Il 2 febbraio un tribunale di Vitoria-Gasteiz (Hego Euskal Herria, Paese basco sotto occupazione spagnola) ha impedito, proibendola, una cerimonia in memoria del militante di ETA Oier Gomez, morto a 35 anni il 27 gennaio all’ospedale di Bayonne (Ipar Euskal Herria, Paese basco sotto amministrazione francese).
Lo svolgimento della cerimonia era previsto per domenica 3 febbraio davanti al tribunale ausiliario di Gasteiz (Fronton Auzolana). Per denunciare questa ingiusta e arbitraria proibizione, familiari e amici del militante deceduto hanno immediatamente organizzato una conferenza stampa davanti al Comune, nella Plaza Nueva di Gasteiz.
Nativo di Gasteiz, Oler Gomez era stato arrestato in Francia nel 2011 dopo uno scontro a fuoco (senza vittime) con la polizia e condannato a 15 anni di reclusione.
Già nel 2012 si era ammalato di linfoma di Hodgkin, curato con chemioterapia. Non si può certo escludere che le cure, forse condotte in maniera sbrigativa, sommandosi alle dure condizioni carcerarie abbiano contribuito all’insorgere della ben più grave malattia che gli venne diagnosticata nel 2017. Si trattava di un un cancro osseo vertebrale (sarcoma di Ewing) con metastasi in stadio avanzato. Già allora i medici che lo avevano visitato definirono la sua situazione incompatibile con la detenzione. Grazie alla forte e generosa mobilitazione popolare, Oier aveva ottenuto una sospensione della pena per tentare almeno qualche cura – palliativa – a base di chemioterapia e radioterapia. Per la sua liberazione (così come per quella di altri 13 prigioniere e prigionieri baschi gravemente ammalati) era scesa in campo con particolare decisione Ipeh Antifaxista (movimento antifascista di tendenza libertaria, in Ipar Euskal Herria) che chiedeva anche la fine delle misure speciali a cui questi prigionieri e prigioniere vengono sottoposti.
In base ai dati forniti da Jaiki Hadi, l’associazione di sostegno sanitario ai detenuti, i prigionieri baschi ammalati gravemente sono almeno 21. Di questi, 15 sono già conosciuti dall’opinione pubblica mentre gli altri hanno scelto, per ora, l’anonimato.
Cos’altro dire? Forse che ormai nei “territori occupati” baschi anche ricordare i militanti morti sta diventando reato. Un bel “processo di pace”, davvero.