarezza dottrinale che Benedetto XVI ci ha dato, ma c’era bisogno di un contatto con il popolo più tangibile come quello che Francesco ci sta dando”.
Nel 2008 con una lettera aperta (come quelle scritte dagli azionisti di maggioranza ai subalterni) accusò il povero monsignor Carlo Maria Viganò di aver montato un caso politico “privo di fondamento” intorno alla denuncia dei silenzi del papa sui casi di pedofilia riguardanti l’arcivescovo emerito di Washington, Theodore Edgar McCarrik. Gli chiese di pentirsi, cosa che il suo confratello si guardò bene dal fare; rincarò anzi la dose con la lettera di solidarietà al cardinale Zen per il dramma della Chiesa in Cina, che Bergoglio avrebbe aggravato con lo sciagurato accordo segreto tra la Santa Sede e il governo comunista.
Christoph Schönborn
Il cardinale Christoph Schönborn, 74 anni, domenicano, è nato a Skalsko in Boemia (Repubblica Ceca). Portato ancora neonato in Austria, è figlio del conte Hugo-Damian von Schönborn e della baronessa Eleonore Ottilie Hilda Maria von Doblhoff. Secondogenito di una nobile famiglia cattolica con 900 anni di storia e con avi come Johann Philipp von Schönborn, arcivescovo di Magonza nel 1647, che fu tra i promotori della pace di Westfalia, nacque in un contesto dove la via al sacerdozio era scontata. Arcivescovo di Vienna e ordinario per i fedeli di rito bizantino, ha una grande esperienza pastorale e fu segretario della Commissione per la Redazione del Catechismo della Chiesa Cattolica dal 1987 al 1992. Nei Conclavi del 2005 e del 2013 fu considerato tra i papabili ma, si disse, fu ostacolato da una polemica nei confronti dell’ex segretario di Stato cardinale Angelo Sodano: nel 2010 Schönborn lo accusò di aver osteggiato la pulizia intrapresa dall’allora cardinale Joseph Ratzinger contro Hans Hermann Gröer, ex arcivescovo di Vienna, e Marcial Maciel Degollado, padre dei Legionari di Cristo, entrambi accusati di abusi sessuali e poi riconosciuti colpevoli.
Durante l’attuale pontificato ha tessuto accordi tra moderati e progressisti, specie nel turbolento Sinodo straordinario sulla famiglia del 2014 e nel suo seguito ordinario svolto nell’ottobre 2015. Come teologo nelle grazie del papa, fece l’interprete dell’Esortazione Apostolica post-sinodale sulla famiglia Amoris Laetitia del 2016. Durante le obiezioni contro questo documento papale (lettera di 45 teologi, più i Dubia di quattro cardinali) rispose in luogo di Francesco alle critiche, poiché il papa non volle mai replicare pubblicamente alle seppur autorevoli e sensate obiezioni. Schönborn parlò con Francesco della resistenza che il documento aveva determinato, e il papa gli avrebbe detto di convincere “amorevolmente” l’opposizione interna: egli tentò dunque di illustrare – senza riuscirvi neppur “amorevolmente” – ciò che non avrebbe potuto essere considerato, per ammissione stessa di Bergoglio, un atto paragonabile al Magistero, né supremo né “ordinario”. Il risultato fu che la “parresia” invocata dal papa non avrebbe potuto tradursi in nessun documento ufficiale della Chiesa senza fatali ricadute sulla dottrina, fino a lambire l’eresia.
Schönborn prese le distanze dal suo maestro spirituale Joseph Ratzinger, il quale aveva firmato come prefetto per la Congregazione della Fede un documento dove si affermava che “i Cattolici hanno l’obbligo di opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali”. Schönborn al proposito, in un’intervista del 2019 alla rivista della sinistra tedesca “Stern”, pur ribadendo che “il matrimonio è per l’uomo e la donna, dal quale può emergere la nuova vita”, aggiunse che “è toccante vedere che in tempi dove il matrimonio sta perdendo la sua radiosità, le coppie omosessuali vogliano questa forma definitiva di collaborazione”.
Senza curarsi delle prescrizioni, non solo del Catechismo tridentino ma anche di quello al quale aveva collaborato in prima persona (art. 2357), il 4 settembre 2018 “benedisse” una coppia omosessuale in casa del suo amico Gery Keszler, organizzatore del Vienna Life Ball, spettacolo di promozione gay. Il cardinale nel 2017 ospitò un concerto di beneficenza pro-Lgbt in cui fu profanata la cattedrale di Vienna e dove l’attore Philipp Hochmair si esibì a torso nudo, tanto da far porre a molti cattolici una logica domanda: che fine ha fatto quel cardinale che un tempo frequentava Medjugorje e la Comunità Cenacolo salendo il Križevac e il Podbrdo con il Rosario?
Robert Sarah
Il cardinale Robert Sarah, 74 anni nato a Ourous in Guinea, già segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, è il prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Arcivescovo emerito di Conakry in Guinea, nella storia della Chiesa è il primo vero candidato d’Africa, dopo il cardinale Bernardin Gantin del Bénin morto nel 2008.
La sua biografia è di tutto rispetto. Testimone della fede cattolica sotto il regime sanguinario marxista di Sekou Touré, non fu giustiziato solo per la morte improvvisa del tiranno, nel 1984. Cresciuto nella savana tra pagani e animisti, studiò in Francia e a Gerusalemme. Nominato vescovo da Paolo VI a soli 33 anni, fu chiamato a Roma da Giovanni Paolo II. Una profonda sintonia lo lega a Joseph Ratzinger che lo creò cardinale e con il quale condivide lo studio su Sant’Agostino.
A farlo conoscere al mondo furono i suoi tre libri tradotti in più lingue: Dio o niente del 2015, La forza del silenzio del 2017 e Si fa sera e il mondo ormai volge al declino del 2019. L’ultimo saggio dal titolo Dal profondo del nostro cuore, scritto in collaborazione con il papa emerito sul celibato sacerdotale, ha creato un caso editoriale e non solo. Sarah, infatti, è stato “sfiorato” dal sospetto di aver manipolato la volontà di Benedetto XVI. Eppure Nicolas Diat, della casa editrice Fayard che ha pubblicato il libro, ha testimoniato: “L’introduzione al testo e la conclusione sono state scritte da Sarah e sono state lette e condivise dal papa emerito”. In effetti Sarah e Ratzinger misero “le mani avanti” nel fondato timore che l’Esortazione Apostolica post sinodale, di prossima uscita, avrebbe aperto al matrimonio sacerdotale “grazie alle manovre” del Sinodo dell’Amazzonia.
Dio solo sa quanto fu provvidenziale la straordinaria esegesi teologica di Sarah e Ratzinger, al punto che Bergoglio, nell’Esortazione Querida Amazonia, senza aver argomenti teologici da opporre, ribadì il no al matrimonio per i preti, senza fare aperture. Gli “azzecca garbugli” (così li definisce Sarah) con a capo il cardinale Reinhard Marx, che tramavano per scardinare la dottrina con “il piede di porco” del Sinodo, si ritirarono.
I rapporti tra Sarah e Bergoglio non sono mai stati buoni. Per comprendere il loro tenore, è sufficiente andare alla lettera che il papa spedì a Sarah nell’ottobre 2017. Nel settembre 2017 il papa promulgò il motu proprio Magnum Principium che dava alle conferenze episcopali nazionali tutti i poteri sulla traduzione dei testi liturgici. A Roma restava la potestà di confermare le decisioni dei vescovi locali abolendo l’esame del lavoro fatto lontano dalla Sede Apostolica. Sarah, coinvolto suo malgrado da tali decisioni, inviò immediatamente al papa e ai siti internet (e forse questo fu l’errore che portò alla lettera di Bergoglio) un suo parere sulla questione, sostenendo che non sarebbe cambiato granché e che la Congregazione continuava ad avere voce in capitolo. Ciò detto, scattò la correctio paternalis del pontefice, il quale ribadendo la sua ferma decisione affermò: “Sarah sbaglia su tutta la linea ed è pregato cortesemente di provvedere alla divulgazione di questa mia risposta sugli stessi siti inviando la stessa a tutte le conferenze episcopali, ai membri e ai consultori del dicastero”. Sarah fece così il mea culpa pubblicamente per averlo contraddetto. Sarah, non cadrà negli abissi dell’umiliazione ma, come abbiamo detto, togliendosi “un sassolino dalla scarpa cardinalizia”, sgancerà filialmente e nella giusta circostanza “la bomba teologica” scritta con Ratzinger.
In conclusione: c’è una sostanziale differenza di vedute tra la Chiesa del cardinale e quella del papa gesuita, sia nei contenuti sia nello stile. Per questo principe della Chiesa, la priorità è portare Dio nel cuore delle civiltà, dove il relativismo ha offuscato la Sua presenza. Per i critici di questo papato in nome della tradizione, sarebbe un ottimo candidato, ma in un collegio cardinalizio nominato per più della metà da Bergoglio non sarà semplice ottenere i due terzi dei voti necessari per la sua elezione.
Pietro Parolin
Alcune indiscrezioni accrediterebbero la candidatura del segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, di 64 anni, nato a Schiavon, diocesi di Vicenza. Egli diventerebbe il quarto segretario di Stato eletto papa dopo Alessandro VII (Fabio Chigi) nel 1655, Clemente IX (Giulio Rospigliosi) nel 1667 e Pio XII (Eugenio Pacelli) nel 1939. Dopo tre papi stranieri (un santo, un grande teologo e Bergoglio) tornerebbe un papa italiano, l’ultimo essendo stato Giovanni Paolo I (Albino Luciani). Il dato cade ormai nel campo statistico, poiché l’italianità ha cessato di essere un requisito funzionale a eventuali equilibri geopolitici.
L’impresa che i cardinali affiderebbero a Parolin sarebbe di riportare sulla giusta rotta la Chiesa dopo le anomalie gesuitiche di Bergoglio. Parolin proviene dalla diplomazia vaticana di Agostino Casaroli, segretario di Stato con Giovanni Paolo II. Il 31 agosto 2013 viene nominato da Francesco alla segreteria subentrando al cardinale Tarcisio Bertone. In lui potrebbero sommarsi la figura del diplomatico e il profilo del pastore, che anch’egli vorrebbe accreditarsi, alternando il lavoro nella segreteria di Stato, che svolge ormai da ventotto anni, alla cura delle anime. Nel 2009 Benedetto XVI lo ha nominato arcivescovo di Acquapendente (Viterbo) e nunzio apostolico a Caracas in Venezuela.
Come diplomatico dallo stile prudente, tuttavia gli si attribuiscono più insuccessi che successi. Parolin conosce bene il Sud-est asiatico: esperto dell’area orientale, ha rafforzato i rapporti tra la Santa Sede e il Vietnam, ma nell’accordo con la Cina si è fermato al compromesso con il partito comunista. Non è andato oltre il ripristino formale delle relazioni tra Stati con conseguente peggioramento della situazione dei cattolici, sempre succubi delle autorità cinesi che non stanno mostrando alcuna apertura sul fronte religioso.
Da sottolineare un evento inquietante al quale Parolin ha partecipato a Torino dal 7 al 10 giugno del 2018: è stato il primo funzionario della Santa Sede invitato all’incontro del Bilderberg, il gruppo fondato nel 1973 da David Rockfeller, un vertice segreto con una agenda globalista. Che dire? I Cattolici non confondano una “chiesa” che parla di povertà e misericordia, e poi fa sedere il suo segretario di Stato al tavolo di chi decide segretamente le sorti del mondo (Bergoglio ne era a conoscenza), con la Chiesa di Cristo che si sedette insieme ai pubblicani. La prima si fa inglobare tra i potenti della terra, sapendo di non poter ottenere alcuna conversione dei cuori, la seconda dimostrò la potenza di Dio ai depositari pro-tempore di uno status sterile ed effimero.
Matteo Maria Zuppi
Il cardinale Matteo Maria Zuppi, nato l’11 ottobre 1955, arcivescovo di Bologna, è pronipote del cardinale Carlo Confalonieri. Come nel caso di Parolin, avremmo nuovamente un papa italiano e con lui salirebbe al soglio di Pietro un romano dopo Pio XII (Eugenio Pacelli). Zuppi dal 1973 collabora con Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio nelle opere per i bambini emarginati, per gli anziani, per gli immigrati e i senza fissa dimora, i malati terminali e i nomadi, i disabili e i tossicodipendenti, i carcerati e le vittime dei conflitti. Si è occupato di ecumenismo e del dialogo interreligioso concretizzatosi nell’incontro sincretista di Assisi.
Dopo la laurea in Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza, entrò nel seminario della diocesi di Palestrina per prepararsi al sacerdozio alla Pontificia Università Lateranense e ottenne il baccellierato in Teologia. Ordinato presbitero per il clero di Palestrina il 9 maggio 1981, fu nominato vicario di Vincenzo Paglia, parroco della basilica di Santa Maria in Trastevere. Nel 2000 subentrò a Paglia, divenuto vescovo. Dal 2005 al 2010 fu parroco a Trastevere, dal 2000 al 2012 capo della Terza Prefettura di Roma e assistente della Comunità di Sant’Egidio. Nel 2010 fu nominato parroco dei Santi Simone e Giuda Taddeo e nel 2011 fu prefetto della Diciassettesima Prefettura di Roma. Nel 2012 Benedetto XVI lo nominò vescovo ausiliare di Roma e vescovo titolare di Villanova. Bergoglio nel 2015 lo promosse alla sede di Bologna, come arcivescovo e successore del cardinale Carlo Caffarra, e il 5 ottobre 2019 lo creò cardinale, assegnandogli il titolo della chiesa di Sant’Egidio. Ultimamente circola il suo nome per la sostituzione del cardinale Gualtiero Bassetti, congedatosi dalla Conferenza Episcopale Italiana.
Come abbiamo visto, Zuppi ha un excursus di tutto rispetto ed è sempre più nelle grazie di Bergoglio per le sue riconosciute idee progressiste. A Bologna non si è fatto mancare niente: favorevole alla costruzione della moschea e per l’introduzione delle feste islamiche nelle scuole, sta portando avanti la pastorale per gli omossessuali che vorrebbe estendere a tutt’Italia. Per questo è difficile digerire una proiezione come quella twittata dal vaticanista di “Repubblica” Paolo Rodari, sul fatto che egli sarebbe in grado di fare il pastore di tutta la Chiesa, anche di quella più conservatrice e, sulla carta, a lui più distante.
Piuttosto, non c’è dubbio: l’avere come sponsor la lobby cattolica più potente e influente degli ultimi decenni a livello mondiale come la Comunità di Sant’Egidio non è cosa da poco. La sua statura internazionale è consolidata. È al centro di una grande rete di persone e di eventi su scala planetaria, religiosa e geopolitica; dagli accordi di pace in Mozambico degli anni 1990-92, all’intesa segreta tra Santa Sede e Cina; dagli incontri interreligiosi di Assisi, ai “corridoi umanitari” per gli immigrati in Europa dall’Africa e dall’Asia. Da qui alla sua elezione a papa il procedere non è assicurato ma, per la continuità con il papato di Bergoglio, potrebbe essere plausibile.
Luis Antonio Gokim Tagle
C’è il nome di un cardinale che gira, come si diceva un tempo, tra i “Sacri Palazzi”, oggi le mura di Domus Sanctae Marthae (residenza di Bergoglio): quello del filippino Luis Antonio Gokim Tagle. Nato a Manila il 21 giugno 1957, ordinato sacerdote nel 1982, è dal 2015 arcivescovo della sua città natale.
L’attuale pontefice, che ha una grande fiducia in lui, lo chiamò a presiedere il sinodo straordinario sulla famiglia nel 2014 e quello ordinario del 2016. All’uscita dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, Tagle fu il primo tra i vescovi di tutto il mondo a darne l’interpretazione più estensiva. A chi gli obiettava che l’esortazione di Francesco faceva sorgere più dubbi che certezze, la riposta fu: “È bene essere confusi ogni tanto, perché se le cose sono sempre chiare non sarebbe più la vita vera”. A conclusione del sinodo dei giovani del 2018, fu il primo eletto per l’Asia nel consiglio preparatorio del sinodo successivo. Segno tangibile del consenso che già raccoglieva. In seguito gli venne affidato il difficile compito d’illustrare la relazione d’introduzione al summit sugli abusi sessuali del gennaio 2019 in Vaticano: un evento di risonanza mondiale.
Bergoglio sta rafforzando la sua esperienza internazionale, iniziata nel 2015 con la nomina a presidente della Caritas Internationalis, l’organo supremo a livello mondiale di tutte le Caritas nazionali. Dall’8 dicembre 2019, subentrando al cardinale Fernando Filoni di 73 anni (con un biennio da terminare prima del pensionamento canonico), è diventato prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (l’ex Propaganda Fide). Si tratta probabilmente della più importante nomina del pontificato di Bergoglio. Il papa gli ha affidato la gestione di parte dell’America Latina, di quasi tutta l’Africa, di quasi tutta l’Asia escluse le Filippine, dell’Oceania a eccezione dell’Australia.
Dietro la scelta si nasconde una decisione fortemente simbolica, una sorta di investitura. In effetti il cardinale filippino fa parte del nuovo apparato clericale, in ascesa. Egli è il prototipo della “Chiesa in uscita”, teologo stimato, adatto ad aprire le porte dell’Asia al cattolicesimo che stenta a radicarsi in quelle terre, come in Cina, anche perché per parte di madre ha origini cinesi.
Tagle studiò teologia nel 1985 alla Catholic University di Washington, subendo l’influenza di Joseph A. Komonchak, teorico della “rottura” nella storia della Chiesa avvenuta tra il Magistero pregresso e il Concilio Vaticano II (soprattutto il post-concilio). Detta lettura, che Tagle sposò in toto, si oppone all’interpretazione dell’ermeneutica della continuità di papa Benedetto XVI che – bontà sua – lo creò cardinale nel concistoro 2012. Vale la pena di aggiungere che un cardinale di peso come Camillo Ruini, già presidente della CEI, nel 2005 affermò: “L’interpretazione del Concilio come rottura e nuovo inizio sta finendo. È un’interpretazione debolissima e senza appigli nel corpo della Chiesa”.
Tagle completò la sua formazione (e ora ne fa autorevolmente parte) alla “scuola di Bologna”, fondata da Giuseppe Dossetti, perito di fiducia al Concilio del cardinale Giacomo Lercaro che presiedeva l’assise, e dal professor Giuseppe Alberigo, oggi guidata dal professor Alberto Melloni. Scrisse uno dei capitoli della storia del Concilio più letti al mondo: quello sulla “settimana nera” dell’autunno del 1964, che rischiò di far naufragare l’assise a causa della lite fra correnti, salvata solo dall’azione di Paolo VI. Secondo Tagle, “la Chiesa del futuro avrà il volto dei ragazzi di oggi, incrocio di nazionalità. Mai immobile, in cerca del dinamismo della fede che può incardinarsi in vari luoghi e varie culture”. Aggiunse che non bisogna essere così pessimisti pensando al crollo della pratica religiosa in Europa, visto che ciò non significa “perdita del senso della fede”.
Le figure essenziali per la sua formazione sono state Ratzinger e Rahner, Von Balthasar e Schillebeeckx, Carlo Maria Martini e sant’Ignazio, Tillard e Avery Dulles. Infine per lui hanno rappresentato grande valore le tesi ardite della teologa femminista Elizabeth Johnson, condannata dalla commissione dottrinale della Conferenza Episcopale Americana.
Il suo cursus honorum e il fatto che potrebbe essere il successore, in pectore, di Bergoglio, non è detto che farebbero scattare l’automatismo di un’elezione scontata. La sponsorizzazione papale potrebbe, al contrario, penalizzarlo fra gli Elettori che hanno vissuto con insofferenza Bergoglio. Tagle, che ha solo 62 anni, regnerebbe forse troppo a lungo perché i due terzi dei cardinali presenti, validi per l’elezione, possano consegnargli per lungo tempo il timone della Barca di Pietro. Inoltre dovranno tenere presente che il cardinale filippino fa parte di quei prelati che guardano alla Chiesa come a un’istituzione sociale, piuttosto che al Corpo Mistico di Cristo.