Segnali (apparentemente?) contraddittori sui rapporti tra Ankara e milizie jihadiste in Siria. Stando alle dichiarazioni di Erdogan (ancora in carica come presidente, per poco ci si augura), il 29 aprile i servizi segreti turchi avrebbe eliminato Abou Hussein al-Qourachi, il (un?) leader dello Stato Islamico.
Per la giornalista Lindsey Snell il losco personaggio si trovava a Jinderes, distretto del cantone di Afrin al momento sotto occupazione di gruppi islamisti sottoposti al comando di Ankara, in una base di milizia Faylaq al-Sham. Una milizia notoriamente agli ordini e sul libro paga della Turchia. L’abitazione in cui si era insediato, in passato sarebbe appartenuta a una famiglia curda sfrattata con la forza. Inoltre – sempre secondo Lindsey Snell – alla stampa locale sarebbe stato impedito di coprire l’evento.
Da parte delle organizzazioni curde si avanza il fondato sospetto che questa operazione rientri nella propaganda elettorale. Tra pochi giorni, il 14 maggio, in Turchia si terranno le elezioni presidenziali e legislative, e per Erdogan si profila il rischio concreto di una sconfitta. In sostanza, per i curdi (ma non solo per i curdi) il terrorista islamico sarebbe stato tenuto al sicuro nei territori siriani occupati dalla Turchia per venir poi sacrificato a fini propagandistici. Solo un’ipotesi naturalmente, ma non priva di fondamento.
Di segno apparentemente opposto (o forse una ulteriore conferma di come l’estremismo islamico venga strumentalizzato dalla politica turca) le dichiarazioni di un ex colonnello turco dell’aviazione, Ümit Öztürk, secondo cui Ankara avrebbe fornito passaporti verdi, originariamente destinati agli alti funzionari, a esponenti di Daech già combattenti in Siria e successivamente arrivati in Germania.
La notizia coincideva con l’arresto di un ex jihadista, su denuncia di una giovane curda yazidi divenuta schiava dello Stato Islamico e poi, dopo essere riuscita a evadere, rifugiata in Germania. Qui, in un ristorante di Berlino, aveva riconosciuto e denunciato uno dei suoi stupratori, a sua volta tranquillamente approdato in Germania grazie al passaporto verde turco.
L’anno scorso, proveniente dall’America e diretto in Svizzera per una mostra aeronautica, Ümit Öztürk era stato trattenuto in un aeroporto tedesco per circa un’ora e sottoposto a controlli e interrogatori da parte di esponenti dei servizi tedeschi e statunitensi. Proprio a causa del suo passaporto verde appena rinnovato (ne detiene uno dal 2002). I funzionari lo avevano informato che “gli stessi passaporti verdi vengono utilizzati da personaggi sconosciuti, di origine uzbeka e turcomanna [non turca], addestrati in Siria”. Passaporti autentici, precisavano, in grado di superare ogni controllo. E allora Ümit Öztürk si chiedeva appunto: “Come mai il ministero dell’Interno ha fornito questi documenti a esponenti dello Stato Islamico?”.
Attualmente sarebbero un centinaio gli ex jihadisti ricercati dopo che hanno preso il volo (molti, oltre che in Germania, anche in Georgia) grazie ai provvidenziali passaporti verdi forniti dal ministero degli Interni turco.