La miniera d’oro di Solton-Sary si trova a circa 350 chilometri dalla capitale del Kirghizistan, Bichkek, nella regione di Naryn a nord della catena montuosa Kapka-Tach. Da anni viene sfruttata da una compagnia cinese, la Zhong Ji Mining.
Qualche dato per la cronaca.
La Zhong Ji Mining – che oltre ai cinesi impiega anche circa 150 abitanti del luogo – aveva ottenuto nel 2012 una licenza per sfruttare tre zone aurifere: Solton-Sary-Buchuk, Ak-Tach e Altyn-Tor. L’anno scorso ha annunciato la costruzione di altre infrastrutture prevedendo un investimento di almeno 100 milioni di dollari.
Tuttavia gli ambiziosi progetti cinesi non sembrano aver convinto la popolazione locale. Per il 5 agosto gli abitanti di alcuni villaggi (Emgekchil, Min-Bulak, On-Archa e altri) avevano organizzato una manifestazione di protesta a cui hanno preso parte diverse centinaia di persone. Chiedevano la chiusura della miniera, fonte di inquinamento sia dell’aria sia dell’acqua. Ma, invece di ascoltare ed eventualmente discutere la richiesta, i dipendenti cinesi della compagnia, ancora prima di richiedere l’intervento della polizia, si sono scagliati contro la gente che contestava. Nei tafferugli, con diversi lanci di pietre, sono rimaste ferite una ventina di persone. L’iniziativa si è poi conclusa con un animato e partecipato sit-in.
Sono ormai diversi anni che i kirghisi denunciano le conseguenze mortifere delle attività estrattive. In particolare la vasta moria di bestiame (bovini e pecore) allevato in quel territorio. Territorio evidentemente contaminato anche, si ritiene, a causa delle numerose esplosioni che diffondono polveri sui pascoli.
Qualche giorno prima, il 2 agosto, c’era stata una piccola avvisaglia della tensione che andava montando tra i due gruppi. Alcuni abitanti del luogo avevano chiesto aiuto agli impiegati cinesi per far ripartire la loro auto rimasta in panne. Ma invece di aiutarli questi li avevano aggrediti, e non solo verbalmente. Un’altra manifestazione contro la miniera si era svolta il 17 luglio per denunciare l’ennesima strage di montoni (un centinaio).
In realtà è almeno dal 2011 che gli abitanti chiedono che lo sfruttamento della miniera porti almeno qualche beneficio anche alla popolazione locale, non soltanto effetti collaterali negativi. Anche allora, nel corso di una protesta, una decina di manifestanti erano rimasti feriti.
Nel corso di un’assemblea con un centinaio di partecipanti tenutasi nel villaggio di Emgekchil nel dicembre 2018, visto e considerato il grave stato di inquinamento delle acque, era stata avanzata la richiesta di annullare la licenza di sfruttamento dei campi auriferi (una delle principali risorse del Paese) e la costituzione di una commissione indipendente di esperti.
Dopo questa richiesta e una raccolta di firme, si era svolto un incontro tra rappresentanti del governo, funzionari statali (come il direttore dell’ispettorato per la sicurezza ecologica e tecnica, e il direttore del centro di sorveglianza sanitaria-epidemiologica) e dirigenti della compagnia cinese. Ma poi era stato proprio il rappresentante governativo, Amanbai Kaiypov, a dichiarare in conferenza stampa che gli abitanti avevano ricevuto “informazioni non corrispondenti alla realtà”. E comunque, sempre secondo il funzionario, anche le esplosioni erano “autorizzate in quanto da considerarsi normali nelle attività minerarie”.
Veniva comunque concessa e promessa l’apertura di un’inchiesta. A tale scopo – almeno ufficialmente – sarebbero già stati prelevati campioni sia di acqua e aria, sia di bestiame deceduto (lanciando però una provocazione: insinuando che “gli animali potrebbero essere vittime di maltrattamenti”).
Per il deputato Aziz Kasenov, “se la commissione dovesse accertare che effettivamente il bestiame è morto a causa delle attività minerarie, la compagnia cinese dovrà indennizzare i proprietari”. Qualora rifiutasse sarebbe “passibile di una multa di diversi milioni e anche della sospensione della licenza”.
In passato non sono mancati in Kirghizistan altri contenziosi tra i locali e le compagnie che estraggono l’oro. Per esempio nel caso della miniera Koumtor, in gestione al gruppo canadese Centerra Gold, il conflitto divenne tanto aspro che nel 2013 convinse il governo a decretare lo stato di emergenza. In quel caso la popolazione chiedeva la nazionalizzazione della miniera che rappresenta circa la metà delle esportazioni e il 10% della ricchezza prodotta nel Paese. Danni ambientali a parte, sugli accordi intercorsi tra la compagnia canadese e il governo aleggiavano fondati sospetti di corruzione.