La retorica europeista infarcita dei buoni sentimenti di cui è lastricata la strada maestra dell’ONU si affretta sempre a sottolineare che il Global Compact non è un cappio stretto al nostro collo. Formalmente, è vero, perché l’adesione al trattato non implica vincoli legislativi paragonabili ad esempio a dei regolamenti UE. Però, se per il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, il Global Compact “riconosce che ogni individuo ha diritto alla sicurezza, alla dignità e alla protezione”; in pratica, come ha sottolineato una dei più acuminati avversatori, Giorgia Meloni, “stabilisce il diritto fondamentale di ciascun individuo a emigrare o a essere immigrato, indipendentemente dalle ragioni che lo portano a muoversi”.
Inoltre, se il Compact stabilisce che ogni Stato ha diritto a conservare la propria sovranità in materia migratoria, precisa che tale sovranità viene dopo gli accordi internazionali. Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi è convinto che nel patto siano “recepiti principi di partenariato con i Paesi di origine e di transito e la necessità di contrasto ai trafficanti di esseri umani; c’è anche l’obbligo per gli Stati di origine di riammettere i propri cittadini”. In compenso, però, il Compact insiste diffusamente sulla “inclusione” dei migranti e sui servizi che bisogna garantire a chi espatria.
Ma andiamo un po’ più in profondità nel documento pubblicato per la prima volta l’11 luglio scorso sul sito dell’OIM, Organizzazione internazionale delle migrazioni, una delle tante estroflessioni delle Nazioni Unite. Il testo è un concentrato di politicamente corretto, cosmopolitismo buonistico e di terzomondismo antioccidentale, in cui emerge una volontà costrittiva nei confronti di qualsiasi posizione o espressione anti immigrazionista. Da questo punto di vista, l’obiettivo 17 è emblematico; “Eliminare tutte le forme di discriminazione e promuovere un discorso pubblico a base empirica per modificare i modi con cui vengono percepite le migrazioni”, al fine di “condannare e combattere le espressioni, gli atti e le manifestazioni di razzismo, di discriminazione razziale, violenza, xenofobia e connesse forme di intolleranza contro i migranti”. L’intenzione, sottesa a tutto il documento, è di “gestire le frontiere in modo integrato, sicuro e coordinato”, che da un lato afferma “il rispetto dei diritti umani” e parallelamente “il rispetto dello Stato di diritto”, dall’altro implica “l’impegno che vi siano procedure esaustive ed efficienti per il passaggio delle frontiere”. Il documento si sforza di occultare la carica ideologica sottesa a questa politica delle migrazioni, ma non riesce a nascondere completamente l’intenzione strategica e, appunto, ideologica che lo anima; arrivare con il tempo ad abbattere le frontiere, creando una circolazione globale delle persone, non solo dei singoli, come è ovvio per chiunque, ma delle masse, come è invece obiettivo di coloro che condividono il progetto della “sostituzione” etnica e l’idea di radicalizzare il multiculturalismo imponendo la migrazione globale.
Di fatto il Global Compact prepara il terreno ideologico a delle indicazioni che potrebbero rilanciare le iniziative delle Organizzazioni non governative nel Mediterraneo, con riflessi positivi per i trafficanti di persone e estremamente negativi per un Paese come il nostro, che ha già accolto un numero enorme di immigrati.
A sottolineare la pericolosità culturale di un tale approccio, ci sono i passaggi dedicati a un tema cruciale ovvero la comunicazione giornalistica. Il ruolo dei media, infatti, diventa cruciale – fin dal linguaggio utilizzato e da quello “censurabile” – per ciò che concerne la veicolazione del messaggio immigrazionista. Firmando il documento, gli Stati si impegnano a “promuovere la comunicazione indipendente, obiettiva e di qualità”, anche sul Web, e a “sensibilizzare ed educare i professionisti dei media su questioni e terminologia relative alla migrazione, investendo in standard etici e pubblicità”. Chiaro: bisogna “educare” i giornalisti affinché trattino il tema della migrazione in maniera positiva.
Non solo: il documento prevede che sia interrotta “l’assegnazione di finanziamenti pubblici o supporto materiale ai media che promuovono sistematicamente l’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e altre forme di discriminazione verso i migranti”. Il problema è che, oggi, per essere accusati di xenofobia e razzismo basta esprimere un parere contrario all’immigrazione di massa. In sostanza, dunque, il documento dell’ONU mira a imporre una visione unica sul tema, anche sanzionando chi osa pensarla diversamente. Quello relativo ai mezzi di comunicazione è solo uno dei tanti aspetti controversi di questo documento. Il Global Compact mostra chiaramente quale sia l’orientamento ideologico di organizzazioni come UNHCR e OIM (le quali dovrebbero mostrare una parvenza di neutralità e non fare campagne contro i singoli Stati).
Fabrizio La Rocca, “La Verità”.