In una recente rimpatriata fra “reduci” dell’autonomismo veneto (anni ‘80 del secolo scorso), mi sono dovuto sentire i rimbrotti dei convenuti per non aver mai scritto niente, o quasi, sull’Union del Popolo Veneto: in effetti, pensandoci bene, è vero e allora tento di rimediare.
L’Union del Popolo Veneto (UPV) nacque a Vicenza, nello studio notarile del notaio Giuseppe Novello il 23 novembre 1987 da un gruppo di autonomisti e federalisti, di veneti coscienti della propria identità, come sta scritto in uno dei primi documenti. I soci fondatori erano otto: Pellizzari Claudio, Donadello Albino, Binotto Tiziano, Sartore Ivano, Rigo Adelio, Bettanin Alfredo, Boscato Flavio, Beggiato Ettore.
Le finalità del movimento erano l’autonomia del Veneto, la trasformazione dello Stato italiano in un moderno Stato federale, prima tappa verso un’Europa unita, libera e federalista, e la difesa e la valorizzazione dell’identità veneta. Simbolo era il Leone di San Marco in moleca all’interno della bandiera europea.
Va detto, per inquadrare il momento, che la £iga Veneta aveva appena subìto una devastante batosta alle elezioni politiche del giugno 1987 e si ritrovava ai minimi storici, sia per consenso sia per radicamento territoriale. L’incomprensibile politica portata avanti dal gruppo dirigente dell’epoca (un’arroccamento totale nei confronti degli stessi simpatizzanti: si entrava solamente per cooptazione) aveva finito per allontanare un po’ tutti.
In pochi mesi l’adesione all’UPV divenne notevole, e già il 13 marzo 1988 si svolgeva a Roncaglia (PD) il I congresso che mi eleggeva presidente con il veronese Gianni Butturini segretario. Da subito aderirono all’UPV i due ex parlamentari della £iga Veneta, Achille Tramarin e Graziano Girardi, diversi soci fondatori e amministratori locali.
In poco tempo riuscimmo a radicarci nel territorio veneto, arrivando ad aprire ben 9 sedi (autentiche, fisiche, non sulla carta), con una serie di iniziative incentrate soprattutto sulla raccolta delle firme a sostegno della proposta di legge per la Regione del Veneto a statuto speciale che avevo presentato in Consiglio Regionale (oltre 50.000 firme raccolte nelle piazze di tutto il Veneto), sulla capillare diffusione dei nostri manifesti (in particolare ricordo il “Né schiavi di Roma, né sudditi di Milano” che ebbe un successo straordinario), su svariate iniziative nel territorio (ricordo la mobilitazioni e le dimostrazioni contro il soggiorno obbligato).
Eravamo partiti con il giornale “Veneto novo”, che stampato in migliaia di copie ci permetteva di farci conoscere anche nelle zone tradizionalmente più difficili da coinvolgere. Alle elezioni europee del 1989 ci presentammo con la lista Federalismo guidata da Partito Sardo d’Azione e dall’Union Valdotaine, e con candidati della Slovenska Skupnost, dell’Union Furlane, della lista Süd Tirol, del Movimento Autonomista Occitano e del Movimento Meridionale.
I pochi voti che prendemmo nel Veneto furono però determinanti per far eleggere al parlamento europeo il sardo Mario Melis (la £iga Veneta in quelle elezioni prese un misero 1,7 %, giusto per capire la situazione dell’area autonomista veneta), per entrare a far parte dell’ALE (Alleanza Libera Europea) gruppo che al Parlamento Europeo metteva insieme i principali partiti autonomisti e indipendentisti europei, e per cementare il rapporto con l’Union Valdotaine che grazie al suo gruppo nel parlamento italiano ci permetteva di essere presenti alle elezioni amministrative senza la necessità di raccogliere le firme: scoglio, per un movimento come il nostro, assai difficile da superare in certe zone.
Così, come Union del Popolo Veneto venne eletto il primo consigliere autonomista dell’intera provincia di Rovigo, il dottor Dino Biasin a Villadose; e nel maggio del 1990 venni riconfermato consigliere regionale con 58.000 voti pari al 1,9%. Furono eletti 2 consiglieri provinciali (Guerrino Mazzocco a Vicenza e Renato Favali a Verona) e ben 26 consiglieri comunali. In diversi comuni superammo il 10% dei voti.
Nel frattempo continuava l’attività politica grazie soprattutto ai manifesti e agli incontri pubblici. Il 25 aprile 1991 le nostre bandiere sventolavano numerose in piazzetta San Marco a Venezia quando venne ricollocato il Leone di San Marco dopo il restauro.
Nel 1992 stampammo migliaia di cartoline da inviare al presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro, per protestare contro il governo che bloccava la proposta di indire un referendum sull’autonomia del Veneto.
Alle politiche del 1992 l’UPV si presentò con proprie liste in tutto il Veneto raccogliendo con una certa facilità le firme necessarie. Purtroppo la presenza di una lista di disturbo e soprattutto il simbolo “furbesco” della Lega Autonomia Veneta, che faceva riferimento al senatore Rigo, impedì il risultato sperato. Le elezioni del 5 aprile 1992 furono soprattutto il momento di affermazione della Lega Lombarda e di Umberto Bossi, che divenne il padre-padrone di tutti i movimenti autonomisti del nord, £iga Veneta compresa: il Leone di San Marco fu ridotto a una presenza assolutamente marginale nel simbolo di quel partito.
Il traino di un leader come Umberto Bossi e la capacità attrattiva della Lega, unita alla nuova legge elettorale maggioritaria che sembrava emarginare le forze politiche di minore importanza, fece sì che l’UPV perdesse mordente e prospettiva, spegnendosi lentamente a metà degli anni novanta. Significativo, tuttavia, che dopo tanti anni persista ancora un chiaro ricordo e, per certi aspetti, un rimpianto per un movimento che aveva suscitato così tante speranze e aspettative.