Se “il buon giorno si giudica dal mattino”, anche quest’anno in Iran siamo messi male. Il 2021 infatti si va già qualificando per un inasprimento della repressione operata dalla Repubblica Islamica, una recidiva che lascia ben poco in cui sperare.
Secondo il direttore di Hengaw, Rudaw English, solo in gennaio sono state già arrestate almeno 34 persone (di cui, pare, un paio successivamente rimesse in libertà). Tra le cause relativamente remote, appunto l’inasprirsi delle tensioni con gli USA e in particolare l’inasprimento delle sanzioni nel 2018. Una situazione che ha fornito il pretesto – la “giustificazione” – per colpire, arrestandoli in gran numero, sia sindacalisti sia ricercatori, giornalisti, studenti, ambientalisti, attivisti contro la pena di morte e, non ultimi, gli autori di vignette satiriche.
Molti di loro sono poi stati condannati con processi di dubbia legittimità. Andando ad aggiungersi alle decine di migliaia di prigionieri politici che affollano le carceri iraniane; in genere colpevoli soltanto di aver protestato per i diritti dei lavoratori, delle donne, delle minoranze.
Particolarmente colpite le minoranze etniche, come curdi, azeri e beluci, come già nel 2019 denunciava un rapporto speciale delle Nazioni Unite sui diritti dell’uomo, evidenziando il numero sproporzionato di detenuti appartenenti a tali minoranze, rispetto al numero complessivo, e la particolare severità delle pene loro inflitte.
Dall’inizio di gennaio decine di curdi, sia attivisti sia semplici cittadini, sono stati arrestati nel Rojhilat (il Kurdistan dell’Est, sottoposto all’amministrazione iraniana). Tra loro molte donne. Un preannuncio delle inevitabili, ulteriori angherie a cui il regime sottoporrà la popolazione curda nei prossimi mesi.
Arrestate nei primi giorni di gennaio – senza che nulla si sappia in merito alle accuse – tre donne curde (Asrin Mohammadi, Darya Talabani e Azima Nazeri) si trovavano inizialmente rinchiuse nel centro di detenzione dei Guardiani della Rivoluzione (CGRI) di Urmia. Un penitenziario riservato ai prigionieri politici e notoriamente luogo di torture e maltrattamenti nei confronti dei medesimi. Successivamente, secondo il KHRN (Kurdistan Human Rights Network) di Parigi, sarebbero state trasferite nella prigione di al-Mahdi.
Le tre donne curde fanno parte di un’ampia schiera di civili (non solo curdi ovviamente) caduta nelle mani del regime durante le ondate di arresti che dall’inizio dell’anno, in particolare dal 9 gennaio, hanno colpito prima Buchan e Mahabad e poi anche la capitale.
Già il 15 gennaio il KHRN aveva emesso un comunicato in cui denunciava l’ondata di arresti operati dalle forze di sicurezza (decine di persone, tra cui almeno 24 curdi). Inoltre, nel giro di pochi giorni, secondo l’organizzazione Hengaw venivano arrestati altri 14 di studenti curdi di cui –
fino al momento del comunicato – le famiglie non avevano alcuna notizia. Secondo i familiari, ad alcuni degli arrestati sarebbe stata poi concessa una telefonata di un minuto per avvisarli (ma rigorosamente in lingua persiana, non in curdo) dell’avvenuto arresto.
In base ai dati forniti dal KHRN, nel solo 2019 in Iran venivano arrestati oltre duemila curdi. In parte accusati di aver raggiunto la guerriglia curda, in parte per “sospetto attivismo politico”. Per quanto riguarda il 2020, finora è stato accertato l’arresto di circa 400 di loro.