Il 22 settembre 1864 fu una data dolorosamente significativa per il popolo piemontese: attraverso l’incredibile impiego di battaglioni e reggimenti di fanteria e cavalleria, con una sanguinosa repressione che fece un centinaio di vittime, il neonato Stato italiano stroncò le proteste dei Torinesi di fronte alla clausola della “Convenzione di settembre” che stabiliva il trasferimento della capitale a Firenze. I giochi politico-diplomatici dei “Palazzi” (a cui non erano estranei i maneggi delle consorterie tosco-emiliane) imposero, come al solito dall’alto, alla città subalpina, tradita e declassata, una collocazione periferica che ne garantisse la maggior lontananza possibile dai nuovi centri del potere.
La folla si avvicinava sempre più, ed il vocio prima indistinto veniva aumentando di intensità e chiarezza: “Abbasso il Ministero! Viva Torino capitale!”
Il cordone di guardie innestò le baionette. Guardandoli bene in viso, da vicino, non dovevano apparire poi così pericolosi quegli operai e garzoni, giovinetti ed anziani, sarti ed impiegati, guidati da un paio di bandiere e qualche bastone da passeggio. Eppure, d’improvviso, s’udì deflagrare una scarica di fucileria, indi un’altra, ed un’altra ancora, mentre le voci si trasformarono in urla e strepiti. Quando un poco si diradò l’acre fumo della polvere da sparo, sul selciato della piazza restarono i corpi di 66 feriti e 26 morti. Era il 22 settembre 1864, data dolorosamente significativa per il popolo piemontese. Tutto ebbe inizio tre giorni innanzi, il 19 settembre, verso sera, quando, come fulmine a ciel sereno, dilagò la notizia dello spostamento della capitale del Regno, da Torino a Firenze, in forza degli accordi siglati il giorno 15 fra il Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, e l’imperatore dei Francesi, Napoleone III. La notizia della firma degli accordi franco-italiani, tendenti a regolare la “questione romana”, non aveva occupato in verità molto più di qualche riga sulla stampa di quei giorni: la “Perseveranza” di Milano, nell’edizione del 18 settembre riporta la notizia in poche righe, limitandosi a fornire i nomi dei firmatari, e nulla più: Drouyn de Louis per l’impero francese; Nigra e Pepoli per il Regno d’Italia.
In quei giorni l’attenzione della stampa era rivolta alla controversia dano-tedesca per lo Schleswig, o alle vicende della secessione nordamericana, mentre, per ciò che riguarda l’interno, gli ampi spunti di cronaca erano forse più rivolti alla repressione del cosiddetto “brigantaggio” che alla “questione romana”, oggetto degli accordi firmati da pochi giorni. Non che i giornali avessero ignorato le indiscrezioni sulle clausole della“Convenzione”, quali il ritiro del contingente di truppe francesi posto a difesa del territorio pontificio o l’impegno del Regno d’Italia per garantirne l’indipendenza e sovranità, ma, al di là delle divergenze d’opinioni tra i fautori di un intervento più deciso ed immediato, inevitabilmente scontenti, e coloro i quali vedevano nell’esodo dei Francesi da Roma e nell’avvicinamento fra Torino e Parigi un obiettivo indebolimento pontificio, non si era andati, né si paventava di trasferimenti di capitali. Si attendevano anzi il ritorno a Torino dei Plenipotenziari e il testo ufficiale degli accordi.
La notizia dello spostamento della capitale del Regno da Torino a Firenze coglie la città assolutamente impreparata; le reazioni del giorno 19 settembre però sembrano ancora limitate. “I cittadini discorrono con dolore e con isgomento della grave notizia che li ha colti a un tratto. Il trasferimento della capitale è cosa che tocca qui troppi interessi e irrita troppe suscettibilità perchè non si risenta gravissimo il colpo. Però non v’ha sinora sintomo che debba la popolazione trascendere a nessuna dimostrazione di piazza”.
La giornata seguente, il 20 settembre, è caratterizzata dall’approntarsi di reazioni più precise e motivate: se la popolazione assume pian piano una posizione sempre più chiara, anche le istituzioni sono ormai costrette ad esporsi. Il Consiglio Comunale sembra il più rapido a muoversi, mentre già si preannunciano schieramenti idealmente divergenti: “La disposizione degli animi in Torino in luogo dell’addolcirsi, s’inacerba. E bisogna anche dire che la notizia è scoppiata sopra Torino così improvvisa, così repentina, che non è lecito di meravigliarsi troppo del furore delle menti e degli animi. Il Consiglio Comunale di Torino terrà domani l’adunanza a cui è stata invitata dalla Giunta. L’ordine del giorno è ‘Sulle deliberazioni da prendere nelle condizioni fatte alla città dalle nuove eventualità che s’annunciano’. Si buccina che questa sera debba accadere una dimostrazione in Torino, ma è forse allarme vano”. Su di un giornale – è utile citarlo e sottolinearlo, redatto da non Piemontesi -, “Il Diritto”, del giorno 21 settembre, esce un “pezzo” dal titolo quasi esaustivo di “Roma o Torino”: in esso si sostiene che “lo scopo principale della Convenzione italo- francese è il trasporto della capitale a Firenze”. Questa posizione, inizialmente estrema e minoritaria rivestirà grande rilevanza nello sviluppo delle vicende nei giorni a seguire.
Torniamo invece un attimo indietro, alla serata del 20 settembre. Le “buccinature” ed i timori si dimostrarono fondati: una prima manifestazione del popolo torinese occupò il centro della città per parecchie ore. “Verso le ore 7 di ieri sera (20 settembre) si leggeva appiccato alle cantonate un manifesto in cui si scongiurava la popolazione di attendere con calma le deliberazioni del Consiglio Comunale. Alle ore 8 più che 200 persone si aggruppò intorno ad una bandiera e cominciò a far sentire degli ‘Abbasso il Ministero!’ ‘Morte all’influenza francese!’ ‘Viva la Capitale a Torino!’. Questa parte si recò sotto i balconi del Ministro dell’interno, indi sotto i balconi dei Ministeri degli Interni e degli Esteri a Piazza Castello. Di qui si procedette per via Dora Grossa, Piazza del Municipio, indi per altre vie della città. La cosa durò varie ore, ma dietro l’arresto di due persone la dimostrazione si sciolse”. Il Consiglio Comunale si riunisce, come previsto, il 21 settembre, mentre la manifestazione di piazza si ripete, con esiti ben più drammatici: “Oggi verso l’una la dimostrazione si è di nuovo riunita. La Questura vi è però intervenuta e sono stati operati 10 o 12 arresti, oltre la cattura della bandiera. Qui le cose sono andate un po’ più oltre di quello che si credeva e si temeva”. Dietro questa frase si nascondeva un popolo che con la sola forza dei suoi corpi inermi rivendicava un orgoglio ferito (oltre a denunciare la “iattura di materiali interessi”) a cui venne contrapposta la violenza delle baionette. Una testimonianza consegnata lo stesso 21 settembre al Consiglio Comunale riunito in seduta continua chiarisce questo concetto meglio di ogni altra descrizione: “ Benemerito Municipio di Torino. Dichiaro io sottoscritto negoziante, via Alfieri numero 3, che Ricca Carlo, nostro commesso, appena fatto portar le merci in negozio, che veniva dalla R. Dogana, successe quell’aggressione dei poliziotti a sciabole sguainate contro quella dimostrazione che si faceva alla Gazzetta di Torino; quattro guardie agguantarono un giovinetto e lo battevano con le daghe orribilmente, Il nostro Ricca, per aver loro detto ‘arrestatelo e non ammazzatelo’, esse guardie lo afferrarono pel colletto e lo arrestarono. Torino, 21 settembre 1864. Per Giuseppe Truccone fu Vittorio, il socio Angelo Piazza”. Ormai le parti erano chiaramente delineate: alle richieste di un popolo colpito in modo inesplicabile in quanto possedesse di più prezioso si rispondeva con l’ignavia di tutte le autorità e la frenetica attività delle guardie.
Eccoci cosi al tragico 22 settembre. Presso il Ministero dell’interno i Ministri sedevano in riunione, ed una folla di Torinesi riempì la piazza sottostante, che verso sera venne fatta sgomberare da un plotone di carabinieri il quale poi si mise, con non folto cordone, a presidiarne l’accesso. Nel frattempo, venne chiamata a raccolta la Guardia Nazionale, con l’intento di limitare le dimostrazioni, sfoltendo le fila sempre più fitte del popolo inacerbato. Naturalmente questo intento sortì effetti opposti a quelli sperati, perchè ben pochi cittadini risposero alla chiamata, ed anzi la dimostrazione s’ingrossò ancora di più verso Piazza Castello. L’esigua fila di carabinieri venne presto superata, ma i dimostranti non fecero molta strada: senza che un ordine preciso fosse stato dato partì la prima scarica di fucileria, seguita da altre due in rapida successione. I falciati furono un centinaio. Nella stessa notte giunsero in Torino 4 reggimenti di linea, 3 di cavalleria, 1 battaglione di bersaglieri e 3 batterie. Il popolo di Torino ebbe così l’atroce conferma che davvero “lo scopo principale della Convenzione francoitaliana sarebbe il trasporto della capitale a Firenze” e che le sue giuste proteste non avrebbero sortito alcun effetto. Venne sciolta la compagnia delle guardie di pubblica sicurezza, cadde persino il Ministero, ma la capitale si trasferì in riva all’Arno. Era l’ultimo residuo di identità del popolo piemontese ad essere cancellato: in tal modo Torino guadagnava quella ignota dimensione di periferia lontana, lontana il più possibile da chi avrebbe continuato a governare (per i successivi 120 anni).
La letteratura ricorda…
Le tragiche vicende dell’autunno 1864 ebbero ripercussioni anche in campo letterario. Nelle roventi giornate torinesi la produzione di sonetti, caricature, “fondi” più o meno accesi fu, com’è ovvio, assai abbondante. È utile invece − e meno scontato − citare quegli avvenimenti come scintilla per un impegno letterario nuovo e più strettamente vincolato alla gente, al popolo piemontese. Una raccolta di “Rime Piemontëise” scritte da Michel Fornelli, pubblicata nel 1876, ne è un chiaro esempio. È dunque indispensabile riportare la prefazione, ed alcuni versi tratti da una delle due poesie riguardanti gli avvenimenti di quell’autunno.
Prefassion
Quantunque am sio sempre piasume le poesie an dialët piemontëis, sovratut le belissime dl’avocat Angël Brofferio: tutavia i l’ëra mai provame d’scrivne, prima dl’infaosta Convënssion dij 15 d’stëmbër 1864, ch’ a l’ha dait lëugh a le brute e triste giornà dij 20 e 22. ’L spostè d’interessi così gravi, come a l’ha spostà ’I trasport dia capital, fait ant una manëra così brusca, për ordin e prepotënssa forestëra; ̓ l sangh inossënt versà ant cola circostanssa, l’ha fait, nën mach butè dij pior, ma freme d’rabia. A sfogh përtant dl’animo esacerbà, i l’hai tëntà d’co mi d’rampiè sul Parnaspie- motëis, senssa aotra preteisa che cola d’imprime sla front dij nostri opressor, che a son anche stait coi d’Italia, un bol, una marca d’infamia. La maggior part dle rime contnue ant cost volum ambrasso ̓ l periodo storich dal 1864 al 1870, cioè fina a la nostra entrada a Roma. Motobin a son già staite publicà ant’ij giornaj; d’aotre a son tut afait inedite. L’autor a spera ch’a pëusso esse favorevolment acolte dal Popol Piemontëis, a cui son dedicò e al qual a augura d’vive felice.
’L trasport dia Capital
Trasportè la capital
A saralo un bin o ’n mal?
Ch ’a sia ’n bin l’han giudicà
Senator e Deputà.
Povra Italia! Povr Turin!
Toa cariëra a l’è a la fin.
Dël Piemont l’antich drapò
Che glorios un dì sul Po
Sventolava, a l’è sciancà
E ant la paota là campà!
Sënto j’oss dij nostri vej
Schërssinè ant ij mausolej;
Anssi ij vedo già drissà
A spassgè për la sità,
Protestand sul fiër destin,
Ch ’a j speta al povr Turin!
O cessé ij lamënt e ij crij,
Cari mort, dëurmi tranquij!
Gnanca ai bravi florentin
Sto malëur a fa nen bin.