Nella notte tra il 16 e il 17 marzo, in una cella di tipo “F” della prigione di Tekirdag dove scontava l’ergastolo, è morto un prigioniero politico. In carcere dal 2007, Zulkuf Gezen era in sciopero della fame illimitato dal 1 marzo per protestare contro l’isolamento a cui viene sottoposto l’esponente curdo Abdullah Ocalan. Attualmente sono centinaia le prigioniere e i prigionieri politici (e altrettanto numerosi i militanti fuori dalle carceri, anche in Europa: da Strasburgo a Parigi, da Bruxelles al Galles) che con questa radicale protesta esprimono la loro ribellione nei confronti della politica carceraria adottata da Ankara.
Da ulteriori informazioni sembrerebbe che Zulkuf Gezen abbia voluto darsi volontariamente la morte nella prigione turca di Tekirdag.
Una protesta, la sua, anche contro il vergognoso silenzio che incombe sulla lotta estrema di centinaia, migliaia (circa 7mila, molti dei quali in situazioni critiche) di prigionieri e militanti curdi.
La sua decisione di darsi la morte per impiccagione è la conseguenza dell’immonda mancanza di umanità, e dell’inerzia che sfiora la complicità con il regime di Ankara, di cui stanno dando prova il Consiglio d’Europa e il suo Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) il cui compito sarebbe (a questo punto il condizionale è d’obbligo) far rispettare i diritti dei prigionieri.
Iniziato da Leyla Guven ormai 132 giorni fa, lo sciopero della fame – oltre che da circa 7mila detenuti – viene condotto da un centinaio di attivisti, militanti, membri di associazioni e deputati curdi; sia in Kurdistan sia in Europa, di cui 14 a Strasburgo ormai al 92° giorno.
La richiesta è, o almeno dovrebbe essere ormai nota all’opinione pubblica e alle istituzioni internazionali: la fine dell’isolamento per Abdullah Ocalan e la ripresa delle trattative tra Stato turco e PKK per individuare una via d’uscita degna, una soluzione politica per il conflitto.
Come si leggeva in un comunicato, “ogni minuto in più che trascorre è diventato cruciale. Occorre agire, e agire in fretta per evitare altre morti”: infatti decine e decine di militanti in sciopero della fame hanno superato da diversi giorni quella che viene considerata la soglia critica. Dopodiché c’è solo la morte, o conseguenze irreparabili a livello sia fisico sia psichico.
Vorrà la vecchia Europa rimanere ancora indifferente e (come nel 1981 con i prigionieri repubblicani irlandesi) avere sulla coscienza anche la vita di questi militanti?