Brutti tempi – ma non è certo una novità – per le donne a cui è toccato la malasorte di nascere e vivere entro i confini dello Stato turco. Solo in aprile, stando a quanto riporta l’agenzia ANF citando l’associazione “Noi fermeremo i femminicidi”, almeno 20 donne sono state assassinate in Turchia. Inoltre, sempre secondo ANF, altrettanti bambini avrebbero subìto abusi. Entrambi, i femminicidi e gli abusi su minori, risultano in preoccupante aumento.
Sempre in aprile, quindici donne hanno denunciato di aver subìto aggressioni sessuali e tre bambini sono stati uccisi. Contemporaneamente, i tribunali hanno concesso consistenti riduzioni di pena per “buona condotta” (!) a una mezza dozzina di stupratori.
In marzo le donne assassinate in Turchia erano state 27 e in gennaio 43.
Ad alimentare tale situazione, oltre al clima politico promosso dal partito di Etdogan, l’AKP, contribuiscono sia la sostanziale impunità, sia il linguaggio apertamente sessista dei media.
Una conferma di questi dati viene anche da Jin News, l’agenzia di stampa fondata l’8 marzo 2012 da una trentina di giornaliste e artiste, sia turche sia curde, tra cui Evrim, Beritan e Zerha Dogan.*
La loro missione: denunciare le discriminazioni e le violenze quotidiane subite dalle donne. La scritta in turco riportata sotto il logo (Kadman Kalemiyle Hakikatin Izinde) sta per “sulla scia della verità”. Già il governo turco aveva fatto chiudere una loro precedente agenzia (Jihna Haber Ajans) e anche il quotidiano “Gujin”.
Particolarmente gravi, poi, le violazioni dei diritti umani nei confronti delle donne curde in Bakur, il Kurdistan sotto amministrazione (o meglio occupazione militare) turca.
Secondo un rapporto di GOCIZDER, un’associazione osservatorio sulle migrazioni, durante il periodo di coprifuoco totale (h24, senza luce e senza acqua) imposto dall’esercito turco tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, le donne curde erano state sistematicamente minacciate di stupro, e venivano impedite l’assistenza e le cure mediche, anche alle donne incinte. Con le prevedibili conseguenze psicologiche: depressione, stress post-traumatici, suicidi…
Contro le città e i villaggi che avevano dichiarato l’autonomia (in base ai princìpi del “confederalismo democratico”) Ankara aveva scatenato i suoi reparti militari attaccando e bombardando con carri armati ed elicotteri. Almeno mezzo milione di persone avevano dovuto abbandonare le loro case trasformandosi in rifugiati. Le vittime registrate erano state 3638 (di cui un centinaio bruciate o sepolte nelle cantine di Cizre) mentre risultava incalcolabile il numero delle violazioni dei diritti umani.
Il rapporto di GOCIZDER (Violazioni dei diritti umani contro le donne e la loro esperienza durante il coprifuoco e la migrazione forzata) si basava sulle testimonianze di 480 donne e metteva in evidenza il carattere sessista della violenza di Stato. Un documento che dovrebbe allertare anche in merito ai progetti, in parte già avviati, di Erdogan nei confronti del Nord della Siria. È facilmente immaginabile quali rischi correrebbero le popolazioni di quei territori al momento ancora parzialmente sotto il controllo dei curdi e dei loro alleati.
Significativa la dichiarazione di una ragazza diciottenne che aveva trascorso tre mesi nelle cantine di Cizre:

C’erano molte persone ammalate. Ma non potevamo né andare all’ospedale, né procurarci le medicine. Non potevamo assolutamente uscire. Lo Stato non ci ha trattato come esseri umani e quindi noi non riconosciamo più lo Stato. Personalmente ho smesso anche di andare a scuola, non ne voglio più sapere.

Altra testimonianza da Nusaybin:

Una donna era rimasta ferita davanti a casa nostra. I soldati continuavano a sparare e noi non potevamo uscire per soccorrerla. Era incinta ed è rimasta a morire sulle scale dove l’avevano colpita.

Drammatico il racconto di una donna di Cizre la cui figlia era rimasta ferita non gravemente:

Lei ci aveva detto di non portarla all’ospedale perché l’avrebbero uccisa. Invece noi nonostante le difficoltà siamo riusciti a raggiungerlo, ma poi laggiù i soldati l’hanno assassinata. È il mio più grande rimorso.

 

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